Fernando Armellini – Quaresima, V domenica C

di:

Dio non condanna, salva

È sostanzialmente identica nelle diverse religioni l’idea del giudizio di Dio, identica perché in armonia con il concetto di giustizia comune a noi uomini.

Riprodotta su tutti i sarcofagi dell’antico Egitto compare la celebre scena della bilancia con i due piatti in perfetto equilibrio; su uno c’è la piuma, simbolo di Maat, la dea della saggezza, sull’altro il cuore del defunto che viene condotto per mano dal dio Anubis. Dalla pesatura dipende la felicità o la rovina futura di colui che viene giudicato.

Il Corano attribuisce a Dio lo splendido titolo di “migliore di quelli che perdonano”, tuttavia anche nell’Islam il giorno del giudizio è il momento della separazione fra giusti e malvagi, gli uni introdotti in paradiso, gli altri cacciati all’inferno.

“Dio premia i buoni e castiga i cattivi, perché è giustizia infinita”, garantiva anche il Catechismo della dottrina cristiana.

Ardua impresa quella di mettere d’accordo questa giustizia di Dio con la sua misericordia! I rabbini del tempo di Gesù sostenevano che la misericordia interveniva solo quando, al momento della resa dei conti, le opere buone e quelle cattive erano in parità.

L’enigma può essere risolto solo alla luce della parola di Dio che oggi ci chiede anzitutto di prendere le distanze dalle antiche convinzioni, anche se profondamente radicate in noi. Nella prima lettura il profeta raccomanda: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco io faccio una cosa nuova”.

Nel comportamento di Gesù, presentatoci nel Vangelo, viene poi introdotta la nuova, sorprendente, “scandalosa” giustizia di Dio: egli non condanna nessuno, salva e basta.

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Tu, Signore, non vuoi la morte del peccatore, ma che si converta e viva”.

Prima Lettura (Is 43,16-21)

16 Così dice il Signore che offrì una strada nel mare
e un sentiero in mezzo ad acque possenti
17 che fece uscire carri e cavalli,
esercito ed eroi insieme;
essi giacciono morti: mai più si rialzeranno;
si spensero come un lucignolo, sono estinti:
18 “Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
19 Ecco, faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada,
immetterò fiumi nella steppa.
20 Mi glorificheranno le bestie selvatiche,
sciacalli e struzzi,
perché avrò fornito acqua al deserto,
fiumi alla steppa,
per dissetare il mio popolo, il mio eletto.
21 Il popolo che io ho plasmato per me
celebrerà le mie lodi”.

Israele ha sempre costruito il suo futuro guardando al passato e nella sua storia ha sempre trovato nuovi spunti e nuovo slancio per andare avanti. Qualcuno ha paragonato questo popolo ai rematori che avanzano volgendo le spalle alla meta, si orientano puntando gli occhi sul punto di partenza e sul percorso già fatto. Israele ha superato momenti drammatici, è rimasto sempre popolo anche quando era deportato e disperso fra le genti. Ha mantenuto la sua identità grazie alla sua capacità di ricordare, di fare riferimento al suo passato. Meditare e tramandare ai figli ciò che è accaduto è il primo impegno dei genitori: “Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato, non lo terremo nascosto ai nostri figli. Narreremo alla generazione futura le meraviglie che il Signore ha compiuto” (Sal 78,3-4).

Nella prima parte della lettura (vv.16-17) viene ripreso l’avvenimento più importante del passato, quello che nessuno può dimenticare: l’esodo. È descritto con immagini grandiose: Dio è intervenuto con la sua forza, ha dominato le acque impetuose e, in mezzo al mare, ha aperto per il suo popolo una via. Poi ha sfidato le truppe scelte del faraone, ha fatto uscire dall’Egitto carri e cavalli, esercito ed eroi e li ha battuti, ha spento il loro ardore con la facilità con cui si spegne un lucignolo.

Se il ricordo si riduce a fredda reminiscenza di fatti accaduti in tempi lontani, allora può provocare al massimo una struggente, ma vana nostalgia. La raccomandazione: “Ricorda i giorni del tempo antico, medita gli anni lontani. Interroga tuo padre e te lo farà sapere, i tuoi vecchi e te lo diranno” (Dt 32,7) ha un altro obiettivo, vuole che il ricordo aiuti a capire il presente e stimoli a guardare con lucidità al futuro.

C’è un altro pericolo: di fronte alle mirabili gesta compiute da Dio in passato può sorgere il pensiero che egli abbia ormai dato il meglio di sé e che non sia in grado di superarsi.

Nella seconda parte della lettura (vv.18-21) è Dio stesso che risponde a questo interrogativo. Smettete – dice agli israeliti – di ricordare le cose passate; non pensate più alle cose antiche, quasi che io non sia capace di rifarle! Aprite gli occhi! Non vedete? Io sto per compiere un’opera ancora più straordinaria di quelle del passato.

Che farà il Signore? Libererà il suo popolo dalla schiavitù di Babilonia, lo riporterà nella sua terra. Per rendere confortevole il suo viaggio, preparerà una strada nel deserto, per dissetarlo farà sgorgare sorgenti d’acqua. Gli israeliti berranno alla stessa fonte con le bestie selvatiche, gli sciacalli, gli struzzi, come accadeva nel paradiso terrestre.

Si tratta di immagini poetiche, di splendide immagini che indicano come Dio non si dimentica mai dell’uomo. Egli non ha agito solo in passato, continua a manifestare il suo amore compiendo gesta sempre più sorprendenti. Per vederle basta contemplare gli avvenimenti con gli occhi della fede.

Seconda Lettura (Fil 3,8-14)

Fratelli, 8 tutto reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo 9 e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. 10 E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, 11 con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti.

12 Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. 13 Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, 14 corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.

Paolo era un fariseo, osservava fedelmente e difendeva con accanimento la legge, era convinto di ottenere la salvezza mediante l’adempimento di tutte le tradizioni degli antichi, ma quando incontrò Cristo ruppe con il suo passato e accolse la novità del Vangelo. Da quel giorno tutto ciò in cui aveva riposto fiducia perse valore, lo considerò “spazzatura” (v.8).

È difficile dare un taglio deciso al passato. Pensiamo a quanto costa rinunciare alle convinzioni che abbiamo assimilato da piccoli e che ci fanno considerare logico e giusto ciò che tutti ritengono “normale” anche se è incompatibile con la novità di vita che Gesù chiede ai suoi discepoli.

L’obiettivo da raggiungere è “la conoscenza” di Cristo. Il verbo conoscere nella Bibbia non ha, come per noi, solo un significato concettuale, razionale. Implica il coinvolgimento attivo di tutta la persona. Paolo aspira ad un’adesione piena a Cristo: vuole assimilare i suoi pensieri, i suoi giudizi, le sue parole, il suo modo di comportarsi.

Nella seconda parte della lettura (vv.12-14), Paolo non può che ammettere di essere ancora molto lontano dalla meta. Sviluppando l’immagine dell’atleta che compete nello stadio, afferma che egli continua proteso verso il traguardo, vuole conquistare il premio ed è sicuro che un giorno lo otterrà, non per i propri sforzi e i propri meriti, ma perché Dio lo accompagna.

Vangelo (Gv 8,1-11)

1 Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. 2 Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava

3 Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, 4 gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5 Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. 6 Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo.

Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. 7 E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. 8 E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9 Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.

Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. 10 Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. 11 Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”.

Se leggendo un libro ci capitasse di trovare che una pagina è stata strappata, penseremmo probabilmente che il racconto doveva contenere dettagli sconvenienti e che una mano pia, per prevenire i turbamenti di qualche lettore meno maturo, ha asportato il testo incriminato.

Bene, nei primi secoli della Chiesa, quando vennero trascritti i libri del Nuovo Testamento, da quasi tutte le copie della Bibbia fu tolta la pagina del Vangelo di oggi.

Deve averla composta Luca (il tema, lo stile, il linguaggio sono i suoi) e il suo posto naturale è alla fine del capitolo 21. È lì, infatti, che viene collocata da un gruppo importante di manoscritti antichi. Certamente non è di Giovanni e non si sa bene come abbia fatto a entrare nel capitolo ottavo del quarto Vangelo. Forse perché, dopo qualche versetto, si trova la frase di Gesù: Io non giudico nessuno (Gv 8,15). In ogni modo è chiaro che questo testo ha avuto una storia piuttosto travagliata.

La ragione? Sant’Agostino dava la sua, un po’ sbrigativa e scontata: “Alcuni fedeli di poca fede, o meglio, nemici della vera fede, temevano probabilmente che l’accoglienza del Signore per la peccatrice desse la patente di immunità alle loro donne”. Detto in parole povere: i mariti, i genitori, i responsabili delle comunità devono aver pensato che la frase di Gesù io non ti condanno poteva essere fraintesa e allora… meglio ignorare il racconto.

Il motivo vero del sospetto per questo episodio però è forse un altro: la prassi penitenziale che si era instaurata nei primi secoli della Chiesa.

Con l’aumento del numero dei cristiani, nei primi secoli era decaduta la qualità e si era introdotto un certo lassismo che portava a giustificare ogni comportamento e faceva ritenere tutto lecito. Come reazione si era diffusa la convinzione che, nei confronti di chi peccava gravemente, la chiesa poteva intervenire concedendo il perdono, sì, ma una sola volta in vita. Ai recidivi non rimaneva che attendere il severo giudizio di Dio. Chiaro che i rigoristi preferivano mettere da parte, non dare rilievo all’episodio dell’adultera.

Chi invece propugnava un atteggiamento più mite e comprensivo si richiamava volentieri a questo racconto. Nelle Costituzioni apostoliche – un importante libro del IV secolo – si raccomanda al vescovo di imitare, nei confronti dei peccatori, ciò che ha fatto Gesù “con quella donna che aveva peccato e che gli anziani gli avevano posto innanzi”.

Guardato con un certo sospetto o con simpatia, il brano è comunque rimasto ed allora si è reso necessario escogitare una spiegazione per la frase incriminata che qualcuno avrebbe preferito che Gesù non si fosse lasciato sfuggire: Io non ti condanno.

Si è cominciato col dire: vedete come è buono il Signore? La donna doveva essere lapidata, ma, siccome era più che pentita, egli prima l’ha difesa e poi l’ha perdonata.

Ma se così fosse, perché il fatto avrebbe suscitato tante obiezioni al punto da tentare addirittura di cancellarlo dal Vangelo? Che ci sarebbe di strano se Gesù avesse perdonato a una peccatrice pentita?

È proprio qui che sta il nodo del problema: non c’è assolutamente nulla che faccia supporre che la donna fosse pentita.

Non confondiamola con la peccatrice di cui ci parla Luca in un’altra parte del suo Vangelo. Quella sì che era pentita: pianse, unse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli (Lc 7,36-50). Ma l’adultera del Vangelo di oggi non ha fatto nulla di tutto questo. È stata colta in flagrante, è stata afferrata, minacciata, forse picchiata, poi è stata scaraventata davanti a Gesù. Nient’altro. Certo, doveva essere sconvolta, spaventata, piena di vergogna; ma supporre che, in quelle condizioni, abbia pensato ad un “atto di dolore perfetto” è pura fantasia!

Perché preoccuparsi di scusare Gesù? Egli non ha bisogno delle nostre giustificazioni. Ci sorprende? Ci sconvolge? Bene. Si può anche non essere d’accordo con il suo comportamento, ma non si può negare, modificare, minimizzare la portata del fatto. Vediamo di capirlo.

Una donna viene sorpresa… mentre non sta recitando il rosario! È strano che non sia stato agguantato anche il socio. È la solita storia: l’aggressività, la violenza, le passioni si sfogano sempre sui più deboli; i forti riescono sempre in qualche modo a sfuggire e a farla franca.

La legge puniva l’adulterio con la morte (Lv 20,10). In pratica però i giudici non erano severi, chiudevano sempre un occhio e non condannavano mai alla pena capitale. Del resto, quando nella Bibbia viene comminata questa pena, non se ne intende la reale esecuzione, si sottolinea solo la gravità del crimine. Basti pensare che è prevista anche per chi percuote il proprio padre (Es 21,15).

Non sappiamo chi fossero i componenti della buon costume di Gerusalemme, ma una cosa è certa: allora, come oggi, c’erano persone ossessionate dal fatto che altri commettessero peccati sessuali. Come si spiega questo fanatismo nella difesa della pubblica decenza? Sono davvero innocenti e puri questi moralizzatori? Perché godono nel mettere in pubblico i peccati altrui? Forse si tratta di gente che vorrebbe fare le stesse cose, ma, non potendolo, si accanisce contro chi le fa.

Qualcuno di questo gruppo di vigilanza morale deve aver fatto la proposta: e se conducessimo questa p… (peccatrice!) dal maestro galileo? Sì, da quel tale che sta sempre dalla parte di questi corrotti? Non avrà certo il coraggio di difenderla! Vedrete come sarà imbarazzato quando sarà costretto a pronunciarsi contro “i suoi amici” (Mt 11,19)!

Lo trovano seduto nel piazzale del tempio, circondato da molta gente che lo ascolta con attenzione. Trascinano la donna nel mezzo, “in piedi, di fronte a tutti” e, con un sorriso pieno di sottintesi, gli chiedono: “Maestro, la legge ordina di lapidare le donne come questa. Tu che ne dici?”.

Gesù non risponde. Si china e comincia a scrivere per terra. Cosa scrive?

L’opinione – che si è diffusa a partire da san Gerolamo – che egli abbia scritto i peccati degli accusatori non ha senso e nessuno più la sostiene. È molto documentata invece l’usanza fra i popoli semiti di scarabocchiare per terra mentre si sta pensando oppure si vuole scaricare la tensione o controllare l’irritazione di fronte a chi pone domande assurde o provocatorie.

Gesù potrebbe togliersi d’impiccio in modo molto semplice: invitando gli accusatori a rivolgersi ai giudici legittimi. Il tribunale del sinedrio dista non più di un centinaio di metri. Ma questo significherebbe abbandonare quella donna che i “difensori della pubblica moralità” considerano ormai un trofeo, una preda. Per questo alza il capo e dice: “Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei”. Poi si china di nuovo e continua a tracciare linee per terra.

A quel punto i presenti cominciano a non sentirsi più a loro agio: sono stati smascherati, è stata messa a nudo la loro ipocrisia. Abbassano gli occhi e, cercando di assumere un atteggiamento disinvolto, per nascondere l’imbarazzo e la vergogna, si allontanano, cominciando dai più vecchi, dai “presbiteri” – dice il testo greco. Non rimangono che Gesù e la donna, da soli.

Consideriamo bene la posizione dei due.

La donna era stata collocata in piedi, come avveniva con gli accusati durante i processi (v.3) e Gesù era seduto (v.2). Durante tutto il dialogo la posizione non cambia: Gesù si china (v.6), alza il capo (v.7) e si china di nuovo (v.8), ma rimane sempre seduto e la donna in piedi, “là in mezzo” (v.9).

Al versetto 10 il nostro testo dice: “Alzatosi allora Gesù”, dando l’idea che, per pronunciare la sentenza, egli si è levato in piedi. Non è così. Il verbo usato è lo stesso che al v.7 è stato tradotto con “alzò il capo”. Gesù è rimasto dov’era, in basso, nella posizione del servo, non del giudice che guarda dall’alto chi ha sbagliato. Ha solo alzato il capo per comunicare alla donna, con la dolcezza del suo sguardo, la tenerezza di Dio che non condanna mai nessuno.

Se ne sono andati tutti – dice il testo – dunque, assieme agli accusatori, se n’è andata anche la folla e anche i discepoli. Solo Gesù è rimasto per pronunciare la sua sorprendente sentenza: nessuna condanna.

Il Vangelo sottolinea che i primi ad allontanarsi sono stati i più vecchi. Forse sono proprio le persone più mature della comunità che sono invitate a fare un esame di coscienza. Spesso sono proprio loro che si dilettano a “scagliare le pietre” con pettegolezzi e diffamazioni.

Se Gesù non giudica e non condanna, allora significa che il peccato è una cosa da poco? Comportarsi bene o male fa lo stesso?

No! Il peccato è un male molto grave perché distrugge la vita di chi lo commette. Gesù non dice alla donna: “Va’ in pace, hai fatto benissimo a tradire tuo marito, continua così!”; le dice: “Smetti di farti del male, non ripetere l’errore di rovinarti l’esistenza per un momento di piacere”.

Nessuno odia il peccato quanto Gesù, perché nessuno ama l’uomo più di lui. Tuttavia non condanna chi sbaglia (e a nessuno permette di lanciare pietre) per non aggiungere altro male a quello che il peccatore si è già fatto.

Forse egli non condanna ora, ma un giorno giudicherà e punirà i suoi figli che hanno commesso il male? Prestiamo attenzione. Gesù non dice alla peccatrice: “Per questa volta non ti condanno”. Questo sarebbe andato bene anche ai rigoristi dei primi secoli. Dice: “Non ti condanno”, né oggi, né domani, né mai.

Questa pagina del Vangelo oggi non disturba meno di ieri. Non lascia tranquilli coloro che continuano ad arrogarsi il diritto, dal fortino inattaccabile del loro perbenismo, di scagliare pietre non più con le mani, ma diffamando, isolando, pronunciando giudizi severi, alimentando diffidenze, diffondendo pettegolezzi. Gesù non tollera che qualcuno scagli queste pietre dolorose e crudeli contro chi si regge a stento, piegato sotto il peso dei propri errori.

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