IV Per annum: Va’ tranquillo, profeta!

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Tempi critici per Geremia

Periodo cruciale della storia di Israele fu quello in cui si trovò (provvidenzialmente) a vivere il profeta Geremia. Era figlio del sacerdote (!) Khelkia residente ad Anatot, un piccolo villaggio situato a pochi chilometri a nord di Gerusalemme, sovrastante il deserto di Giuda degradante verso il fiume Giordano. Non seguì il padre nella professione sacerdotale, ma si trovò coinvolto nel delicato servizio di profeta di YHWH nei riguardi di Israele. Nato probabilmente una decina d’anni prima della salita al trono di Giosia re di Giuda (640-609 a.C.), gli fu rivolta la parola di YHWH che lo chiamava a essere suo profeta nel tredicesimo anno del suo dominio (627 a.C.).

La vita di Geremia si volse in periodi tempestosi per il regno di Giuda. Dopo Giosia (640-609 a.C., morto a Meghiddo combattendo il faraone Necao II), Geremia visse sotto il re Ioacaz, che regnò solo tre mesi, sostituito da Necao II con il suo fratello Ioiakìm (609-597 a.C.). Sempre preda di fazioni ondeggianti fra aperture all’Egitto e opzioni pro-babilonesi, il regno vide la sconfitta decisiva inflitta dal re babilonese Nabucodònor al faraone Necao II a Charchemish sul fiume Oronte nel 605 a.C. (Ger 46,2). Nabucodònor invase la Giudea e il re Ioiachìm fu vassallo per tre anni (2Re 24,1; 2Cr 36,6; Dn 1,1). Nel 600 a.C. quest’ultimo si ribellò a Nabucodònosor e fu probabilmente assassinato. Salì al trono suo figlio Ioiachìn (598/597 a.C.) che si oppose al re babilonese, il quale assediò Gerusalemme, la conquistò e deportò il popolo (598 a.C., prima deportazione, cf. Ger 52,28-30).

Nabucodònor depose Ioiachìn dopo solo tre mesi di regno e pose sul trono suo zio, Mattatia figlio di Giosia, cambiandogli il nome in Sedecia (598-587/586 a.C.). Solleticato da fazioni filoegiziane, Sedecia si ribellò a Nabucodònosor che, nel giugno-luglio 587/586 a.C., assedia e conquista Gerusalemme, cattura il fuggitivo Sedecia e, dopo avergli ucciso davanti agli occhi i suoi figli nella sede del suo comando generale delle operazioni a Ribla, lo acceca e lo deporta a Babilonia.

Geremia, che aveva consigliato di consegnarsi ai babilonesi, ricevette in dono la possibilità di scegliere se andare a Babilonia o di rimanere. Rimase a Gerusalemme.

Un mese dopo la conquista della città, il capo delle guardie babilonesi Nebuzardàn distrugge il tempio e la città e deporta il popolo (luglio-agosto 587/586 a.C., seconda deportazione). Il governatore (o re vassallo secondo lo studioso Blenkinsopp) Godolìa, posto da Nabucodònor a capo di ciò che era rimasto in Giuda, pose la sua sede a Mizpa, nel territorio di Beniamino (cf. 2Re 25,23) ma non durò a lungo. Fu ucciso da una banda di dieci uomini al soldo di Ismaele di stirpe regale (cf. 2Re 25,25), nel settimo mese e si diedero alla fuga in Egitto, temendo la ritorsione babilonese. Geremia cita fra questi Giovanni, figlio di Karèach, Azaria, figlio di Osaià e tutto il popolo (cf. Ger 42,1).

Geremia scese con loro in Egitto (cf. Ger 42s; forzatamente? per scelta di condivisione? secondo Lopasso) e si stabilì a Tafni, dove predicò contro l’idolatria e predisse l’invasione dell’Egitto da parte di Nabucodònosr. Pochi anni dopo i babilonesi misero in atto la loro vendetta e deportarono il popolo (582 a.C., terza deportazione, cf. Ger 52,30).

Geremia morì in Egitto, fuori della terra di Israele, lapidato dal popolo, secondo l’apocrifo Vite dei profeti 2,1-2.

Il libro del profeta

La predicazione di Geremia e le integrazioni dei suoi discepoli portarono alla composizione del libro di Geremia (dal 562 a.C. fino al IV sec. a.C.). Gli oracoli contro le nazioni, conservati nella traduzione greca della LXX nella loro collocazione primitiva dopo l’introduzione del c. 25 (Ger 26.29.31.30.27.28 LXX più varie aggiunte), nel testo masoretico furono spostati alla conclusione del libro (Ger 46 – 51TM).

Il libro si conclude con una nota di speranza. Esso ricorda la riabilitazione del re Ioiachìn che, nell’anno della sua salita al trono, fu graziato dal nuovo re babilonese Evil-Merodàc (562/561 a.C.). Fu ammesso a mangiare alla corte regale babilonese, mantenuto a vita in “prigionia dorata” (Ger 52,31-34). Ger 52 fu probabilmente aggiunto quando i capitoli con gli oracoli delle nazioni furono spostati dal centro alla fine del libro.

In tal modo si conclude il libro di un profeta importantissimo per la storia di Israele, per la spiritualità e la teologia da lui trasmesse (cf. il veemente e “dissacrante” discorso al tempio, riportato al c. 7 e al c. 26; il drammatico scontro contro il falso profeta prezzolato Anania, le famose cinque “confessioni”, la lettera ai deportati del c. 29, in cui li invitava con realismo all’integrazione, in vista della continuità del popolo, l’annuncio di una nuova alleanza in 31,31-34). Un libro amato dai discepoli di Gesù, che nel NT lo citano o vi alludono circa 180 volte.

Una possibile struttura letteraria del libro può essere la seguente (V. Lopasso):

Prima parte: Oracoli contro Giuda e Gerusalemme (cc. 1–25):

c. 1 Capitolo programmatico; cc. 2 – 6 La predicazione iniziale; cc. 7–10 Primi interventi di Geremia contro Ioiachìm; cc. 11–20 Geremia contro il popolo sotto il regno di Ioiachìm; cc. 21–25 Contro la casa regale e i profeti (cc. 21–24) e annuncio del giudizio su Giuda e le nazioni (c. 25).

Seconda parte: La fine di Gerusalemme e delle nazioni (cc. 26–52):

cc. 26–35 Inizio del calvario di Geremia e prospettiva di speranza; cc. 36–45 Il rifiuto della parola profetica; cc. 46–51 Gli oracoli contro el nazioni; c. 52 Appendice storica.

Prima… ti ho conosciuto

Dopo i versetti della soprascritta (vv. 1-3, il profeta narra il momento della sua vocazione profetica, servendosi del genere letterario “vocazione”, che comprende alcuni elementi fissi ricorrenti. Nel momento dell’incontro fra i due personaggi/chiamata compare “la formula dell’evento della parola” che punteggia il libro di Geremia, permettendo forse a una sua possibile suddivisione letteraria: “La parola fu verso Geremia” (cf. 7,1; 11,1; 14,1; 21,1; 30,1).

La Parola, e non lo Spirito, fu rivolta verso Geremia. Lo Spirito adombra, prende possesso, anima, infuoca, spinge… La parola invece interpella personalmente, si rivolge a un “tu” che è chiamato alla risposta personale, libera, consapevole dei propri limiti ma anche della grandezza della parola di YHWH, al cui incarico è difficile sottrarsi, anche se teoricamente possibile in un primo momento (si pensi alla vicenda di Giona, Gn 1,1-3; 3,1-3a).

YHWH rivela a Geremia di aver avuto su di lui un progetto che precedeva il suo stesso concepimento e la sua nascita. Tale concetto ricorreva nell’ideologia regale dei popoli circostanti Israele e si ripeterà per il Servo sofferente (Is 42,2.24; 49,1.5), Giovanni Battista (Lc 1,5), Gesù stesso (Lc 1,32-33) e Paolo (Gal 1,15).

YHWH ha “conosciuto/yeda‘tîkā” Geremia di amore appassionato, di conoscenza amorosa e integrale, non solo intellettuale. L’ha conosciuto amandolo e abbracciandolo, vedendo già il suo compito di diventare profeta a favore delle nazioni. YHWH ha conosciuto e “consacrato/hiqdaštîkā” Geremia, con l’unzione tipica dei sacerdoti ma estensibile anche ai profeti. Essi erano connotati da una “sacralità” analoga a quella sacerdotale, segregati dalla profanità per farli tutti del Totalmente Altro, per diventarne suoi portavoce attendibili perché ne condividono il cuore, il pensiero, la volontà di bene (cf. Eliseo è denotato come “santo/qādôš”).

Geremia non dovrà andare necessariamente fra le nazioni, ma annunciare un messaggio che sia valido anche per loro (cf. 25,15-38; cc. 46–51), proveniente da parte di YHWH, creatore, padre e governatore di tutte le nazioni. La promessa di benedizione in Abramo abbraccia non solo il popolo eletto, ma anche loro.

Sono solo un ragazzo

Dopo la chiamata, segue l’obiezione/la difficoltà/la richiesta di chiarimento. A questo proposito, si comprende come anche l’Annunciazione a Maria, narrata in Lc 1,26-38, sia in realtà un racconto di vocazione, all’interno del quale il compito specifico al quale Maria è chiamata sarà quello di diventare madre del Figlio dell’Altissimo.

Per parlare in pubblico – specie nelle società mediorientali – occorre essere persone adulte, attendibili, autorevoli. Per questo anche Gesù comincia a muoversi quando ebbe «circa trent’anni» (Lc 3,23), non prima. Quando YHWH chiama, non sono incarichi per ragazzi, normalmente… I compiti non sono mai semplici…

Al tempo di Geremia ci sono molte situazioni complicate a livello religioso (idolatria), politico (debolezza assira, espansione babilonese, pretese egemoniche egiziane), sociali (disparità di vario genere e ingiustizia diffusa).

Geremia le intuisce molto bene – è un ragazzo sveglio, ma timido e sensibilissimo –, e si sente inadatto, troppo giovane, ancora “un ragazzo/na‘ar”. “Na‘ar” indica l’uomo non adulto (L. Alonso Schökel), è può andare dal bambino ancora non nato (Gdc 13,8) a chi può operare come profeta (2Re 9,4). Può significare bambino, neonato, infante, bebè, pargolo, bimbo, ragazzino, fanciullo, giovane, ragazzo, adolescente, garzone, giovanotto.

La mansione specifica il significato, a seconda del campo di operazione: ragazzo, servo, garzone, cameriere, dipendente, attendente, assistente, guida (di un cieco), soldato. È la tappa anagrafica successiva a quella di “bambino/yeled”, e può andare indicativamente dai tredici ai vent’anni circa (2Re 9,4). Davide che affronta il gigante Golia è un na‘ar, e per questo viene da lui disprezzato (cf. 1Sam 17,42).

La tappa anagrafica successiva sembra esser quella del “giovanotto/bāḥûr”.

Non “sono capace/non posso/lō’ yāda‘tî” di parlare, risponde Geremia alla parola di YHWH che lo chiama. “Tu conosci/tu sai/yāda‘tîkā” (v. 4), “io però non conosco/non so/lō’ yāda‘tî” (v. 5)!

Non è che Geremia sia balbuziente come Mosè (cf. Es 4,10), il quale aveva avanzato ben cinque obiezioni/difficoltà a YHWH prima di cedere alla sua chiamata a diventare liberatore del suo popolo: cf. Es 3,11 (“chi sono io per andare?”).13 (“Qual è il suo nome?”); 4,1 (“Non ti è apparso il Signore”); 10 (“Non sono un buon parlatore/lett.: non [sono] uomo di parole, io”).13 (“Manda chi vuoi mandare!”).

Tranquillo, non aver paura…

Per completezza di discorso, commentiamo anche alcuni versetti non letti nella liturgia (vv. 6-8).

YHWH rassicura Geremia, viene incontro a lui per sciogliere la sua difficoltà, la sua obiezione, e indicandogli l’incarico a cui è chiamato, l’oggetto della sua vocazione. Anche per Maria l’angelo scioglierà la richiesta di spiegazioni sulle modalità realizzative del suo compito, mentre il sacerdote Zaccaria riceverà il castigo/segno del mutismo per la sua richiesta di conoscere dettagliatamente le circostanze/prove della realizzazione di ciò che ha sentito nell’annuncio angelico: «secondo cosa conoscerò?» (cf. Lc 1,18). Egli incappa in tal modo nell’incredulità, mentre invece Maria è invece dichiarata beata da Elisabetta perché «ha creduto» alle parole dette dall’angelo (cf. Lc 1,45).

Geremia deve levare dalla sua mente, e dal suo inconscio, il senso di inadeguatezza rispetto al compito, per via del fatto di essere ancora (molto/relativamente) giovane.

Non dire più quel che pensi, ma pensa quello che ti dico io, gli comanda YHWH.

Lo scioglimento della difficoltà sta nell’obbedienza pronta, serena, “letterale” e “abbandonata” alla chiamata.

Un compito che viene dopo e “sopra” un dono che lo precede. Un Auf-gabe che viene dopo e si appoggia sopra-con-contatto (auf) un Gabe che lo precede per grazia.

Tu “andrai/dovrai andare/potrai andare/va’/tēlēk” (v. 7b) – dice YHWH con un tempo verbale yiqtol, la forma imperativale più delicata delle tre possibili, che apre una strada più che indicare un puro comando – verso coloro/contro coloro e solo a chi/contro chi “io ti invierò/’ešlāḥākā”. Andrai perché prima io sono venuto da te. Andrai verso di loro e anche contro di loro, se è necessario. Non si usa la preposizione ’el “verso”, ma ‘al, che significa in prima battuta “sopra, contro”. Si veda anche, chiaramente, questo significato di ‘al nel cap. 18, parallelo al v. 7. Vi andrai perché ti mando io, non per iniziativa tua, basandoti sulle tue forze, sfruttando solo le tue capacità, temendo le tue paure…

«Tutto – e solo quello – che io ti comanderò, tu “dirai/tedabbēr”» (v. 7c). Un altro verbo al tempo yiqtol, che apre una strada… Una parola obbedienziale, mirata, misurata, “divina”… Ammonisce infatti severamente il Deuteronomio, “il libro della Legge” scoperto nel 622 a.C. durante i lavori per la ristrutturazione del tempio, nel diciottesimo anno del re Giosia e quindi cinque anni dopo la vocazione di Geremia (cf. 2Re 22,3-10 e la consultazione della profetessa Hulda, vv. 11-20): «Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire» (Dt 18,20).

Io sono con te

“Non avere paura/’al tîrā’” di loro, rassicura dice YHWH al v. 8a, riferendosi a tutti i membri del popolo, compresi i capi che, opponendosi al profeta, diventeranno fonte continua di paura. Non dovrà spaventarsi neppure Maria di Nazaret di fronte alla grandezza del suo compito (cf. Lc 1,30). L’espressione “non temere” è usata anche nel contesto della cosiddetta “guerra santa” (cf. per es. Es 14,13; Gs 8,1; Is 7,14).

YHWH motiva la sua rassicurazione e la specifica: “Infatti con te (sono) per liberarti/ kî ’ittekām ’ănî lehaṣṣillek” (non solo per “proteggerti”, CEI 2008). YHWH non esclude del tutto opposizioni anche violente, sofferenze, desolazioni umane e spirituali, ma promette non solo presenza e protezione, ma anche liberazione/salvezza. Geremia subirà l’astio dei potenti, l’allontanamento freddo e il tradimento subdolo e lancinante dei parenti, la solitudine spirituale e affettiva inerente anche al celibato (unico caso nell’AT!).

Un esempio eclatante. Durante l’assedio di Gerusalemme del 587/586 a.C., Geremia finirà in prigione in una cisterna sotterranea a volta, accusato di disfattismo e di intelligenza col nemico (cf. Ger 37,11-16), pur dialogando in modo cifrato col re Sedecia, ricevendone da lui il pane… quotidiano, finché ce ne fu (cf. Ger 37,17-21). In realtà, Geremia suggeriva con realismo politico di arrendersi ai nemici superiori per forze e mezzi, onde evitare una tragedia di enormi proporzioni. Il che si avverò, infatti… Sefati, Godolìa, Iucal e Pascur strapparono al re la decisione di rinchiuderlo in un regime carcerario ancora più duro, in una cisterna con molto fango situata all’entrata della prigione (cf. Ger 38,1-6). Vi fu immerso, ma fu salvato da alcuni amici potenti, in primis Ebed-Mèlek l’Etiope (cf. Ger 38,7-13).

Ancorché prigioniero, poté rimanere in regime carcerario alleggerito, nell’atrio della prigione, consigliere ricercato (ma non ascoltato) dal tremebondo e incerto re Sedecia (cf. Ger 38,14-26). Il re non lo ascoltò, rimase prigioniero di chi lo consigliava malamente a resistere, cosa che Geremia gli aveva sconsigliato (cf. Ger 38,17.21). Geremia poté così sopravvivere, anche con qualche “bugia bianca” o “restrizione mentale”, fino al giorno in cui Gerusalemme fu presa (Ger 38,27-28).

La rassicurazione di YHWH a Geremia sarà ripetuta al v. 17. La vocazione profetica sarà una dura “lotta” per il profeta, una battaglia vera e propria. Per questo deve cingersi ai fianchi la veste perché non impedisca o intralci la prontezza al combattimento (cf. Gb 40,7). Non devi aver paura degli uomini, gli dice YHWH, altrimenti sarò io stesso, come una quinta colonna impiantata nel tuo cuore, a riempirti di paura di fronte ai potenti avversari (v. 17).

YHWH promette al suo profeta un’attrezzatura “militare” degna di un membro delle forze speciali, dotato di potenti armi difensive e offensive: diventerà come una città fortificata, una colonna di ferro, un muro di bronzo. Il che, tradotto, significa: pistola Beretta 92 FS, Heckler & Koch UMP 9, casco di protezione balistico, giubbotto antiproiettile, Gilet tattico Puma, Land Rover Discovery 4, Spray urticante. Oppure: pistola Beretta PX4, pistola mitragliatrice MP5 o MP7. In alternativa, ci sarà la Glock 17 e la carabina Colt M4. Disponibili anche una vasta gamma di fucili d’assalto e di carabine, ordigni a effetto abbagliante-assordante e fumogeno (flashbang), oltre che con esplosivi al plastico per l’irruzione, visori notturni e termo-camere. Le telecomunicazioni con altri agenti profeti saranno assicurate da apparati leggeri e potenti, dotati di auricolare per non intralciare l’attività.

Liberazione

Geremia dovrà andare “contro/‘al” tutto l’establishment politico-militare-religioso-economico (v. 19, non letto nella liturgia): i re di Giuda, i suoi capi, i suoi sacerdoti e “il popolo del paese/‘am hā’āreṣ”. Questi ultimi non costituiscono il popolo semplice e rozzo dei contadini, come spesso si pensa con un anacronismo illegittimo (si intenderà questo in tempi successivi, cf. il disprezzo mostrato dai sommi sacerdoti in Gv 7,49: «Questa gente che non conosce la Legge, è maledetta»). Ai tempi di Geremia, “il popolo della terra” erano i ricchi e potenti latifondisti, i possidenti terrieri, l’aristocrazia economica del paese, i grossi commercianti.

YHWH promette al profeta presenza, protezione, liberazione. Proprio come nel v. 8. Di qui si comprende come, per coerenza sintattica e semantica, io preferisca tradurre “contro/‘al” anche al v. 6 (e non “verso [in questo caso ci sarebbe la preposizione ’el]), là dove vengono descritti i destinatari del suo impegnativo ministero profetico.

In definitiva, il profeta Geremia nella sua vita sarà chiamato a parlare (ben espresso con pro-phēmi in greco) a nome di YHWH e di fronte ai suoi interlocutori. Dovrà affrontare in un colpo solo tutta “la casta”!

Da far tremare i polsi al “ragazzo”…

Vai tranquillo, profeta…

Io sono con, per liberarti.

Prima i nazaretani!

Gli abitanti di Nazaret presenti nella sinagoga reagiscono con ammirazione meravigliata alle parole di Gesù sul compimento della Parola di Dio nell’“oggi” della sua presenza (cf. Lc 4,21).

Gesù prosegue la sua spiegazione del brano profetico di Is 61,1ss proclamato come “haphtarah/aggiunta” dopo il brano della Torah (tratto cioè da uno dei primi cinque libri della Bibbia, Gen–Dt). I suoi compaesani rendono testimonianza e si meravigliano a motivo anche del fatto che le parole che escono dalla bocca di Gesù sono “parole di grazia/logois charitos” (v. 22). Gesù sente come proprio programma di vita le parole di grazia liberatrice contenute nella lettura propria della liturgia sinagogale di quel sabato: un anno di grazia e ben accetto a Dio, perché prevede l’evangelizzazione dei poveri, la liberazione dei prigionieri, (il recupero del)la vista ai ciechi e la libertà a coloro che sono stati fatti a pezzi/tethrausmenous” (vv. 18-19).

Poi iniziano i distinguo e le meraviglie dei presenti che, in un crescendo malefico, distinguono, deprezzano, restringono, relativizzano, annullano e respingono. Dai suoi compaesani, Gesù è catalogato e rinchiuso nella sua sola dimensione familiare molto semplice e dimessa. Per loro, Gesù è il figlio di Giuseppe (“il falegname/artigiano/carpentiere/tektōn” specifica Mt 13,55; tektōn Gesù stesso, afferma Mc 6,3, in quanto il figlio fa ciò che fa il padre…) (v. 22).

Gesù conosce bene la sua gente e cita un proverbio che invita le persone a far del bene a partire dal proprio cerchio familiare, cittadino, sociale: «Medico, cura te stesso» (v. 23a) Anzi, lo specifica rilanciando le parole dette dai presenti (v. 23b): «Fa’ anche qui le cose che abbiamo sentito essere accadute a Cafarnao» (lontana circa 50 km, a 214,58 m sotto il livello del mare [dati del 19 dicembre 2018], un dislivello negativo di circa 700 m. rispetto a Nazaret). Le voci corrono veloci nel paese, grazie ai venditori di pesce fresco e salato di Tarichea e ai commercianti che transitavano sulla Via Maris proprio a Cafarnao, una vera e propria vena giugulare del commercio.

«Comincia a farli/Falli anche qui, nella tua patria» (v. 23c), comandano i nazaretani a Gesù (poiēson, imperativo aoristo ingressivo). Falli anche qui, ed era anche meglio se li facevi prima qui da noi!

Prima noi, i tuoi compaesani. Prima noi, i nazaretani!

Profeta vs narrow-minded

Gesù sente che la polemica sta salendo e l’aria si fa pesante. Aveva già compiuto delle predicazioni e delle guarigioni, ma l’evangelista Luca ha anticipato a questi fatti il discorso programmatico di Nazaret del c. 4, il “discorso alla nazione”. Di qui si capisce il veleno pericoloso iniettato nelle parole dei nazaretani. Pericoloso fino ad essere mortale.

Gesù risponde affermando chiaramente che nella propria patria (v. 24), fra la propria gente, un profeta non è “ben accetto/dektos” (v. 24). E, di conseguenza, finisce che non può essere ben accetto neanche l’anno di grazia che lui viene a rendere presente con la sua vita (cf. v. 19 “l’anno accetto al Signore/eniauton kyriou dekton”). E, in ultima istanza, non lo sarà neanche YHWH che ha inviato Gesù!

Nella sinagoga la protesta dev’essere trascesa in una discussione accesa che Luca ha ritenuto di non dover riportare nei particolari. Il tono deve essersi fatto sempre più aspro, passando da alcune pretese di sapore campanilistico a toni di nazionalismo acceso. Si è probabilmente cominciato a discutere di Dio, di YHWH stesso…

Dal Dio delle benedizioni per tutti i popoli in Abramo (cf. Gen 12,1-3) si va a difendere l’immagine di un dio di elezione esclusiva, un dio nostro, non di “loro”, degli “altri”. Un dio sovranista, che si muove dentro confini ben definiti, da difendere con le unghie, i “nostri confini”. Un dio narrow-minded, specchio perfetto della ristrettezza mentale (narrow-mindedness), dell’intolleranza e del provincialismo becero e razzistico dei compaesani di Gesù, che sembrano ragionare con paraocchi teologici rabberciati grossolanamente.

Un Dio dei pagani?

Gesù non è “un ragazzo” di primo pelo, come Geremia. È profeta di Dio come lui, ma è un uomo maturo, un uomo fatto. Ha più di trent’anni, autorevole, deciso, coraggioso. Dalle puerili pretese campaniliste si passa a discussioni che dipingono YHWH come un dio che esiste solo per Israele, un dio nostrano, fatto in casa e acerrimo sovranista.

Come profeta di Dio, Gesù difende l’immagine vera del volto di YHWH. Nella storia ha proceduto sempre per scelte di elezione, ma inclusiva e non esclusiva (cf. Rm 9,6-15). YHWH ha eletto Israele perché fosse suo testimone nel mondo egli uomini. A YHWH appartengono tutti i popoli. È il Dio anche delle nazioni.

Nella sua discussione di sapore rabbinico, per allargare la visuale ristretta dei suoi compaesani circa il volto di YHWH, Gesù riprende due passi presenti nelle Scritture di Israele.

Dapprima, egli cita il caso del profeta Elia, che visse un periodo di siccità di tre anni e sei mesi e sopportò la persecuzione da parte della regina Gazabile, figlia di Ebal re dei sidoniti e sposa del re di Israele Acab (874-853 a.C.). Elia fu mandato da YHWH a ricevere aiuto da una povera vedova di Sarepta di Sidone (cf. 1Re 17,1-24), l’attuale Sarafand in Libano. Situata a circa 14 km a sud di Sidone e a 15 a nord di Tiro, a poco meno di 25 km da Rosh Hanikra, la cittadina israeliana posta esattamente sul confine con il Libano.

Elia trovò aiuto dalla povera vedova, a lui completamente sconosciuta (e viceversa!) e, a sua volta, le rivivificò il figlio che, in seguito, aveva cessato di respirare (cf. 1Re 17,17-24).

Elia fu inviato solamente (oudēmian… ei mē, v. 26) a una povera vedova di Sarepta di Sidone in Libano. Una povera donna, una straniera, una pagana.

Il secondo caso citato da Gesù riguarda il lebbroso Naamàn (2Re 5,1-14), capo di stato maggiore dell’esercito siriano di Damasco, che aveva spesso combattuto contro Israele.

Un uomo potente, uno straniero, un pagano, un militare nemico di Israele.

Grazie alle informazioni fornitegli da una ragazza ebrea fatta prigioniera in una razzia in Israele e finita a servire come schiava alla moglie, Naamàn fu indirizzato dal re di Damasco al re di Israele per essere da lui guarito. Al re Ioram (852-841 a.C.), infuriato per la richiesta – dal momento che solo Dio poteva guarire un morto vivente qual era un lebbroso –, il profeta Eliseo, discepolo di Elia, mandò a dirgli di inviarlo da lui, perché si sapesse che c’era un profeta in Israele! (cf. 1Re 5,8).

Il profeta fece bagnare Naamàn sette volte nel Giordano e lo rimandò a casa guarito. Naamaàn vi tornò portandosi via una coppia di muli carichi della terra di Israele, per potersi prostrare sopra nel momento della preghiera personale. Si era convinto infatti di una cosa: «Non c’è Dio sulla terra se non in Israele» (1Re 5,15). Naamàn inizia un cammino di fede e riconosce l’unicità di YHWH, sovrano di tutto il mondo e di tutti i popoli, benefico anche verso un militare siriano, risuscitato da “morte”. YHWH è Dio di tutti, ovunque. Comunque, per sicurezza, è meglio portarsi via un po’ di terra di Israele…

Il profeta se ne va, tranquillo

I nazaretani hanno capito benissimo la lezione biblica impartita dal loro illustre concittadino di Nazaret. Hanno capito che YHWH ha scelto con elezione inclusiva Israele come suo testimone nel mondo. È il Dio di Israele, ma non solo di Israele. YHWH non ha un cuore ristretto e meschino. Ha il cuore largo e accogliente. È il Dio di tutti i popoli. In Abramo tutti sono benedetti, beneficiari della vita buona del “vangelo” portato dal suo illustre e “unico” discendente, il Cristo Gesù (cf. Gal 3,16).

Gesù è la presenza viva di YHWH sulla terra. In lui si compie in pienezza la parola comunicata nel passato ai padri nella fede (cf. Lc 4,21). Il suo Dio, YHWH, il Padre, non è un dio dalle vedute ristrette, un narrow-minded.

YHWH, il Padre di Gesù, non è un dio nazionalista e sovranista da quattro soldi, meschino e narcisista. YHWH è il Dio di tutti i popoli, ugualmente cari a lui e custoditi come tesori dal suo cuore. Con la sua parola, con le sue azioni e con le sue opere di guarigione Gesù testimonierà questo Dio, non un altro, la sua caricatura.

Questo è il succo del “discorso alla nazione”, “il discorso programmatico”, tenuto da Gesù nella sinagoga di Nazaret all’inizio della sua vita pubblica.

Si capisce allora, senza giustificarla s’intende, la reazione dei nazaretani. Tutti “furono riempiti” di “rabbia fumante /thymos” che usciva loro dalle narici. Un passivum non divinum in questo caso, ma diabolicum, divisivum, narrow-minded.

Bava alla bocca. Occhi spiritati. Si preannuncia un ragionamento aberrante, da ignoranti.

I nazaretani gettano fuori Gesù dalla sinagoga, lo spintonano verso una collina per farlo precipitare in basso e liberarsi così di un profeta scomodo, non accetto. (A parte il fatto che a Nazaret non esiste alcun precipizio… La rabbia cieca fa loro dimenticare – grazie all’evangelista Luca, s’intende – perfino la geografia della salvezza su cui poggiano i piedi… Non conoscono neanche il loro territorio…).

Gesù non è un profeta di primo pelo. Non è più un “ragazzo” come Geremia. È un uomo fatto, un adulto rispettabile autorevole, coraggioso.

Lui, per quanto lo riguarda (un autos “sovranista”, gigantesco, all’inizio del v. 30!) “li infilza tagliandoli in due/dielthōn dia meson autōn” e “si mette(va) in cammino/eporeueto” (imperfetto di continuità).

Intraprende un “lungo viaggio” (cf. Lc 9,51–19,45), la salita che lo porta a Gerusalemme (cf. 9,51.53; 13,22; 17,11; 18,31; 19,28). Dopo un avvicinamento al rallentatore alla città madre (19,37.41), al termine del viaggio, Gesù entrerà nel tempio di Gerusalemme (19,45), cuore pulsante della città.

Se ne va tranquillo, il profeta Gesù.

Non è più “un ragazzo”.

Il Padre è con lui.

Il Dio di tutti i popoli.

Lo ha liberato.

C’è tutto il mondo che lo aspetta là fuori…

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