XI Per annum: Perfetti, ma incapaci di amare

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Il peccato per Gesù non è una macchia da lavare, o una piaga da nascondere, è la condizione di incapacità di corrispondere all’amore del Padre, è il debito d’amore infinito, incolmabile che abbiamo nei confronti di Dio.

Le colpe, le miserie, le debolezze che verifichiamo nella nostra vita e che ci umiliano (per questo cerchiamo di negarle, di nasconderle, di aggredirle quando le scorgiamo negli altri) sono poca cosa: solo un piccolo segno dell’immensa distanza che ci separa dalla perfezione del Padre.

Quando domandiamo al Signore: perdona i nostri debiti non gli chiediamo di dimenticare gli errori che abbiamo commesso, di dare un colpo di spugna al nostro passato, ma di colmare il debito d’amore che abbiamo accumulato nei suoi confronti, gli domandiamo di insegnarci come corrispondere al suo amore. La nostra preghiera, più che al passato, è dunque rivolta al futuro.

In questa prospettiva, gli uomini sono tutti ugualmente debitori davanti a Dio. La stoltezza (non vogliamo parlare di cattiveria) del fariseo – che si ritiene giusto, perfetto e autorizzato a giudicare gli altri – consiste nel coltivare la convinzione di poter colmare il debito d’amore che lo separa da Dio mediante l’osservanza di qualche precetto o di qualche pratica religiosa.

Ora forse risulta più comprensibile l’affermazione di Gesù: solo colui al quale è stato perdonato molto diviene capace di amare molto.

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Beato l’uomo cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato”.

Prima Lettura (2 Sam 12,7-10.13)

In quei giorni, 7 Natan disse a Davide: “Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, 8 ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa di Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi avrei aggiunto anche altro. 9 Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Uria l’Hittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti. 10 Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Uria l’Hittita.
13 Allora Davide disse a Natan: “Ho peccato contro il Signore!”. Natan rispose a Davide: “Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai”.

Davide era violento e vendicativo.

Fra i suoi molti peccati, l’adulterio con Betsabea e, per nascondere la malefatta, l’uccisione del marito di lei, Uria l’ittita (2 Sam 11), è certamente il più noto.

Venuto a conoscenza del crimine commesso dal re, il profeta Natan, amico di famiglia, va a trovarlo e, fingendo di non saper nulla dell’accaduto, comincia a raccontare la famosa storia della pecorella piccina (2 Sam 12,1-6). Davide segue con molta attenzione il racconto ed alla fine, sdegnato contro colui che ha rapito e ucciso la pecorella del vicino, sentenzia: “Quell’uomo merita la morte!”.

La nostra lettura comincia a questo punto. Natan alza il dito, lo punta contro Davide ed esclama: “Tu sei quell’uomo!” (v.7). Poi elenca i benefici che Dio gli ha concesso e gli rinfaccia l’ingratitudine con cui ha risposto (vv.7-8). Infine annuncia il castigo terribile che colpirà la sua famiglia: “La spada non si allontanerà mai dalla tua casa” (v.10). Il profeta prevede che nella famiglia di Davide non termineranno mai gli odi, le lotte, le violenze, il sangue versato.

Queste ultime parole del profeta vanno chiarite. Dio non può suscitare odi familiari per punire il peccato.

Già nell’AT è chiara l’idea che è lo stesso peccato, non Dio, che castiga l’uomo: “Il male si riverserà su chi lo fa – afferma il Siracide (Sir 27,27) – e Geremia: “La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono” (Ger 2,19).

La profezia di Natan sulle sventure che avrebbero colpito la casa di Davide è nata da una riflessione teologica fatta in seguito dall’autore sacro. Questi, a distanza di molti anni dai fatti, ha verificato che la famiglia di Davide è stata colpita da innumerevoli sventure (tre dei suoi figli: Amnon, Assalonne e Adonia sono morti in modo violento) ed ha interpretato questi fatti drammatici come una punizione di Dio. In realtà egli sapeva molto bene che erano stati provocati dall’incapacità educativa, dall’orgoglio, dallo spirito violento di Davide.

Chiarisco con un esempio. Dopo un’infedeltà coniugale è difficile ricostruire la pace e la serenità familiare, ristabilire l’unità e la fiducia fra marito e moglie, convincerli a non farsi dispetti, a non rinfacciarsi continuamente l’errore commesso. La situazione pesante che si viene a creare, le depressioni, le tensioni, sarebbero presentati, in un linguaggio teologico arcaico, come castighi di Dio. In realtà – è evidente – si tratta di conseguenze del peccato.

Da queste conseguenze non è facile uscire. Dio però non abbandona mai l’uomo. Ecco la ragione per cui, dopo aver parlato di sventura, Natan conclude la sua profezia con un annuncio di speranza. Dice a Davide: “Il Signore ha perdonato il tuo peccato, tu non morirai!” (v.13). Questa è sempre l’ultima parola di Dio: il perdono, non la minaccia.

Seconda Lettura (Gal 2,16.19-21)

Fratelli, 16 sapendo che l’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno.
19 In realtà mediante la legge io sono morto alla legge, per vivere per Dio. 20 Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.
Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. 21 Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano.

Una delle idee più radicate anche oggi nella mente di molti cristiani è che in paradiso ci vadano coloro che se lo guadagnano con le buone opere.

Così la pensavano anche i farisei del tempo di Gesù che erano convinti che la salvezza dipendesse dai meriti, dall’osservanza scrupolosa di tutte le disposizioni, anche minime, della legge. Molti di loro si convertirono al cristianesimo (At 15,5), ma non abbandonarono questo modo di intendere la religione e introdussero anche nella chiesa primitiva e diffusero ovunque le loro convinzioni.

Nel brano di oggi, Paolo ricorda ai galati – che avevano dato retta alle chiacchiere di quei farisei divenuti cristiani – che Dio dà all’uomo la salvezza in modo completamente gratuito.

Non siamo noi, con le nostre buone opere, a conquistarci il paradiso, è lui che dona la grazia che ci permette di compiere il bene.

L’efficacia di questa grazia – continua Paolo – può essere verificata osservando ciò che è accaduto in lui. Quando poneva la sua fiducia nella legge continuava ad essere peccatore. La legge non lo salvava, era un giudice severo che denunciava le sue inadempienze. Poi ha incontrato Cristo e la sua grazia. Il suo Spirito, lo ha progressivamente trasformato. Ora può affermare di non essere più lui che vive, ma Cristo che vive in lui.

Vangelo (Lc 7,36-8,3)

36 Uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37 Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; 38 e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato.
39 A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé. “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice”.
40 Gesù allora gli disse: “Simone, ho una cosa da dirti”. Ed egli: “Maestro, dì pure”. 41 “Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. 42 Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”. 43 Simone rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”.
44 E volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45 Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. 46 Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. 47 Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco”. 48 Poi disse a lei: “Ti sono perdonati i tuoi peccati”. 49 Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: “Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?”. 50 Ma egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”.
8,1 In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. 2 C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demoni, 3 Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni.

I litigi, i diverbi non sono mai simpatici, ma i più spiacevoli sono quelli che scoppiano durante una festa, mentre si sta mangiando. Ci si raduna per stare in compagnia, non per assistere a discussioni violente, per sentir volare insulti pesanti.

Per evitare queste situazioni di tensione, in Israele gli inviti erano fatti con molta cautela. La norma che si seguiva era rigorosamente questa: i “giusti” la “gente per bene”, i “puri” non devono mischiarsi con i peccatori, con i pubblicani, con i pastori, con la “gente della terra”. Questi erano considerati degli attaccabrighe, degli zotici che non conoscevano le norme della legge e quindi vivevano in costante impurità.

Luca ci presenta spesso Gesù seduto a tavola. Egli entra nelle case di tutti, accetta gli inviti dei ricchi e dei poveri, dei sani e dei malati senza preoccuparsi delle norme di purità stabilite dalle guide spirituali del suo popolo. Per lui tutti gli uomini sono puri. Oggi lo troviamo in casa di un fariseo, dunque in un ambiente moralmente elevato. Lì sono entrate solo persone di provata onestà e di costumi angelici. Lì certo non si sentono parole grossolane e non si tengono discorsi sconvenienti.

Perché è stato invitato? Probabilmente perché i farisei che lo considerano un giusto e un maestro saggio, desiderano discorrere con lui su argomenti di alta teologia.

Soprattutto al sabato, all’uscita dalla sinagoga, tutti cercavano di avere fra i propri ospiti colui che aveva fatto l’omelia, per avere l’opportunità, durante il pranzo, di rivolgergli domande e di approfondire il tema delle letture. I farisei ci tenevano molto a queste conversazioni elevate e Gesù sembrava certo la persona più indicata.

Sono dunque seduti a mensa in casa del fariseo, la conversazione ha già preso il verso giusto quando, improvvisamente, ecco comparire in sala una donna di facili costumi. Cosa viene a fare, a rovinare la festa? Ha in mano un vasetto, si volge attorno, con lo sguardo cerca Gesù fra i commensali e, scortolo, si dirige decisa verso di lui. Non dice una parola. Si rannicchia, piangendo, ai suoi piedi, glieli prende, li bagna di lacrime, li asciuga con i suoi capelli, li bacia e li cosparge con l’olio profumato che ha portato (vv.36-39).

Perché si comporta in questo modo? La spiegazione più semplice sembrerebbe questa: la donna ha commesso tanti peccati, ma un giorno è stata colta dal rimorso, si è pentita ed è andata a chiedere perdono a Gesù. Ha cominciato ad amare molto e, con questo amore è riuscita a farsi perdonare le sue colpe.

Ma la questione non pare possa essere posta in questi termini. La parabola che Gesù racconta (vv.40-43) e la sua spiegazione (vv.44-47) orientano verso tutt’altra interpretazione.

Ciò che è in causa non è quanto amore occorre per ottenere il perdono dei propri peccati. Cioè, se i peccati sono molti… prima è necessario manifestare molto amore e poi arriva il perdono; se sono pochi ne basta meno. Il problema è un altro. Si tratta di sapere chi è più disposto ad amare: colui al quale è stato perdonato molto o colui al quale è stato perdonato poco?.

I fatti devono essersi svolti più o meno così: la donna certamente già conosceva bene Gesù. Come? Sappiamo che egli accettava spesso gli inviti a cena rivoltigli da peccatori (Lc 7,34; 15,2) e questi non si facevano certo scrupoli di portare con sé qualche amica dai costumi non proprio esemplari. E’ dunque possibile che Gesù e la donna si siano incontrati in una di queste occasioni.

Lo sguardo schietto del giovane Maestro galileo deve averla colpita. Si è resa conto di aver incontrato un uomo straordinario: simpatico, rispettoso, libero; non ha il portamento altezzoso, distaccato e sprezzante dei farisei, veste come tutti e ironizza sugli scribi che si pavoneggiano nelle loro “lunghe vesti” (Lc 20,46). E’ religioso, ma non bigotto e antepone l’amore all’uomo all’osservanza di qualunque legge. Parla sempre di amore, di pace, di riconciliazione, difende i poveri, i deboli, chi ha sbagliato come lei e spesso arriva a dire che costoro sono più vicini a Dio di chi si considera “giusto” (Lc 18,9-14).

Com’è diverso dagli altri uomini! Tutti l’hanno cercata come oggetto di piacere, hanno abusato del suo corpo, comprato la sua bellezza. Egli è stato il primo che l’ha contemplata con occhio puro, senza desiderarla; l’unico che, con uno sguardo, le ha fatto intuire il rispetto e la stima che aveva per lei e da quel giorno ha ripreso fiducia in se stessa, ha riscoperto la sua dignità, ha sentito il cuore aprirsi alla gioia e alla speranza, si è fatta coraggio e ha deciso di ricostruire la vita. Dio le stava accanto, le offriva la sua pace. Ha capito: era perdonata.

Perché è andata da Gesù? Per manifestargli la sua riconoscenza. Da quando lo ha incontrato tutto in lei è cambiato; le sue parole hanno operato in lei il miracolo. Come esprimergli la gioia che prova? Con i gesti che il suo affetto, il suo cuore, la sua sensibilità di donna le suggeriscono: il profumo, i baci, i capelli sciolti, le lacrime. Gesti che sconcertano e scandalizzano i presenti.

Il suo pianto non è dettato – come qualcuno pensa – dal rimorso, ma dalla gioia di sentirsi finalmente capita e amata. Dal momento in cui ha fatto l’esperienza del perdono ha cominciato a costruire una vita fondata sull’amore: ha amato molto – dice Gesù – perché le è stato perdonato molto, colui invece al quale si perdona poco, ama poco.

Simone, il padrone di casa, è buono, ma è condizionato dall’educazione che ha ricevuto e dalla mentalità farisaica che ha assimilato. Un profeta – pensa – dovrebbe rendersi conto che il contatto con una peccatrice lo rende impuro e il comportamento della donna è inequivocabile. Gesù dovrebbe sapere che sciogliere i capelli di fronte a un uomo è una ragione sufficiente per giustificare il ripudio.

Simone è un “giusto”, uno al quale non può essere rimproverata alcuna trasgressione alla legge, uno che vive in contemplazione delle proprie opere buone. Nel lungo elenco che Gesù fa delle azioni compiute dalla peccatrice e ignorate dal fariseo, non c’è alcun accenno a inadempienze, non traspaiono scorrettezze compiute da Simone. Egli non ha trascurato nulla di ciò che è obbligatorio, ma si è limitato a quello. La donna invece, guidata dall’amore, è andata oltre.

Simone è chiuso nei suoi pensieri, è aggrappato alle sue convinzioni farisaiche. Non riesce a rinunciare all’idea che i santi debbono essere separati dai peccatori. Secondo lui questa divisione è voluta da Dio e Gesù, se è un profeta, dovrebbe essere d’accordo. Poi non riesce a liberarsi dall’idea che la giustizia si misura dall’osservanza rigorosa dei precetti. Come fargli capire che sta sbagliando tutto?

Per cambiare il cuore di Davide, per renderlo cosciente del suo stato di peccato, Natan racconta una parabola che si conclude con una domanda‑tranello. Davide non se n’avvede e pronuncia la sentenza contro di sé. Natan si serve delle stesse parole del sovrano per dargli la lezione. Anche Gesù racconta una parabola e pone al fariseo un interrogativo: “Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito ad ambedue. Chi di loro lo amerà di più?” (vv. 41-43).

Simone esita, è quasi smarrito. Con riluttanza risponde: “Suppongo…”. Non sembra del tutto convinto, è indeciso, ha paura di venire coinvolto in una logica nuova, misteriosa, che lo sgomenta, che gli toglie tutte le sue sicurezze religiose, che esige il totale abbandono fra le braccia della generosità di Dio.

Non si lascia convertire. Ha peccato poco Simone? Se si prende come metro l’osservanza dei precetti, egli ha certo peccato molto meno della donna. Ma non ha capito nulla di Dio: si intestardisce a considerarlo un giudice di chi sbaglia, un padrone che paga in proporzione ai meriti.

Gesù gli annuncia una santità diversa da quella che lui e i suoi colleghi farisei vanno predicando. Gli mostra che chi ha sbagliato, chi non può vantarsi di una propria “giustizia”, è, paradossalmente, in una posizione privilegiata: può capire prima dei “perfetti” che la “giustizia” non è una conquista dell’uomo, ma un dono gratuito di Dio.

Per potersi aprire all’amore senza confini è necessario che si lasci liberare dall’ansia, dalla tensione di dover a tutti i costi meritare, compiere prestazioni, adempiere precetti. Se non si converte da questo peccato, rimarrà incapace di amare e di gioire.

Raccontando questo episodio, Luca ha presente la situazione delle sue comunità. In esse ci sono anche alcune peccatrici pubbliche che si sono convertite a Cristo. Malgrado conducano una vita esemplare e si dedichino con maggiore generosità degli altri al servizio dei fratelli, vengono emarginate e considerate come dei “paria”. L’evangelista oppone a questo comportamento farisaico e discriminante l’accoglienza e la stima di Gesù per queste persone.

L’ultima parte del brano (Lc 8,1-3) ricorda che il gruppo di discepoli di Gesù non era composto solo da uomini. Al suo seguito c’erano anche molte donne. Alcune di queste, ben conosciute nella chiesa primitiva, vengono ricordate per nome. Cosa le ha spinte a dedicare generosamente tutta la loro vita a servizio degli annunciatori del Vangelo?

Anche quando scrive questi versetti, Luca ha presente la situazione delle sue comunità. In esse ci sono molte donne, specialmente vedove, che dedicano tutto il loro tempo ai fratelli. Il Vangelo di oggi dice che questa generosità si spiega con il fatto che esse sanno di aver ricevuto molto dal Signore: “erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità”.

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