V Quaresima: Attirerò tutti a me

di:

Tutti attirati a te! Tutti stretti al tuo cuore d’amore, centro di attrazione del mondo. Tu ci attiri con legami di bontà, con vincoli d’amore (cf. Os 11,4a) e noi camminiamo su questo raggio di luce ambrata per venire a te. Ci avviciniamo al monte Moria del dono generoso di te stesso. Desideriamo di arrivare presto al traguardo del cammino quaresimale.

Noi attirati al tuo cuore, tu che poni in noi te stesso, la Parola viva. Un’alleanza nuova, profonda, infrangibile, eterna. Pasqua è essere con te. Quaresima è lasciarsi “marcire” nel terreno quotidiano che ci chiede il dono, ci chiede il perderci per ritrovarci.

Guida il nostro cammino, da’ forza alla nostra debolezza. Prendici nella tua “ora” e donaci tutto il peso d’amore del Padre, la sua gloria infuocata dal bacio dello Spirito. Attiraci a te, trascinaci con te, corriamo! Introducici, o re, nelle tue stanze: gioiremo e ci rallegreremo con te, ricorderemo il tuo amore più del vino. A ragione di te ci si innamora! (cf. Ct 1,4).

Consolazione

Fa bene al cuore e rianima la speranza raccogliere le promesse di vita di YHWH al suo popolo già colpito da una prima deportazione (597 a.C.) e poi da quella disastrosa del 587 a.C. Il libretto dei vari oracoli pronunciati dal profeta Geremia, assemblato probabilmente dai suoi discepoli, sarà intitolato dalla tradizione successiva “Il libro della consolazione” (Ger 30,1 – 33,26). Esso raccoglie vari annunci di salvezza, assieme al ricordo della “punizione” inflitta da YHWH al suo popolo incredulo. Il libretto fa percepire ancora il fiato sul collo dell’assedio di Gerusalemme (587 a.C.).

Con l’aiuto di uno specialista (V. Lopasso), possiamo delineare la struttura dell’insieme dei capitoli del “Libro della consolazione”, un testo fondamentale della speranza di Israele, ricco di promesse e di contenuti teologici fondamentali.

1) “Il ritorno in patria e la nuova alleanza” (30,4–31,40): Introduzione (30,1-3) e Il ritorno in patria (30,4–31,22: Liberazione dalla calamità, 30,4-7; Il nuovo servizio, 30,8-9; Il rimpatrio, 30,10-11; La guarigione delle piaghe, 30,12-17; La restaurazione del popolo nel paese, 30,18-21; Giudizio degli empi e salvezza del resto, 30,22–31,3; Il ripristino delle condizioni di vita nel paese, 31,4-6; Il rimpatrio di Israele, 31,7-9; La gioia del ritorno, 31,10-14; la fine dell’esilio, 31,15-22; La santità del tempio e di Gerusalemme, 31,23-26; Ripopolamento del paese e responsabilità nel peccato, 31,27-30; La nuova alleanza, 31,31-34; L’attaccamento di YHWH a Israele, 31,35-37; La consacrazione di Gerusalemme, 31,38-40);

2) “La restaurazione del paese” (32,1–33,26, testo interamente in prosa): Geremia sotto custodia, 32,1-5; La compera del campo, 32,6-15; La preghiera del profeta, 32,16-25; Prima risposta di YHWH, 32,26-44 (tre oracoli: vv. 26-35.36-41.42-44;); Seconda risposta di YHWH 33,1-13 (tre oracoli: vv. 1-3.4-9.10-11.12-13); L’alleanza di Davide con i sacerdoti leviti, 33,14-26 (quattro oracoli: vv. 14-16.17-18.19-22.23-26).

Una nuova alleanza

Per sette volte in questi capitoli si ripete il ritornello “cambierò la sorte/wešabtî ’et šebût” (30,3.18; 31,23;32.ì,44; 33,7.11.26; cf. 29,14). In Ger 29,10-14 viene fatta da YHWH la promessa fondamentale che regge i capitoli successivi: dopo settant’anni di esilio, egli ricondurrà il suo popolo nel proprio paese da tutti i luoghi in cui è disperso e rinnoverà la sorte della gente e anche quella della stessa Gerusalemme.

Egli stesso preannuncia che proprio il popolo lo cercherà con tutto il cuore, ed egli esaudirà il loro grido: «…al periodo di afflizione e di castigo succederà, una volta compiuto il giudizio, un’epoca di felicità, di prosperità e di salvezza. Pertanto il profeta vede il castigo non come l’ultima parola sul popolo, ma come il presupposto necessario per Egli possa, predisposto adeguatamente, instituire per lui un futuro nuovo e ristabilire la stessa relazione precedente, ma su basi completamente nuove (31,3-34; 32,36-41)» (V. Lopasso, corsivo mio).

Su queste basi di promesse praticamente unilaterali di YHWH, accompagnate dalla conferma del principio molto innovativo della responsabilità personale, e non collettiva, del male commesso e delle punizioni ad esso collegate (cf. 31,29-30), si staglia l’oracolo contenente la promessa di una “nuova alleanza”.

In un primo oracolo (vv. 31-32), YHWH annuncia la “stipulazione/krt (= scrivere)” di una “nuova alleanza/berît hădāšāh”, un’“alleanza eterna/berît ‘ôlām”. Essa sarà totalmente diversa nei suoi fondamenti da quella sinaitica stipulata ai tempi dei loro padri, in pratica con Mosè (cf. Es 19,1ss).

Prima di quella, YHWH ne aveva stipulata una stabile e inamovibile come i monti e i colli, piena di “affetto/asdî”, “un’alleanza di pace/ berît šelômî”, fondata su “YHWH che usa misericordia /meraămēk YHWH” (cf. Is 54,9-10). Il segno visibile di rimembranza dell’alleanza di YHWH (la “mia” alleanza, “l’alleanza eterna”), era l’arcobaleno, l’arco di guerra deposto e trasformato in arco di pace (cf. Gen 9,12-16).

Alleanza unica ed eterna ex parte Dei

Ex parte Dei, da parte di YHWH, l’alleanza è unica, eterna, immutata nei contenuti: la comunione d’amore con gli uomini e, in particolare, con il suo popolo prescelto come testimone. Non ci sono tante e diverse alleanze e l’alleanza nuova stipulata nel Figlio Gesù sulla croce e anticipata nell’Ultima Cena (cf. ad es. Lc 22,20 e par.) non abolisce/annulla/abroga/sostituisce l’alleanza noachica e sinaitica!

Ex parte hominum, da parte degli uomini, ci saranno infedeltà e invalidazioni di fatto, per cui YHWH rinnoverà con varie stipulazioni l’unica ed eterna alleanza, approfondendone l’unico ed eterno contenuto fondamentale ma rinnovando le basi della sua stabilità e fecondità.

YHWH promette attraverso Geremia la stipulazione di un’alleanza nuova, diversa da quella sinaitica “infranta/spezzata/hēpērû” (Ger 31,32) e invalidata dalla pervicace infedeltà del popolo lungo la storia. Sigillo della liberazione dalla schiavitù in Egitto attuata da YHWH quando “afferrò per mano” il suo popolo, la stipulazione dell’alleanza al Sinai ribadiva ex parte YHWH l’inamovibilità e l’irrevocabilità della sua decisione pattizia.

Stipulazioni varie dell’alleanza infranta ex parte hominum

Israele ha infranto l’alleanza sinaitica «benché io fossi loro Signore» (CEI)/«mentre io avevo autorità su di loro» (V. Lopasso)/, «e io allora esercitai il mio dominio [punitivo] su di loro» (P. Bovati)/ weănōkî bā‘altî bām (v. 32). YHWH era il “signore/padrone/marito”: essi si ribellarono benché YHWH fosse tale (CEI, Lopasso). P. Bovati interpreta l’espressione in senso punitivo: «e allora io esercitai il mio dominio su di loro [punitivo, con l’esilio]». Entrambe le traduzioni sono possibili e comprensibili; intrigante e forse più aderente all’insieme dei capitoli che menzionano anche il castigo la traduzione di Bovati.

Basi rinnovate dell’alleanza nuova

In un secondo oracolo (vv. 33-34) YHWH annuncia le basi rinnovate della nuova stipulazione dell’eterna alleanza che lo lega a Israele (e tendenzialmente a tutti gli uomini).

La stipulazione rinnovata sarà (come sempre) di sua iniziativa. Partirà da un perdono previo e gratuito e dalla promessa, ex parte YHWH, di «non ricordare più» il peccato del popolo (v. 34).

Il “dimenticare /šāka” da parte del popolo è il suo “peccato originale”. Il “dimenticare/non ricordare più” da parte di YHWH è invece la possibilità imprescindibile della stipulazione rinnovata dell’alleanza, che permette al popolo di ripartire con fiducia nel suo cammino di testimone prescelto di Dio nel mondo.

La Torah scritta sul cuore

Il perdono è il primo passo – positivo in un ambiente di negatività – per il ristabilimento di un rapporto pienamente positivo tra YHWH e il suo popolo. L’“Istruzione/Tôrāh” data da YHWH a Israele per mezzo di Mosè sul Sinai era espressione pedagogica, parziale e progressiva della sua volontà di bene, perché il popolo rimanesse in vita e nella libertà dopo aver ottenuto la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, simbolo di ogni male e peccato possibile.

Per quanto santa, giusta e buona nei suoi precetti (cf. la concessio di Paolo in Rm 7,12) e spirituale (cf. Rm 7,14) in quanto proveniente in ultima istanza da Dio attraverso la promulgazione angelica (cf. Gal 3,19), la Torah rimaneva impotente a far realizzare ciò che indicava e richiedeva come giusta esigenza (cf. Rm 8,1-4). Rimaneva indicazione esterna di una volontà buona da parte di Dio amante dell’uomo, ma incapace di trasformare il cuore delle persone e di dare la vita. La legge può custodire la vita, non darla. Altrimenti Cristo è morto invano (cf. Gal 2,21; 3,21-22).

YHWH promette ora che “darà in dono/nātattî ” (qatal, passato in qualità di futuro profetico che vede già realizzata la promessa?/wenātattî; (correzione di alcuni manoscritti: weqataltî con significato di azione non finita, futura) la sua istruzione/tôrātî “dentro di loro/nel loro intimo/ beqirbām” e “sul loro cuore la scriverà/‘al libbām ’ektăbennāh”.

La Torah/Istruzione è stata donata/edothē per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo (Gv 1,17). Una grazia grandissima «al posto/anti» di un’altra grazia (diversamente da quanto tradotto dalla CEI: «grazia su grazia»), che viene sussunta nell’ultimo dono di Dio Padre fatto nel suo Figlio. Una grazia che non sostituisce, ma ingloba e sussume il dono dato in precedenza. Una grazia fatta persona, un’istruzione che combacia con l’Unigenito che rivela pienamente la volontà del Padre e dona il suo Spirito per metterla in pratica in una vita filiale (cf. Rm 8,3-4).

Il Figlio fu donato però non perché mettessimo in pratica in modo perfetto una legge/istruzione, ma per vivere una vita di Figli, realtà che ingloba e supera in profondità ogni dono precedente del Padre, compresa la Torah.

Tutti mi conosceranno

Il perdono concesso e la Torah donata nell’intimo dell’uomo e scritta sul cuore – cioè sulla sede della coscienza, dell’intelligenza e della volontà – faranno di Israele il popolo di YHWH rinnovato in un’appartenenza totale e unica al suo Dio (cf. la “formula di riconoscimento” del v. 33). Da quel momento, dal più piccolo al più grande, “tutti mi conosceranno/kûllām yēde‘û ’ôtî”. Tutti avranno una conoscenza esperienziale, di intimità perfino sponsale, spontanea e personale, che non abbisogna di prolungate istruzioni catechistiche ed esortazioni sacerdotali (cf. Sal 4,7; 100,3; Is 52,6). «Tutti mi conosceranno». Una nuova alleanza che inizia già col ritorno di Israele dall’esilio (cf. F. Rossi De Gasperis), per poi vedere in Gesù l’inizio del suo compimento, in una continuità trasfigurata col cammino e la grazia dell’alleanza del Primo Testamento.

È giunta l’ora

Alcuni greci – probabilmente pagani “proseliti” o “timorati di Dio” – saliti a Gerusalemme per “compiere la prostrazione/proskynein”, cioè per celebrare la festa di Pasqua (la terza e ultima per Gesù), esprimono il loro deciso desiderio di “vedere Gesù” agli apostoli Filippo (e questi ad Andrea) che comprendevano il greco, dal momento che provenivano da Betsaida, nella tetrarchia di Filippo abitata da popolazioni miste. Involontariamente essi intuiscono che lui è la vera Pasqua… Il desiderio universalistico di vedere YHWH salendo a Gerusalemme da cui esce la Torah (cf. Is 2,1-5), per apprenderla e avere luce per camminare nella vita, trova il suo esaudimento ultimo in Gesù.

Le “genti” – varie delle quali passando previamente attraverso una simpatia vissuta per la spiritualità e la vita propugnata dall’ebraismo – potranno vedere Gesù, “conoscerlo pienamente” (cf. Ger 31,34) nella sua “ora”. Preannunciata fin dal “segno” prodigioso operato a Cana (cf. Gv 2,4), non anticipabile dalla violenza omicida degli uomini (cf. Gv 4,21.23; 5,25.28; 7,30; 8,20), ma dipendente dalla pienezza totale dell’amore di Gesù (cf. Gv 13,1), scatta ora la pienezza del momento del dono totale di Gesù in croce, segno paradossale che dice tutto il peso d’amore del Padre, la sua gloria (kābôd, in ebraico). Preannunciata e inizialmente realizzata nel passato, giunge e rimane per sempre /elēlythen, perfetto greco) nel momento in cui Gesù accetta volontariamente e per amore il calice che il Padre gli “dona” (cf. Gv 18,11).

 Il chicco che muore

 Gesù non risponde direttamente alla richiesta decisa (“vogliamo/thelomen”) dei “greci”. Risponde a loro e a tutti quelli che leggono e ascoltano la testimonianza veritiera del testimone (cf. Gv 21,24) parlando della sua “ora”, che lo mostrerà definitivamente al “mondo” intero.

L’ora della morte (in croce), che Gesù prevede ormai ragionevolmente non lontana, sarà quella in cui “sarà innalzato” (dal Padre, più che dagli uomini), ma di fatto paradossalmente “cadendo” sulla terra come un chicco di grano, che attende l’aratura del contadino per marcire/morire sotto terra e così portare molto frutto assecondando in pieno la propria natura.

Così è del discepolo di Gesù, il “pastore bello/buono” (cf. Gv 10,14), che liberamente “depone/tithēsin” (Gv 10,11.14) la propria vita, per poi riprenderla in piena potestà (cf. Gv 10,11-18; cf. anche il gesto, analettico e prolettico allo stesso tempo, di Gesù, che, per lavare i piedi ai suoi “depone/tithēsin” le vesti (simbolo antropologico della sua persona/vita) (Gv 13,4; cf. 10,11.14.17.18) per poi “riprenderle/riceverle/elaben” (Gv 13,12; cf. Gv 10,17 palin labō; 10,18 palin labein) per “potere/exousia” proprio.

Chi vuol essere discepolo di Gesù, suo “amico” (cf. Gv 15,15), “serve” il suo signore che gli ha rivelato tutto il piano d’amore suo e del Padre, non nascondendogli nulla.

Chi “perde” la propria vita “deponendola” a favore dei fratelli mentre vive in questo mondo, già la custodisce nel profondo della “vita eterna” già iniziata.

Il discepolo “serve” seguendo Gesù, condividendo i movimenti del suo cuore che lo incoraggia a “deporre” la vita per amore degli uomini. Da quel momento il discepolo inizia già a partecipare alla “gloria onerosa” di Gesù, il Figlio rivelatore del Padre.

Ora di gloria turbata

Per dare molto frutto, il chicco di grano marcisce secondo la sua natura. Per dare molto frutto, Gesù decide di “porre” la sua vita: è questa la natura del Figlio. In tal modo rende gloria al Padre nel momento stesso in cui invoca da lui la glorificazione del nome (cioè della sua persona) di Padre e la ottiene (cf. v. 28). Gesù prega di poter essere messo in grado di mostrare all’esterno tutto “il peso/la gloria /kābôd” del nome/persona del Padre, che è tutto amore per gli uomini (cf. Gv 3,16-17).

Gesù ammette con sincerità che il suo animo “è turbato/tetaraktai” (v. 27; cf. Sal 6,4s; 42,45.11) di fronte al mistero tremendo della morte (analessi del suo “turbamento/etaraxen heuton” di fronte al sepolcro/morte dell’amico Lazzaro).

Il turbamento non è negato; quella che viene rifiutata è la fuga. «A causa di questo/dia touto sono venuto, per/eis (finale, M. Nicolaci) quest’ora!». Gesù cita il grido “salvami/sōson me” innalzato dal salmista (Sal 6,5). Ma non chiede al Padre di esser salvato dall’ora ma di esserlo nell’ora.

L’evangelista Giovanni, con una scenografia acustica, esteriorizza l’approvazione “teologica” del Padre, che si compiace della scelta decisa del suo Figlio.

Attirerò tutti a me

L’unione di cuore e di volontà fra Gesù, il Figlio Unigenito, l’Amato e il Padre è una potenza unitiva d’amore di una forza tale da “gettare fuori fin d’ora/nyn… ekblēthēsetai exō” il presunto “principe/capo del mondo”. L’avversario, il Divisore è principe solo del mondo del male opposto a Dio. Ma l’amore oblativo di Gesù lo vince sul suo stesso campo di battaglia: il cuore dell’uomo.

«Se/quando io/kagō (un condizionale desiderato) sarò innalzato/hypsōthō da terra (sulla croce), attirerò/helkysō tutti a me». È un’“attrazione” che solo il Padre può imprimere per poter “andare” da Gesù: «Nessuno può venire a me, se non lo attira/helkysēi il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,44).

I discepoli da soli non riescono a “trarre/attirare/helkysai” fuori dal mare/male tutti i pesci/gli uomini fatti trovare loro da Gesù nella pesca miracolosa/missione universale postpasquale (Gv 21,6). Solo su comando di Gesù, Pietro da solo riesce ad attirare/trarre/heilkysen a lui il contributo della Chiesa alla missione che già ha portato frutto nelle mani di Gesù, il “cuoco postpasquale” (cf. Gv 21,9-10).

Li attirerò sopra il monte dei balsami (cf. Ct 8,14).

È il balsamo dell’amore nuziale dello sposo che si dona sulla croce.

Il balsamo della “conoscenza”, della comunione filiale.

Il balsamo che sigilla la “nuova alleanza” nel sangue del Figlio, nella sua vita donata (cf. Lc 22,20).

Inizia il compimento.

Continuità trasfigurata.

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