Immacolata: “Graziata”

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Realtà aumentata

All’inizio del nuovo anno liturgico brilla la luce della Vergine Maria, l’Immacolata Concezione, la “Vergine dell’Avvento”. Compagna di cammino e segno di sicura speranza per i credenti, massima valorizzazione della donna e del suo genio per tutti gli uomini onesti e aperti al valore simbolico e costruttivo delle vite delle persone. La luce della Vergine Immacolata brilla come la piena verità dell’uomo e della donna nel mondo dell’apparenza, della schiavitù del look e della mistificazione delle fake news.

In lei la verità della donna splende nella realizzazione piena del suo progetto di vita, ampliato al massimo perché vissuto alla luce del progetto di Dio che ne moltiplica le potenzialità personali, con ricadute benefiche su di lei, sulla società in cui vive e sulle generazioni a venire. Una “realtà aumentata”, ad altissima definizione.

Racconti sapienziali

Nell’esilio patito a Babilonia e nelle pianure circostanti (598-538 a.C.), Israele medita sulle tradizioni proprie e su quelle in cui si trova immerso a vivere. Le confronta. Le approfondisce e le raccoglie. L’ispirazione di YHWH lo aiuta con potenza nel proprio “carisma di linguaggio”, per trovare le parole giuste per esprimere una convinzione di fede vera, profonda, innovativa. Israele vive la complessità del male esistente sulla terra, la discordia fra l’uomo e la donna, con la propensione del primo a sottomettere anche con la violenza il desiderio di comunione che anima la seconda. Il male dilaga, fin ad arrivare al fratricidio. Israele arriva comprendere che il Dio che lo ha liberato dell’Egitto con azione potente l’ha potuto fare perché egli è il Creatore di tutto l’universo, e l’umanità e tutto ciò che esiste nella natura e nella storia è opera delle sue mani.

Ma perché il male, e così potente nel cuore delle persone e delle società? Israele riflette con sapienza illuminata da YHWH, scrutando le ragioni profonde delle realtà che appaiono sulla superfice della storia.

C’era chi poneva all’inizio del mondo la presenza di due forze, una del Bene e l’altra del Male, che imbevono la storia con il proprio influsso benefico o malefico.

Si pensi, ad esempio, alla religione dello zoroastrismo fondata da Zaratustra. Essa ha come divinità suprema Ahura Mazdā, in antico-iranico, Ōhrmazd in medio-iranico, da cui il nome di mazdeismo. In questa divinità lo zoroastrismo esaltò alla dignità di divinità unica un’antica divinità preesistente, degradando al rango di demoni e di nemici di Dio le altre figure divine. Lo zoroastrismo è una religione di salvazione. Ha un suo proprio libro sacro, l’Avesta. La dottrina caratteristica è il dualismo: l’universo è diviso in due parti contrastanti che procedono da due principî antagonistici, lo “Spirito buono” e lo “Spirito cattivo”. A capo dell’ordine buono è il dio supremo, Ahura Mazdā (o Mazdā Ahura, o anche semplicemente Mazdā), “il signore che sa”. Teoricamente distinto dallo “Spirito buono”, Ahura Mazdā è il solo dio della religione zoroastrica, che è dunque una religione monoteistica: lo “Spirito cattivo” (Angra mainyuAhriman) non è un dio, anzi è l’inversione dell’idea di Dio, l’antidio. Il monoteismo interferisce col dualismo: l’opposizione è, teoreticamente, fra lo “Spirito buono” e lo “Spirito cattivo”, di fatto fra Ahura Mazdā e Angra mainyu, Ōrmuzd (Ōrmazd) e Ahriman.

Ma è questa la verità ultima di ciò che appare? Oppure – come sostenevano i babilonesi – gli uomini sono stati creati dagli dèi per svolgere il lavoro che essi non vogliono fare e nell’empireo decidono di punirlo perché dalla terra fanno salire al cielo un rumore fastidioso che disturba il loro eterno e tranquillo piacere dei giorni?

Israele trova nelle proprie radici “narrazioni” alternative e ne compone altre, confrontandosi con chi lo circonda con i fasti del proprio culto e la sapienza delle riflessioni eziologiche riguardanti l’origine e il perché di tutte le cose.

Il serpente astuto e “nudo”

La disobbedienza perpetrata dall’umanità primitiva, e quella di tutti i tempi, al comando del Creatore di non essere onnivori nella conoscenza del bene e del male, fino ad allungare le mani sull’origine della vita e della sua manipolazione, e di accontentarsi di tutti i doni che ha già ricevuto dal suo Plasmatore, richiede il giudizio e la punizione.

Le cose non possono rimanere nell’indeterminatezza, creando confusione valoriale, incertezza nei limiti creaturali, ribaltamento dei ruoli che crei piccoli stregoni ai quali le cose sfuggiranno senz’altro di mano, con esiti disastrosi.

YHWH deve interrompere la sua passeggiata nel “giardino/gan” e trasformarsi necessariamente da amico e confidente a giudice imparziale, seppur benevolo, con il frutto delle proprie mani.

La convocazione in giudizio rende avvertito l’uomo della propria “nudità” (“sono nudo/‘êrōm ’ānōkî”) non più innocente di fronte a Dio, ma “colpevole” in quanto disobbediente alla sua parola e obbediente invece alla catechesi negativa del “Serpente/hannāḥāš”, il più astuto (‘ārûm) degli animali selvatici che Dio aveva fatto (‘āśāh). Una catechesi “diabolica”, che gli prospetta un Dio geloso dei propri poteri, contrario a una sua responsabilità di adulto “maggiorenne” e favorevole a una sua obbedienza succube e triste. Una catechesi che porta a una disobbedienza che rende l’uomo “nudo” vergognoso.

La donna che hai “donato con me”

La volontà di elaborare autonomamente, con un’onnipotenza creaturale “impossibile” e innaturale, una propria scala valoriale indipendente dalla relazione di comunione con l’unico onnipotentemente Buono, porta la coppia umana a rompere la propria comunione coniugale, dando vita a una catena di deresponsabilizzazione indecente, dis-umana. La complicità non crea mai solidarietà.

L’uomo scarica sulla donna la responsabilità della disobbedienza onnivora, che tutto vuol arraffare e tutto vuol “mangiare”, senza lasciar spazio alcuno alla creaturalità, alla fruizione serena della mole impressionante dei doni fatti da Dio alle sue creature, alla provvidenziale alterità comunionale con le persone e le cose. «Rispose l’uomo: “La donna che hai dato/donato con me/nātattāh ‘immādî, lei ha dato/donato a me dell’albero e mangiai”» (Gen 3,12 lett.).

Scaricabarile deresponsabilizzante e deprimente dell’“uomo” rispetto alle prospettive titaniche iniziali… Presa di distanza che scarica sul dono ricevuto dal Donatore tutta la colpa, autodenunciandosi in tal modo come un decerebrato incapace di ascoltare, valutare e assentire responsabilmente, decidendo per il meglio. Al momento, Dio non replica alcunché.

La donna scarica la colpa sul serpente: «Il serpente “mi ha ingannata/hiššî’anî” e mangiai». Al momento Dio non replica alcunché.

“Il serpente/hannāḥāš” è l’unico che viene “maledetto” – ‘arûr ’attāh –, senza alcun interrogatorio previo e audizione di argomenti a propria discolpa. “Il serpente/Male/Dia-bolos che separa l’uomo da Dio” non può stare sotto il bene-dire di Dio, l’onnipotentemente Buono. Potrà misteriosamente sopravvivere camminando vergognosamente senza gambe che lo pongano in posizione eretta, ma strisciando incollato al suolo polveroso, unico suo habitat naturale e unica fonte del proprio sostentamento. Il male mortifero non può che nutrirsi della “polvere/‘āpār” anidra e mortale, non insufflata dell’“alito di vita/nišmat ḥayyîm” proveniente da Dio che ha dato origine all’“essere vivente/nepeš ḥayyāh” (cf. Gen 2,7), l’umanità.

Discendenza/Discendente/Zera‘

Nessun fifthy-fifthy. All’origine della creazione non ci sono due Potenze di segno opposto che si spartiscono in modo uguale il campo umano con la propria influenza di vita o di morte, di bene o di male. Lo potevano pensare le antiche religioni del mondo iranico, respirate dagli esuli giudei anche a Babilonia insieme a quelle locali e dintorni. Esuli che formavano per lo più la classe dirigente: re, sacerdoti, scribi, sapienti, possidenti della terra e gli apprezzati artigiani. Furono lasciati a casa «parte dei poveri della terra come vignaioli e come agricoltori» (2Re 25,12; cf 25,1-21, Ger 39,1-14; v. 10: «Nabuzaradàn, capo delle guardie, lasciò nel paese di Giuda i poveri del popolo, che non avevano nulla, assegnando loro vigne e campi in tale occasione»).

Ai deportati Geremia scrisse una lettera per invitarli a un’integrazione positiva nel tessuto sociale babilonese, per riceverne benefici per la sopravvivenza e il benessere complessivo. L’inizio recita così: «Queste sono le parole della lettera che il profeta Geremia mandò da Gerusalemme al resto degli anziani in esilio, ai sacerdoti, ai profeti e a tutto il popolo che Nabucodònosor aveva deportato da Gerusalemme a Babilonia; la mandò dopo che il re Ieconia, la regina madre, i dignitari di corte, i capi di Giuda e di Gerusalemme, gli artigiani e i fabbri erano partiti da Gerusalemme».

Al suo popolo in esilio Dio ispira una “teologia” diversa, alternativa a quelle coeve circostanti. Il male sopravviverà misteriosamente nel mondo degli umani. Un mistero rimasto insoluto dalla Bibbia stessa.

Un “Protovangelo” di salvezza viene però proclamato nel bel mezzo della “maledizione” del male. La buona notizia è che l’idiosincrasia di Dio per il male (v. 15: “inimicizia/’êbāh”), la sua totale opposizione ad esso, sarà partecipata anche alla donna e, soprattutto, alla sua “discendenza/discendente/zera‘” (sostantivo maschile individuale e collettivo insieme).

Lui ti colpirà la testa

Lui (hû’ enfatico), “il Discendente/la Discendenza” dalla donna/Donna, “colpirà/insidierà/yešûpe” mortalmente in una zona vitale – la testa – il serpente malefico, mentre il serpente potrà anch’esso “colpire/insidiare/tešûpennû” il Discendente al calcagno. Lo colpirà però non mortalmente, e in una zona tutto sommato “periferica” e non vitale. La radice verbale è uguale per i due soggetti, il Discendete/la Discendenza e il serpente. La zona di attacco e l’effetto ultimo negativo però non si equivalgono.

Le traduzioni variano nella resa dell’espressione. Alcune pongono come soggetto della prima parte un pronome femminile (pensando a “la discendenza”). L’originale ebraico presenta il pronome personale di 3 persona maschile: hû’. Una traduzione opta per la terza maschile plurale “impersonale”.

Ecco una scelta: “Il t’ecraserà/et tu l’atteindrà (Bible de Jerusalem); “Celle ci te meurtrira/tu la meurtrira” (TOB); “Lui, il te visera/toi tu lui viseras” (Chouraqui); “he will crush/you will strike” (NIV); “they will strike/he will be your master” (REB); “he will strike/you will strike” (NRSV); “he shall bruise/you shall bruise” (ISV); “it shall bruise/thou shalt bruise” (KJV); “he shall bruise/thou shalt bruise” (ASV); “he shall crush/thou shalt crush” (DBT); “he shall bruise/you shall bruise” (ESV); “He shall bruise/you shall bruise” (NASB); “Esta te ferirá/tu lhe ferirá” (Bíblia Sagrada, portoghese) “él herirá/él dominarà” (Alonso Schökel);; “Er trifft dich/du triffst ihn” (Einheitsübersetzung); “essa ti colpirà/tu… colpirai” (Giuntoli in NVBTA).

L’interpretazione cristiana interpretò il Discendente/Discendenza con un senso messianico, e non si ingannò. Con la sua morte e risurrezione, Gesù, vero uomo e vero Dio, sconfisse il Male infliggendogli una ferita mortale, definitiva. Il massimo potere del male/Maligno – indurre l’uomo alla morte escatologica e spaventarlo con la morte biologica e i suoi anticipi (peccati, malattie, ansie, incredulità ecc.) – è stato vinto con la massima potenza dalla risurrezione di Gesù Cristo, con una vittoria escatologica, piena. La guerra è stata ormai vinta “al centro” dal Discendente della donna/Donna, anche se in periferia persistono ancora le battaglie e le sacche di resistenza.

L’“uomo/hā’ādām” chiamò la sua donna/moglie “Eva/Ḥawwāh” perché essa fu la madre di “ogni vivente/tutti i viventi/kol-ḥāy” (cf. Gen 3,20).

Si aspettava Miriam, la madre di tutti i redenti.

Nella discendenza di Eva emerge per grazia Maria, la madre del “Discendente/discendenza/zera‘”.

Con lei sarebbe incominciato un nuovo inizio, il trionfo della grazia in una donna.

Andando all’indietro

La comunità cristiana ha molto riflettuto sulla persona e la vicenda di Gesù, morto e risorto per dare la vita agli uomini lontani da Dio. Con racconti e inni celebrativi, dall’esperienza del Risorto essa è risalita all’indietro al Gesù della passione e morte, riscontrandone la perfetta identità. E così ha proseguito il cammino a ritroso, ricuperando e mettendo per iscritto la memoria credente degli atti potenti da lui compiuti e delle meravigliose parabole da lui raccontate. Illuminata dalla più grande intelligenza donatale dallo Spirito dopo la Pasqua, essa ha riflettuto sul fatto che Gesù possedesse fin dall’inizio le caratteristiche regali e divine mostrate man mano che la sua missione pubblica si sviluppava.

Nacquero in tal modo i “cosiddetti “Vangeli dell’infanzia” (Mt 1–2; Lc 1–2), che di per sé, dell’ “infanzia” non sono. Sono Vangeli riguardanti Gesù, che mettono per iscritto, con i generi letterari più adatti, la comprensione più profonda acquisita su di lui. Sono vangeli in miniatura, che scoprono e approfondiscono la “verità” della sua persona, senza inventare nulla che vada contro la sua identità più recondita. La “verità” di una persona non è solo quella storiografica che si tenta di raggiungere ai tempi moderni. Essa era, è, e rimane una frutto di fatti interpretati. La storia è sempre frutto di interpretazione.

A partire da alcuni nuclei storici di eventi riguardanti la persona di Gesù e ciò che lo attorniava, illuminati e approfonditi alla luce dei racconti dei patriarchi e dell’Esodo, dalle parole dei profeti e dei sapienti, si venne “caricando” la figura di Gesù con titoli e caratteristiche regali, messianiche, kyriali e divine che, rivelate in pienezza nella vita e soprattutto nella morte e risurrezione, vengono riscontrate presenti fin dall’inizio della vita del Redentore.

Uno sguardo di fede e di amore approfondisce la conoscenza della persona di Gesù, così come una lunga vita e felice vita matrimoniale fa scoprite ai coniugi realtà profonde del partner presenti in lui fin dall’inizio del loro incontro e che delineano più in profondità e “verità” la fisionomia complessiva dell’amato, ben più di quanto lo possa fare una striminzita carta di identità o un freddo rapporto di polizia.

L’evangelista Giovanni, da “aquila” qual era, giunse ad at-testare anche l’identità e la vita divina del Cristo Gesù, Verbo di Dio tutto rivolto verso il seno del Padre. Preesistente al creato dall’eternità e incarnato fra gli uomini, egli ha fissato la sua tenda in mezzo a quelle dei figli di Dio che erano dispersi (cf. Gv 1,1-18; 11,52).

Madre del Discendente, figlio di Eva, Figlio dell’Altissimo

La comunità primitiva rifletté a lungo sulla persona di Maria. Si intravide in lei un disegno vocazionale adombrato con delicatezza sulla sua giovane persona, che già elaborava in sé in propri desideri e i propri progetti personali.

Il testo evangelico illustra scenograficamente il mistero di una chiamata vocazionale e di una risposta generosa. L’annuncio dell’angelo – l’aiuto personalizzato di Dio offerto all’uomo per scoprire e attuare le vie di Dio all’interno dei progetti umani –, fa balenare dinanzi a Maria la propria vocazione. Essa sarà quella di diventare la Madre del Discendente di Eva, l’erede regale di Davide suo padre da sempre, il Figlio dell’Altissimo il cui regno sarà senza fine.

La chiamata è shoccante. Il profeta Geremia (cf. Ger 1,1-10) e il sacerdote Zaccaria (cf. Lc 1,18), chiamati a un compito profetico o a un ruolo importante nel disegno di Dio, chiedono lumi e spiegazioni (Geremia), avanzano forti perplessità (Geremia) ed esprimono la volontà di controllo del compimento delle chiamate-promesse di Dio (“secondo che cosa saprò”, si domanda Zaccaria in Lc 1,18).

Maria vive la sua chiamata vocazionale con apertura di cuore, nel quale non sono assenti perplessità circa le modalità con cui poter far convivere i suoi progetti personali con quelli di Dio. Non ha dubbi come Zaccaria incredulo. Da credente, accoglie la sua vocazione. È ciò che Elisabetta riconosce nella giovane parente: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45).

Maria chiede solo chiarimenti sulle modalità di attuazione dei disegni di Dio, rapportata al suo stato attuale di persona impegnata irrevocabilmente in un progetto di vita matrimoniale. Era la promessa sposa di Giuseppe, della casa di Davide (cf. Lc 1,27). “Come avverrà questo?/Pōs estai touto” chiede all’angelo. Maria non cede alle sirene di una possibile catechesi interna negativa su Dio, che potrebbe insinuarle l’idea della volontà di un Dio che voglia impedirle la realizzazione piena della propria vita, schiavizzandola da minorenne irresponsabile in un’obbedienza triste, rassegnata e dimissionaria.

Perplessità e visione non cristallina delle cose sì, opposizione sdegnosa e irrigidita al progetto di Dio no.

Tutta “graziata”/Kecharitōmenē

La Chiesa primitiva ha consultato i testimoni, ha meditato sugli eventi, ha approfondito gli elementi in ballo e ha compreso in profondità che Dio poteva chiedere a una giovane ragazza un inizio totalmente nuovo nell’ambito della storia solo se in precedenza le avesse donato per grazia una preparazione più che all’altezza del compito richiestole. L’angelo Gabriele si “scorda” di chiamare Maria con il suo nome, tanto grande è l’accumulo di grandezze contenuto nelle espressioni di saluto che le rivolge.

«Rallegrati», le annuncia, invitandola alla gioia messianica come aveva fatto il profeta Sofonia con la madre Sion, “madre” di tutti gli israeliti (cf. Sof 3,13-14).

«Il Signore è con te», le assicura l’angelo, come YHWH aveva detto tante volte ai suoi “servi” designati per compiti importanti nella storia del loro popolo (Abramo: Gen 26,24; Giacobbe: Gen 31,3; Giosuè: Dt 31,8, 1,17; 3,7; Gedeone: Gdc 6,12.16; Davide: 1Sam 20,1; 2Sam 7,3; Salomone: 1Cr 28,20; Giuditta: Gdt 8,35; Giacobbe-Israele Ger 46,28).

E, come un fulmine, arriva il nome nuovo di Maria: “Kecharitōmenē”.

Nella Bibbia il nome esprimeva la missione della persona.

YHWH aveva già cambiato il nome di Abram/’Abrām (“Mio padre è alto”) in “Abramo/’Abrāhām (Padre di una moltitudine”) (cf. Gen 17,5), quello di Giacobbe/Ya‘ăqōb (“Il tallonatore”) in “Israele/Yiśrā’ēl” (’Ēl si è mostrato forte” (cf. Gen 32,29), quello di Salomone/Šelōmōh (“Uomo di pace”) in Iedidià/Yedîdîāh (“Amato dal Signore”) (2Sam 12,25).

Il nome nuovo di Maria descrive la sua personalità, le sue origini, da cui potrà discendere il compimento adeguato della sua missione. “Tutta trasformata dalla grazia” è la sua nuova identità, fattale scoprire come tesoro prezioso di cui lei non aveva ancora avvertito coscientemente l’esistenza.

Il verbo trasformativo/fattitivo charitoō indica il lavorio compiuto da un soggetto per rendere un oggetto tutto trasformato in grazia (charis), intriso cioè degli effetti di un’azione benevolente che, dal soggetto agente, trapassa nell’“oggetto” recettore della sua azione, operando in esso un risultato totalmente nuovo rispetto allo stadio iniziale in cui esso si trovava all’inizio dell’azione. Nella lingua greca il perfetto passivo indica un’azione compiuta nel passato, i cui effetti perdurano nel presente (di chi scrive e di chi legge). Il participio perfetto passivo kecharitōmenē che costituisce il “nome” nuovo di Maria (in questo caso passivum divinum, in quanto risultato di un’azione compiuta da Dio) indica l’effetto permanente dell’azione “grati-ficante” attuata fin dal passato da Dio nei confronti di Maria.

Lo stato in cui si trova Maria al momento della sua chiamata a diventare Madre del Figlio dell’Altissimo non deriva dalla sue qualità proprie (come si potrebbe arguire dalla traduzione corrente “piena di grazia”, che impiega un aggettivo qualificativo). Questo, ad esempio, è lo stato “qualitativo” di Stefano, uno degli Setti eletti dalla comunità di Gerusalemme a sovrintendere alla distribuzione del cibo alle vedove dei discepoli credenti grecofoni. Egli viene qualificato come “uomo pieno di fede e di Spirito Santo/andra plērēs pisteōs kai pneumatos hagiou”, pieno cioè di qualità umane potenziate da doni spirituali provenienti da Dio.

Maria era un campo di terra buona – la terra di Israele e della madre Sion –, arato e preparato con cura da YHWH da tempo immemore. Lei era il frutto di un lungo lavorio previo compiuto da Dio perché, totalmente intrisa dalla grazia preveniente, elevante e immeritata di YHWH, potesse rispondere positivamente con piena libertà amante e credente al progetto di Dio nei suoi confronti. E questo pur non avendo tutto il cielo chiaro su di lei.

La libertà di Maria è piena, “realtà aumentata” e potenziata dalla grazia di Dio che la circonda da ogni parte e la intride in ogni sua fibra.

Il suo cuore è puro, immacolato, pieno d’amore.

La sua volontà è libera dal male e libera per il bene.

“La sapienza [La Sapienza] si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne” (Pr 9,1). Una casa nobile, signorile, come quella che si poteva ammirare visitando le matrone greco-romane del tempo ellenistico.

Guardando in avanti, al dono splendido del Redentore suo Figlio dall’eternità, Dio ha ricolmato Maria in anticipo, preventivamente, della grazia redentrice introdotta nel mondo dalla morte e risurrezione del suo figlio Gesù. Figlia del Figlio.

Il nuovo inizio nella storia, che avrebbe schiacciato mortalmente la testa al Serpente Maligno, richiedeva l’opera di Dio e di una donna.

Eva divenne la madre dei viventi (cf. Gen 3,20). Nella sua “discendenza/zera‘” sarebbe sorto il “Discendente/Zera‘”.

“Tutta trasformata in grazia dalla Grazia/kecharitōmenē”, Maria sarebbe stata la madre dei redenti.

“Immacolata” nell’amore.

È il destino splendido di tutti i figli di Dio: «In lui [= Il Signore nostro Gesù Cristo], [Dio] ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4).

Nessun privilegio “esclusivo/escludente”: “Lei sì/noi no”.

Un anticipo inclusivo: “Lei prima/noi dopo”.

Una Madre che apre la strada ai figli.

Fuoripista di neve immacolata.

Neve come gli altri, ma “immacolata/Immacolata”.

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