XXIX Per annum: Pregare sempre

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Ogni volta che accogliamo l’invito della madre Chiesa a vivere la domenica da veri e autentici cristiani, cioè partecipando in piena consapevolezza alla celebrazione eucaristica, noi siamo consapevoli di elevare a Dio la più autentica e valida forma di preghiera. Non siamo solo noi infatti a pregare, ma con noi e per noi prega lo stesso Signore Gesù.

Ancora una volta, la nostra attesa viene pienamente soddisfatta dalla liturgia della Parola che stiamo celebrando. In essa, infatti, soprattutto nella prima lettura e nella pagina evangelica, si parla non solo della necessità della preghiera nella nostra vita, ma anche di come dovremmo esprimerci quando ci mettiamo in atteggiamento di preghiera.

 

1. La prima lettura proviene dal libro dell’Esodo quasi tutto concentrato sul grande evento della liberazione di Israele dall’Egitto, la terra della schiavitù. Qui però si parla di un attacco degli amaleciti contro Israele a Refidim e della relativa strage. Israele così avrà l’ennesima prova che Dio è con lui: un Dio guerriero e combattente, che si pone a difesa del suo popolo, soprattutto per eliminare il pericolo dell’idolatria.

Ma ci vuole poco a capire che questa pagina mette in grande rilievo un dettaglio assolutamente prioritario: l’importanza e l’efficacia della preghiera di intercessione di Mosè, Aronne e Cur, che salirono sul monte a pregare. Il combattimento di Giosuè e la preghiera di Mosè sono ambedue necessari per ottenere la vittoria sui nemici.

Il dettaglio delle mani alzate attira fortemente la nostra attenzione: siamo infatti dinanzi ad un atteggiamento tipico dell’orante. Chi prega si sente come sospinto a elevare le mani verso il cielo, verso colui che ha promesso di ascoltare la nostra preghiera, soprattutto quella degli umili e dei piccoli.

Anche il dettaglio che, «quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva, ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalek», sembra quasi una profezia della parabola evangelica «sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai».

 

2. Il salmo responsoriale è il primo dei “salmi delle ascensioni”, quei salmi che ogni pio israelita recitava quando saliva verso il tempio di Gerusalemme per sciogliere il suo voto.

«Alzo gli occhi verso i monti: da dove mio verrà l’aiuto?». Si direbbe che, per pregare, occorre alzare non solo le mani ma anche il volto. Alzarlo verso il monte Sion, dimora del Dio altissimo; alzare il proprio volto per poter contemplare il volto di Dio. Non è questo il sommo desiderio espresso in tanti salmi?

«Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra»: la fede dell’orante è ferma e incrollabile. Egli crede fermamente che l’aiuto del quale necessita può venire solo ed esclusivamente dal suo Dio, quel Dio che si è rivelato ai padri e che, da buon padre qual è, non abbandona mai i suoi figli.

Tutte le espressioni che seguono, contrassegnate dai verbi al futuro, non sono altro che profezie: «Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode (…). Il Signore ti custodirà, quando esci e quando entri, da ora e per sempre». Sulla bocca di chi prega ciò che è promesso si trasforma in certezza.

3. La seconda lettura è tratta dalla seconda lettera dell’apostolo Paolo al discepolo Timoteo. Qui Paolo raccomanda a Timoteo di coltivare con passione il ministero della predicazione del Vangelo, passione che deve alimentare mediante un’assidua frequentazione delle sacre Scritture.

È importante che Timoteo «conosca coloro da cui ha appreso» quello che ora deve predicare. È chiara l’allusione alla nonna Loide e alla mamma Eunice, delle quali si parla nella stessa lettera in 1,5. Apprendiamo quanto sia utile l’ambiente familiare per formare i futuri servitori della Parola. Ma forse si allude anche allo stesso Paolo, che deve aver speso non poche fatiche per formare sia Timoteo sia Tito. Una cosa è certa: senza maestri ben preparati e scelti, non si può pretendere di addentrarsi nella retta conoscenza della parola di Dio scritta. Lo ricorda lo stesso apostolo in questa lettera: «Le cose che hai udito da me davanti a molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali a loro volta siano in grado di insegnare agli altri» (2,2). Nasce così la catena della Tradizione che si pone a servizio della Parola.

Ma è ancor più importante che Timoteo ricordi di conoscere «le sacre Scritture fin dall’infanzia», evidentemente sotto la guida dei suoi maestri. Se oggi dobbiamo lamentare in molti credenti la scarsa o nulla conoscenza delle sacre Scritture, lo dobbiamo attribuire proprio alla scarsa o nulla iniziazione alla conoscenza della Bibbia fin dai primi anni della loro vita.

Quello che segue, accanto a 2Pt 1,21, è uno dei testi biblici dai quali si evince l’ispirazione della sacra Scrittura: «Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona». Ci è data l’opportunità di rinnovare il nostro atto di fede nella presenza di Dio nella Parola, ogni volta che essa viene letta privatamente o proclamata nella celebrazione liturgica.

4. La lettura evangelica corrisponde a quella pagina del vangelo di Luca che riguarda «la necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai». L’aggancio alla prima lettura è evidente, ma noi cercheremo di “leggere” questa pagina nel contesto lucano.

Qui Luca dipende da Paolo, suo grande maestro. È lo stesso vocabolario qui adottato che tradisce questa dipendenza: «preghiamo continuamente» (2Ts 1,11), «non ci scoraggiamo» (2Cor 4,1.16). Qui ci viene aperto uno spiraglio sulla spiritualità del grande apostolo per il quale la preghiera era certamente parte essenziale del suo apostolato.

Anzitutto, bisogna chiarire in che cosa consiste quel “fare giustizia”: giustizia invocata, quasi implorata, dalla vedova e finalmente concessa dal giudice di quella città. Anche qui, come spesso nella Bibbia, se pensiamo a Dio, questo “fare giustizia” implica la fedeltà di Dio alle sue promesse. Dio fa giustizia quando giustifica e salva, e non tanto quando giudica e condanna. Dobbiamo guardarci da una concezione esclusivamente giuridica di questo termine e della realtà sottesa.

Con gli ultimi due versetti, che sono di conio lucano, l’evangelista intende mettere in relazione la preghiera con la venuta escatologica di Gesù: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Vi dico che farà loro giustizia prontamente» (cf. anche 21,36). E qui per escatologia dobbiamo intendere non solo un evento futuro (il “non ancora”) ma un evento che già ora accade e si realizza.

Nelle ultime parole di Gesù dobbiamo riconoscere una sorta di profezia: Gesù parla dell’apostasia che si svilupperà alla fine dei tempi: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Vi riconosciamo un invito non solo a stare pronti per il grande incontro, ma soprattutto a conservare il prezioso dono della fede.

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