La Bioetica nei Paesi in via di sviluppo

di:

alfonsiana

La prospettiva dalla quale si guarda alla bioetica e la si elabora nei Paesi in via di sviluppo, mette seriamente in questione alcuni presupposti scontati della sua impostazione canonica nel Nord del mondo, puntando a ridefinirne l’agenda quanto a tematiche e a priorità.

È quanto di più significativo è emerso dall’incontro-dibattito Pensare e proporre la Bioetica. Prospettive da paesi in sviluppo, che si è tenuto lunedì 13 maggio 2019 nell’aula magna dell’Accademia Alfonsiana (Roma) a cura del visiting professor Marcio Fabri dos Anjos, redentorista, docente di Teologia morale presso l’ISPES-Instituto São Paulo de Estudos Superiores (S. Paolo, Brasile) e membro di diverse istituzioni correlate alla pratica della bioetica.

L’esperienza del contatto con la realtà dei poveri come pazienti e soggetti della bioetica chiede un ripensamento profondo della riduzione della bioetica alla clinica (come erede della lunga tradizione dell’etica medica) e della sua focalizzazione sui problemi di frontiera, le questioni emergenti che rischiano di oscurare i problemi persistenti che spesso riguardano le più elementari tematiche della giustizia sociale. I poveri impongono un allargamento dello sguardo alle cause sociali delle gravi sperequazioni che segnano le problematiche della salute pubblica, dell’accesso ai servizi sanitari e della loro qualità. Si richiede alla bioetica una minore astrazione idealizzante, in favore di una sua elaborazione contestuale capace di generare una coscienza critica nei confronti delle ingiustizie strutturali e sistemiche, mettendo sotto i riflettori i rapporti del sapere-potere con la fragilità umana. Questo potrebbe risultare un antidoto efficace contro la riduzione della bioetica a mera biogiuridica, alla diffusa applicazione del doppio standard nella ricerca clinica (ingiustizia nell’impostazione dei trial su popolazioni naïve), alla colpevolizzazione dei poveri in ordine alle malattie che li affliggono…

È chiaro che una simile impostazione dilata gli orizzonti della riflessione etica intorno ai temi della vita e dell’impiego delle tecnologie: come ha indicato papa Francesco nell’enciclica Laudato sì’ la questione non è solo settoriale e specialistica, ma socio-culturale e antropologica. Il nucleo centrale su cui riflettere è, dunque, il potere (su economia-finanza, conoscenza, informazione, big data) i suoi detentori, più o meno occulti, e i controlli che possono essere esercitati su di esso per proteggere i soggetti più vulnerabili e le libertà. In tal senso, il riferimento all’autonomia, come principio guida della bioetica occidentale, deve essere rimodulato a partire da una nuova consapevolezza dell’interdipendenza umana (principio di vulnerabilità) e del carattere evolutivo, condizionato e situato di ogni esistenza concreta (principio di socialità/solidarietà).

Infine, è stata evidenziata una questione di metodo che caratterizza la presenza dei credenti nella società post-secolare pluralista: l’impostazione “religiosa” anche in campo bioetico viene sfidata a un confronto con la laicità che impone l’uso di discorsi comprensibili e di argomentazioni non dogmatiche. Ciò implica un ripensamento radicale dei linguaggi e delle ragioni con cui difendere le posizioni che l’esperienza cristiana suggerisce e sostiene, al fine di offrirle in termini persuasivi e condivisibili. È chiaro che il contesto in cui ciò si rende possibile è quello del dialogo autentico, del credito di fiducia ad altri uomini e donne che, pur non cristiani, condividono preoccupazioni etiche autentiche e una ricca sensibilità umana. Un dialogo con il mondo, nel mondo e per il mondo.

E a ben vedere, si tratterebbe di un ritorno alle fonti della disciplina, al suo carattere integrale e globale, così come era stata pensata dai pionieri: A. Leopold, F. Jahr, V.R. Potter. Una bioetica preoccupata della sopravvivenza e del benessere di tutta la biosfera, attenta anche alle generazioni future e alla vita non umana, senza dimenticare il prossimo concreto. A partire dal rifiuto di ogni forma di violenza e nel riconoscimento della comune fragilità che deve renderci solleciti alle necessità dell’altro, vicino e bisognoso, sarà possibile che tutti abbiano vita dignitosa e  in abbondante, secondo «il sogno di Dio».

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