XIII Per annum: L’invito a “bruciare” il passato

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L’immagine più usata nella Torah per esprimere l’intervento di Dio è il fuoco. “Dio è un fuoco divorante” – dice Mosè al popolo (Dt 4,24); sul Sinai “il Signore era sceso nel fuoco” (Es 19,18); “davanti a lui cammina il fuoco” (Sal 97,3); la sua parola “è come il fuoco” (Ger 5,14). Ricorre spesso nella Bibbia la locuzione un fuoco uscì dal cospetto del Signore (Nm 16,35) per indicare la purificazione operata dal suo intervento. Dove egli giunge avviene una trasformazione radicale, nulla rimane più come prima.

E’ quanto accade ad ogni uomo, quando nella sua vita entra il Signore: viene bruciato un passato. Viene annientato tutto ciò che è incompatibile con la presenza e la santità di Dio: comportamenti, stili di vita, convinzioni, abitudini, legami, situazioni che vanno chiuse…

Eliseo dà alle fiamme gli attrezzi per arare, simbolo della professione che aveva svolto fino a quel momento, ed entra deciso nella nuova vita alla quale Elia lo ha chiamato.

Gli apostoli, invitati da Gesù a seguirlo, abbandonano le reti e Levi lascia tutto (Lc 5,27). A chi vuole essere suo discepolo, il Signore chiede di “vendere tutto ciò che ha” e di iniziare con lui un nuovo cammino (Lc 18,22), e non ammette tentennamenti, indecisioni, ripensamenti.

Gesù è venuto a portare il fuoco sulla terra (Lc 12,49): ci vuole una gran fede per permettergli di introdurlo nel recinto della nostra vita. Temiamo che consumi tante nostre sicurezze, tante realtà in cui, forse per anni, abbiamo riposto la nostra fiducia e le nostre speranze, che bruci tutto ciò che, fino a quel momento, ha dato senso alla nostra vita.

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Signore sei tu il mio unico bene. Indicami il sentiero della vita”.

Prima Lettura (1 Re 19,16b.19-21)

In quei giorni, disse il Signore ad Elia: 16 “Ungerai Ieu, figlio di Nimsi, come re di Israele e ungerai Eliseo figlio di Safàt, di Abel-Mecola, come profeta al tuo posto”.
19 Partito di lì, Elia incontrò Eliseo figlio di Safàt. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il decimosecondo. Elia, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. 20 Quegli lasciò i buoi e corse dietro a Elia, dicendogli: “Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò”. Elia disse: “Va’ e torna, perché sai bene che cosa ho fatto di te”.
21 Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la carne e la diede alla gente, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio.

Elia, il profeta “simile al fuoco”, la cui parola “bruciava come fiaccola” (Sir 48,1) vive in tempi di grande benessere economico, ma anche di preoccupante corruzione religiosa e morale. Il re Acab si è sposato con una principessa straniera tanto bella quanto perfida che ha portato in Israele il culto dei suoi dèi.

Gli adoratori del Signore vengono perseguitati ed anche Elia è costretto a fuggire.

E’ in questa situazione difficile per i credenti che è ambientato l’episodio narrato nella lettura di oggi. Elia, ormai vecchio e stanco, ha bisogno di qualcuno che prenda il suo posto e Dio gli indica chi sarà il suo successore: è Eliseo, figlio di Safat, un ricco proprietario terriero (v.16).

Un giorno, mentre questi si trova nei campi intento nel faticoso lavoro dell’aratura, Elia gli si avvicina, prende il proprio mantello e glielo lancia addosso, senza dire una parola, poi continua per la sua strada; non si gira nemmeno per controllare la reazione di Eliseo. Perché si comporta in questo modo?

In quel tempo, il mantello era considerato parte della persona che lo indossava. Si riteneva che in esso fossero concentrati la forza ed i poteri straordinari del suo proprietario. Con il mantello di Elia, infatti, Eliseo compirà in seguito gesti prodigiosi, simili a quelli del maestro (2 Re 2,14).

Come risponde Eliseo alla chiamata? Corre dietro a Elia e gli chiede il permesso di dare l’addio ai suoi genitori. Elia glielo concede: “Va’, ma poi torna!” (v.20).

Giunto a casa, Eliseo uccide due buoi, brucia gli attrezzi della sua antica professione e, su questo fuoco, arrostisce la carne che distribuisce a tutti i presenti (v.21). Questo suo gesto è significativo. Indica che egli è deciso ad abbandonare tutto, che ha rinunciato definitivamente alla vita del ricco agricoltore e ha abbracciato una nuova professione: quella di profeta al seguito di Elia.

La chiamata di Eliseo è un modello di ogni vocazione: anzitutto di quella alla vita cristiana e poi della chiamata a svolgere un ministero all’interno della propria comunità.

La risposta di Eliseo mostra che chi è chiamato non è una persona oziosa. Ha una sua professione, è in grado di provvedere a sé ed alla propria famiglia.

Nessun tipo di vocazione cristiana è compatibile con la poca voglia di lavorare.

Non si svolge un ministero all’interno della comunità perché non si è capaci di fare altro o per ottenerne qualche vantaggio. Chi si impegna al servizio dei fratelli non si deve illudere, non otterrà favori o privilegi, lo attendono solo sacrifici e rinunce.

Seconda Lettura (Gal 5,1.13-18)

1 Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.
13 Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. 14 Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. 15 Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!
16 Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; 17 la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
18 Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge.

“Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi… non lasciatevi dunque imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (v.1). Con questa esortazione inizia la lettura.

I galati hanno abbracciato con entusiasmo il Vangelo, ma, ingenui come sono, si sono poi lasciati abbindolare da alcuni fanatici che sono venuti a predicare la necessità di tornare all’osservanza di quelle disposizioni e pratiche esteriori imposte dall’antica legge. Paolo si preoccupa perché la fedeltà alle tradizioni farisaiche finisce per far dimenticare l’unico comandamento che conta per un cristiano: l’amore al fratello, comandamento che è la sintesi di tutta la legge (vv.13-14).

I Galati, infatti, si mordono e si divorano a vicenda, si dilaniano al punto che c’è il rischio che si distruggano gli uni con gli altri (v.15).

Ma essere liberi vuol dire che ognuno può fare ciò che vuole? No – risponde Paolo – la libertà non deve divenire un pretesto per vivere secondo la carne (v.13). Ma allora che significa?

Chi crede nel Dio sovrano severo, rigoroso, esigente che impone ai sudditi le sue leggi, non è libero, ma schiavo, vive nell’ansia, nell’angoscia, nel panico di venire punito ad ogni piccola mancanza.

Pur di ricevere uno stipendio, il servo può anche accettare, di malavoglia, di sottomettersi ad un padrone così, ma una sposa non accetterebbe mai di rapportarsi in questo modo con il suo sposo.

La Bibbia ci dice che il rapporto con Dio non è quello del servo che obbedisce a un padrone, ma quello della sposa che segue come unica norma il suo slancio d’amore per lo sposo.

Nell’ultima parte della lettura (vv.16-18) Paolo introduce l’opposizione fra carne e Spirito. Con la parola “carne” egli non intende la concupiscenza sessuale, ma tutte le forze che portano al male. La legge dell’AT non liberava da queste forze negative e quindi lasciava l’uomo irrimediabilmente schiavo del peccato, serviva solo a renderlo cosciente della condizione disperata in cui si trovava.

Ora – dice Paolo – l’uomo ha ricevuto lo Spirito, cioè la forza divina che sottrae al potere del male. Chi si lascia guidare da questo Spirito vive libero, compie il bene senza bisogno di alcuna legge.

Vangelo (Lc 9,51-62)

51 Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme 52 e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. 53 Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. 54 Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”. 55 Ma Gesù si voltò e li rimproverò. 56 E si avviarono verso un altro villaggio.
57 Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. 58 Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. 59 A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre”. 60 Gesù replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio”.
61 Un altro disse: “Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa”. 62 Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”.

Se un amico ci chiede di seguirlo, subito gli chiediamo: “Dove vai?”. Gesù ha indicato ai discepoli, con tutta chiarezza, qual è la meta del viaggio: va a Gerusalemme per donare la sua vita. Il brano di oggi presenta prima la partenza (v.51), poi la mancata accoglienza da parte dei Samaritani (vv.52-56), infine, in rapida successione, tre episodi di vocazione (vv.57‑62).

I fatti probabilmente non si sono svolti nell’ordine in cui sono raccontati (una serie di tre vocazioni come quelle descritte è piuttosto improbabile). E’ Luca che accosta questi episodi perché gli servono per introdurre la seconda parte del suo Vangelo: quella del lungo viaggio che porterà Gesù a Gerusalemme.

Per comprendere questo testo ricordiamo che l’adesione a Cristo è presentata nei Vangeli con l’immagine del cammino al seguito del Maestro. Credere significa percorrere con lui la stessa strada. Negli Atti degli Apostoli questa immagine verrà ripresa con il termine via: Paolo perseguita “coloro che sono della via” (At 9,2); ad Efeso, alcuni si rifiutano di credere “dicendo male della via” (At 19,9); nella stessa città scoppia “un tumulto non piccolo contro la via” (At 19,23); il procuratore Felice conosce molto bene “le cose riguardanti la via” (At 24,22)…

Questi episodi servono a Luca per dare una risposta agli interrogativi che si pongono i cristiani delle sue comunità: come devono reagire nei confronti di chi ostacola il loro “cammino”, di chi si oppone alla “via”? A chi chiede di unirsi a loro “lungo la via” devono dire subito con chiarezza quali sono le condizioni o è meglio ammorbidire, attenuare un po’ le esigenze della vita cristiana?

Cominciamo dalla partenza (v.51). Luca introduce la decisione risoluta di Gesù di andare a Gerusalemme dicendo che egli “fece il volto duro”. E’ un’espressione forte, presa dall’AT. Il profeta Isaia la pone sulla bocca del Servo del Signore che dichiara così la sua determinazione nel portare a compimento la sua missione: “Rendo la mia faccia dura come pietra” (Is 50,7). Come questo Servo, Gesù è dunque deciso ad affrontare il destino di sofferenza, di umiliazione e di morte che lo attende. Non va alla ricerca del dolore, ma sa che il sacrificio è il passaggio obbligato per raggiungere la meta: la manifestazione, attraverso la croce, dell’amore del Padre per l’uomo (Lc 24,26).

Non si fa a cuor leggero una scelta simile, è necessario assumere un volto duro. Finché ci si ferma alle velleità, ai pii desideri, alle buone intenzioni, finché si riduce la fede in Cristo all’adempimento di alcune pratiche religiose non c’è bisogno di fare il volto duro. Ma quando si accetta la sua proposta di vita bisogna avere il coraggio di fare scelte decise e radicali. Chi non ha la forza di fare violenza a se stesso, rimarrà un ammiratore di Gesù, ma non diverrà un suo discepolo.

Il viaggio verso Gerusalemme inizia ed ecco che il gruppo incontra qualcuno che intralcia il cammino.

L’opposizione dei Samaritani rappresenta l’ostilità che le comunità cristiane di ogni tempo devono affrontare.

Nel mondo c’è sempre qualcuno che si frappone lungo la via. Sono molti coloro che preferiscono seguire princìpi diversi da quelli del Vangelo. Quale comportamento assumere nei loro confronti?

La reazione sconsiderata di Giacomo e Giovanni indica ciò che non si deve fare.

Essi si ricordano che il profeta Elia ha fatto piovere il fuoco dal cielo sugli empi del suo tempo (2 Re 1,10-14) e sono convinti che si debba fare altrettanto contro chi si oppone al Vangelo. Anche il Battista ha minacciato il fuoco (Lc 3,9.17). Per questo sentono che è giunto il momento di ricorrere alle maniere forti e chiedono al Maestro: “Signore vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”. Gesù si volta e li rimprovera severamente. Hanno avanzato una proposta folle (vv.52-56).

Il discepolo non è chiamato a lottare contro nessuno, non ha ricevuto l’incombenza di scatenare guerre sante, bandire crociate contro gli infedeli o accendere roghi, ma è chiamato a seguire il Maestro. Il tempo del fanatismo – che compare tanto spesso nell’AT – è finito. L’unico fuoco che scende dal cielo è quello dello Spirito che trasforma i cuori degli uomini. Questo è il fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra (Lc 12,49).

I cristiani non possono reagire con l’aggressività, ma solo con l’amore. Se qualcuno li attacca usando la menzogna, l’inganno, la violenza, non possono che rispondere invocando su di lui le benedizioni di Dio.

A causa del loro atteggiamento bellicoso, i fratelli Giacomo e Giovanni hanno ricevuto da Gesù il nomignolo poco simpatico di figli del tuono (Mc 3,17). Un soprannome che oggi devono sentire come rivolto a loro i cristiani fanatici, integralisti, intolleranti, poco rispettosi di chi la pensa in modo diverso da loro.

Dopo questo primo incidente, il viaggio continua ed il Vangelo introduce uno sconosciuto che si avvicina a Gesù e afferma di volerlo seguire ovunque (vv.57-58).

La risposta del Maestro sembra destinata a scoraggiare più che a convincere l’aspirante discepolo.

Chi vuole andare con lui – dice Gesù – non deve sognare una vita comoda: sarà come un viandante che non ha fissa dimora. Dovrà essere disposto a passare la notte sotto le stelle oppure accontentarsi dell’ospitalità che gli viene offerta, anche se si tratta di una sistemazione di fortuna, povera e provvisoria.

Vista questa prospettiva poco allettante annunciata dal Maestro, è difficile capire come possano esserci persone che abbracciano la fede o accettano di svolgere qualche servizio alla comunità al fine di ottenere vantaggi, privilegi, titoli onorifici.

Per strada Gesù incontra un altro tizio e lo invita a seguirlo (vv.59-60). Questi si dice disposto, ma chiede di seppellire prima i genitori. Gesù gli risponde: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annuncia il regno di Dio!”.

Per un giudeo questa è la risposta più scandalosa, più provocatoria, più empia che gli si possa dare. In Israele il dovere più sacro per un figlio è quello di seppellire i propri genitori e, per adempierlo – dicevano i rabbini – si era dispensati da qualunque precetto della legge, perfino da quello del sabato. Il sommo sacerdote – al quale era vietato entrare in un cimitero o anche solo avvicinarsi ad un cadavere – era tenuto ad accompagnare al sepolcro i propri genitori.

Sarebbe insensato prendere alla lettera queste parole di Gesù, ma lo sarebbe altrettanto sminuirne la carica provocatoria.

Ciò che il Maestro intende dire – servendosi di un’immagine indubbiamente paradossale – è che nulla, nemmeno i sentimenti più sacri, come quelli che legano i figli ai genitori, possono frapporsi e impedire la decisione di seguirlo.

Il padre, per i semiti, indica il legame con la tradizione, con il passato, con le consuetudini degli antichi, con l’ambiente culturale in cui si vive. Luca vuole che i cristiani delle sue comunità si rendano conto che la scelta di aderire al Maestro non è dilazionabile, non può essere procrastinata nell’attesa del momento (che non giungerà mai) in cui non si ferirà la sensibilità di un familiare, non si scontenterà un amico, non si urteranno le convinzioni di un collega, non si metteranno in discussione le abitudini di una persona cara.

Lo Spirito esige una disponibilità immediata a rinunciare al vecchio e a convertirsi al nuovo. Non è acqua stagnante, ma acqua viva, cristallina, “che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,13-15), è vento impetuoso “che soffia dove vuole” (Gv 3,8). Chi è animato da questo Spirito guarda con simpatia al nuovo perché è lui che “rinnova la faccia della terra” (Sal 104,30). La fedeltà ai suoi impulsi crea tensioni fra il discepolo e coloro che rimangono caparbiamente aggrappati al passato. Fra costoro ci possono essere anche familiari e amici ai quali si è molto legati. Gesù non accetta tentennamenti. Qualunque laccio che blocca e impedisce di seguirlo è una catena che rende schiavi e va spezzata senza paura.

Un terzo uomo si presenta a Gesù (vv.61-62). E’ facile notare il contrasto fra l’imperativo presente con cui è formulato il precedente invito: “Seguimi” (v.59) e il futuro usato da questo aspirante discepolo: “Ti seguirò, ma…”. Quest’uomo è disposto a seguire Gesù, ma vuole andare prima a dire addio ai suoi familiari, esattamente come ha fatto Eliseo. Non pare stia chiedendo troppo. Eppure Gesù non permette neppure questo. Non ci possono essere dilazioni, incertezze, non sono ammessi i se e i ma, nulla può giustificare un ritardo.

Gesù non si meraviglia che ci sia chi lo rifiuta, anzi, esige sommo rispetto per chi non lo accoglie, ma non accetta di essere messo al secondo posto da chi sceglie di seguirlo.

Naturalmente, anche queste parole di Gesù non vanno prese alla lettera, altrimenti sarebbero in contraddizione con ciò che egli ha insegnato altrove. Ha raccomandato l’osservanza del comandamento che impone di amare ed aiutare i genitori (Mt 15,3‑9) ed ha partecipato alla grande festa di addio alla famiglia ed agli amici offerta da Matteo (Mt 9,9-13). Ma ci sono delle priorità. Tutti gli affetti sono secondari quando c’è da seguire la volontà del Padre e Gesù ne ha dato l’esempio quando, adolescente, ha risposto alla madre: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49).

La missione affidata ai discepoli è molto più urgente e più importante di quella di Eliseo.

L’intera creazione attende con ansia che appaia e si realizzi il regno di Dio. E’ impaziente. Tutti gli istanti sono preziosi.

Anche questo terzo esempio di vocazione serve a Luca per inviare un messaggio alle sue comunità: non possono perdere tempo in pettegolezzi, discussioni inutili, dibattiti su questioni banali, mentre il mondo ha urgente bisogno dell’annuncio del Vangelo.

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