XXXII Per annum: Due spiccioli, una vita

di:
Elia il profeta: “Il mio Dio è YHWH”

Nel commentario di Marco Nobile (Milano 2010) troviamo la seguente strutturazione di 1-2 Re: Preludio. La successione a David (1,1–2,46); I. Il regno di Salomone (1Re 3,1–11,43); II. Scisma e storia dei due regni fino alla caduta del regno del Nord (1Re 12,1–2Re 17,41; all’interno di questa sezione si trovano il ciclo di Elia [1Re 17,1–2Re 1,18] e il ciclo di Eliseo [2Re 2,1–13,25]); III. Vicende del regno di Giuda fino alla sua fine (2Re 18,1–25,30).

Il ciclo di Elia si può articolare nel modo seguente: 1. Inizio del ciclo di Elia (1Re 17,1–19,21); 2. Guerra aramea e continuazione del ciclo dei Elia (1Re 20,1–21,29); 3. Guerra aramea e conclusione del ciclo di Elia (1Re 22,1–2Re 2,1,18).

Nel racconto dell’inizio del ciclo di Elia si possono individuare i seguenti archi narrativi: 17,1 annunzio della siccità; 17,2-7 prima parola di Dio; 17,8-16 seconda parola di Dio e miracolo della farina e dell’olio; 18,1-2 terza parola di Dio; 18,3-16 Elia e Obadia; 18,17,40 ordalia sul monte Carmelo; 18,41-46 fine della siccità; 19,1-8 fuga nel deserto e viaggio verso il monte Horeb; 19,9-14 la teofania; 19,15-21 la missione di Elia.

Va’ verso Oriente

Il racconto del ciclo di Elia inizia in modo molto brusco, presentando in medias res il protagonista a cui YHWH impartisce l’ordine di fuggire verso oriente, come se egli fosse già stato causa di problemi e della persecuzione che ne segue. Si presuppone probabilmente come già avvenuta la controversia mortale che aveva opposto Elia alla regina Gezabele (oltre che al re Achaz), che gli promette la morte per la stage da lui compiuta dei suoi profeti di Ba’al sul monte Carmelo (1Re 19).

Elia va verso Oriente, un simbolo di direzione che rimanda alla fuga, all’esilio. Verso oriente sono scacciati i progenitori (Gen 3,24), viene allontanato Caino (Gen 4,16), fugge Giacobbe (Gen 27,43ss; cf. 28,2), Mosè che dal faraone fugge verso la terra di Madian (Es 2,15). Verso est fugge l’intero popolo di Israele uscendo dall’Egitto (Es 16,1). La fuga di Elia ha un valore simbolico. Oltre alla fuga dal pericolo, essa allude alla tematica del libro dell’Esodo, in questo caso la fuga dal re che lo perseguita.

Elia deve andare oltre il Giordano, presso il torrente Kerit. Molto probabilmente esso può essere identificato con il Wadi Jabis, affluente che da est scende nel Giordano. Esso ha acque vorticose, e potenzialmente mortali, come è accaduto nell’ottobre 2018, con la tragedia di più di trenta ragazzi in gita scolastica travolti da un wadi della zona in piena per le piogge autunnali.

La vedova di Sarepta

Al sopraggiungere della stagione secca, si prosciuga anche il wadi dove Elia riceveva mattina e sera pane e carne dai corvi e dove attingeva acqua al torrente. «La parola di YHWH fu a lui dicendo…».

La Parola assume la fisionomia di soggetto autonomo, con forza imperativa. Il comando che Elia riceve è simile a quello ricevuto da Abramo all’inizio della sua avventura in Canaan (cf. Gen 12,1ss).

La Parola comanda. Spedisce Elia a Sarepta di Sidone, a circa 120 km in linea d’aria da dove si trova, una cittadina situata nella zona dei confini labili tra la terra di Israele e quella dei fenici.

La Parola non conosce confini culturali, religiosi o politici. Essa “ha già dato ordini/ṣiwwîtî” anche là. Ha comandato a una “vedova/’almānāh” del luogo di sostenerlo assicurandogli il cibo.

La Parola rischia la realizzazione dei suoi progetti affidandosi a strumenti umani deboli e poveri. Sceglie mezzi deboli per compiere i propri piani. Preferisce ciò che non conta, è disprezzato, vale poco più di nulla (cf. 1Cor 1,17-30). Sa che troverà terreno più adatto nei poveri di spirito, che nei sazi di ogni bene (cf. Mt 5,1ss).

Senza ammortizzatori sociali, nel caso si fosse trovata senza la protezione del clan, la vedova era esposta a cadere in miseria e rientrava nelle tre categorie adottate in prima persona da YHWH per assicurare loro sostentamento e vita. Il povero/il forestiero, la vedova e l’orfano erano infatti i protetti privilegiati di YHWH («Il Signore protegge i forestieri/šōmēr ’et gērîm…, egli sostiene l’orfano e la vedova», Sal 146,9a-b). YHWH è padre degli orfani e difensore dell’orfano e della vedova (cf. Sal 68,6) e li sostiene (cf. Sal 146,9). Presso di lui trovano misericordia (cf. Os 14,4). Non vanno maltrattati, altrimenti l’ira di YHWH ridurrà alla vedovanza le donne di Israele (cf. Es 22,21-22; cf. Ger 22,3).

In Gerusalemme, invece, si compie questo delitto (Ez 22,7). L’orfano e la vedova non vanno frodati (Zc 7,10) né defraudati (cf. Is 10,2), ma vanno visitati (Gc 1,27). «Maledetto chi lede il diritto del forestiero, dell’orfano e della vedova!» ammonisce il Deuteronomio (Dt 27,19). Il mannello dimenticato nella mietitura è per la vedova (Dt 24,19), così come la terza decima (Tb 1,8). Giobbe afferma di aver sempre soccorso l’orfano che era privo di aiuto (Gb 29,12), dandogli pane (cf. 31,17).

Pane e acqua

A Sarepta, Elia vede una donna che raccoglie legna. Forse dal suo povero vestito e dall’insieme della miseria del suo stato e dei suoi atteggiamenti intuisce essere una vedova, povera.

La parola di Elia è imperiosa, secca, ma è pur sempre preceduta da un educato “per favore”, tralasciato impudentemente nella traduzione CEI: “qeḥî-nā’”. Pane e acqua, chiede Elia. «Colui che cammina nella giustizia e parla con lealtà, che rifiuta un guadagno frutto di oppressione, scuote le mani per non prendere doni di corruzione, si tura le orecchie per non ascoltare proposte sanguinarie e chiude gli occhi per non essere attratto dal male: costui abiterà in alto, fortezze sulle rocce saranno il suo rifugio, gli sarà dato il pane, avrà l’acqua assicurata» (Is 33,15-16). L’integerrimo Elia, a totale servizio del solo YHWH, deve poter trovare il sostegno minimo per la sopravvivenza.

Assetato, Elia chiede di slancio acqua. La donna va a prenderne immediatamente, senza proferire parola. All’uomo che chiede acqua per vivere, venendo da lontano, non si chiedono giustificazioni e carte di identità.

Vedendo la sua pronta disponibilità, Elia le grida dietro di procurargli anche un pezzo di pane (stavolta la traduzione CEI non si dimentica dell’educato “per favore/nā’”, del v. 11).

Poi moriremo

Alla richiesta educata ma ferma di Elia (“Il mio Dio [è] YHWH”), la donna si blocca. Alza la parola di giuramento nel nome del Dio del forestiero, di cui non conosce il nome, la provenienza, la professione, lo stato sociale.

Anche se il suo è un dio straniero, non potrà che attestare le parole di verità della povera vedova. Tutto è consunzione, estremità di vita, orlo di baratro, lucignolo che si spegne. La tenda nera del teatro sta per essere tirata: due pezzi di legna, un pugno di farina, un po’ di olio nell’orcio. E sono in due, madre e figlio. L’uomo non c’è. È duro essere vedova.

«Mangeremo e poi moriremo». Dio, il re, gli uomini, la natura, la guerra, la siccità, sono loro ad aver avvelenato la vita? La donna non incolpa nessuno. Abbassa la testa, percorre a piccoli passi il sentiero della vita di ogni giorno. Si abbandona alla vita, finché la vita non aprirà le mani e la lascerà andare nell’abisso insieme al figlio.

Avrà mai sentito qualche giudeo pregare: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita (Sal 15,5); … Ma io confido in te, Signore; dico: “Tu sei il mio Dio, i miei giorni sono nelle tue mani”» (Sal 31,15b-16a)?

La donna percorre i passi della vita, le orme della creazione. La vita le ha fatto vedere la luce, la vita gliela spegnerà quando vorrà. Non si possono dominare queste cose. Sono più grandi di noi.

Non temere, va’

“Non temere!”. La parola di consolazione del profeta è uguale a quella che tanti uomini e donne in Israele hanno sentito provenire da YHWH, il Dio dell’alleanza. Un nastro rosso che avvolge la storia della salvezza: Abramo, padre dei credenti (Gen 15,1), Agar (Gen 21,17), Isacco (Gen 26,24), Giacobbe (Gen 46,3), Giosuè (Gs 1,9; 8,1), Gedeone (Gdc 6,23), Ezechia tramite Isaia (2Re 19,6), i giudaiti insieme agli abitanti di Gerusalemme e al re Giòsafat (2Cr 20, 15), Tobia e Sara tramite l’angelo (Tb 12,17), Israele che sta per tornare dall’esilio, riscattato (Is 41,13; 43,1), Daniele (Dn 10,12), Sion (Sof 3,16), la terra e gli animali selvatici (Gl 2,21-22), la casa di Giuda e di Israele (Zc 8,13), Giuseppe lo sposo di Maria (Mt 1,20), Zaccaria il padre di Giovanni Battista (Lc 1,13), Maria la madre del Figlio dell’Altissimo (Lc 1,30), il Veggente di Patmos che vede Gesù morto e risorto, che attende la sua sposa alla fine della storia (Ap 1,17).

«Va’, ma preparami prima una piccola focaccia e portamela… poi ne preparerai per te e tuo figlio». Una parola poco gentile quella di Elia, scortese, ai limiti della protervia del duro padrone nei confronti del servo che rientra a casa stanco dopo aver lavorato tutto il giorno: «… Prepara da mangiare… servimi… dopo mangerai anche tu» (cf. Lc 17,4).

Non venne meno e non diminuì

 La richiesta di Elia non è protervia, è obbedienza alla Parola ricevuta. È una parola che si basa su una promessa di YHWH e annuncia una promessa di vita del Dio di Israele che protegge profeti, stranieri, orfani e vedove. La vita non si esaurirà, il pane non mancherà, l’olio non verrà meno. Il Dio della vita e della creazione guida la storia, anche il ciclo delle piogge e della siccità.

«…Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

La parola di YHWH ha incontrato l’obbedienza pronta del profeta.

La parola del povero forestiero senza nome ha toccato il cuore della vedova che sta per morire d’inedia insieme al figlio.

Il profeta ascolta la parola di YHWH, il Dio di Israele.

La povera vedova ascolta la voce dello straniero in grande difficoltà.

È la stessa voce che parla. È la stessa vita che nasce.

La farina non diminuì, l’olio non venne meno.

Il povero è sempre colui che ha le mani più larghe.

Si fida di Dio.

E Dio si fida di lui.

Discernimento

Terminate le cinque controversie con i sadducei, i farisei e gli scribi – esperti questi della Bibbia e del diritto, al servizio dei primi due gruppi (Mc 11,27–12,37) – Gesù passa alle cose “serie”, a un discernimento complessivo del comportamento concreto di questi personaggi, in particolare degli scribi. Alla fin fine è questo quello che conta.

Nel suo insegnamento Gesù si rivolge alla folla numerosa che lo ascoltava volentieri (12,37). Gesù deplora il protagonismo, la vanagloria e l’esteriorismo del comportamento pubblico degli scribi perché in dissonanza con ciò che predicano, che Gesù non disprezza in linea di principio. Si veda Mt 23,3, ma anche tutto il terribile testo di Mt 23. Le sue sette tremende invettive – non “maledizioni”, come detto in modo errato nel titolo dato alla pericope nella Bible de Jerusalem; vv. 13.15.16.23.25.27.29 – sono raccolte dall’evangelista Matteo come se fosse stato effettivamente un unico discorso tenuto da Gesù, una feroce discussione in famiglia tenuta da lui con i capi religiosi del suo popolo.

Il suo non è un giudizio – con condanna al seguito – circa il cuore delle persone, azione che non spetta agli uomini ma solo a Dio, come egli stesso ha insegnato (Mt 7,1-6//Lc 6,37-38.41-42). È un discernimento a partire da ciò che si può vedere e sentire dall’esterno: parole, atteggiamenti, pose, scelte, gesti, sguardi ecc. Il discernimento è necessario (cf. Lc 12,54-57: “valutare questo tempo/dokimazein ton kairon de touton”; “giudicare il giusto/krinein to dikaion”), per non lasciare nell’ambiguità le coscienze più deboli o quelle dei più giovani, che vanno invece formati alla giustizia e al compimento della volontà di Dio.

L’accusa più tremenda è, in ogni caso, quella di «divorare le case delle vedove», già in difficoltà e protette da YHWH, forse strumentalizzando la loro spontanea religiosità con richieste esose e/o non necessarie.

Ricordiamo il tremendo ammonimento di YHWH dato nel Deuteronomio: «Maledetto chi lede il diritto del forestiero, dell’orfano e della vedova!» (Dt 27,19). Nel suo dire, Gesù è veramente Figlio del Padre suo!

Tesoro e monete

Collegata alla pericope precedente (Mc 12,38-40) dalla mot-crochet, la parola-gancio “vedova” (vv. 40.42.43), l’ultimo brano di Mc 12 è un racconto di transizione, riguardante una povera vedova che offre tutta la sua vita a YHWH.

Astraendo dal testo di Mc 13 dedicato al discorso escatologico, la povera vedova è l’ultimo personaggio che introduce al racconto della passione-morte-risurrezione di Gesù a Gerusalemme (Mc 14,1–16,8.19-20), il mistero pasquale in cui egli dona al Padre e agli uomini tutta la sua vita (cf. Mc 10,45).

«Il “Tesoro” (gazophylakion) si trovava nel cortile delle donne, all’interno del sacro recinto. Era formato da varie camere, nelle quali si potevano consegnare i propri doni, anche in natura» (B. Standaert).

«Nel Tempio c’erano due camere – afferma il trattato Sheqalim della Mishnah , una, la camera dei [doni] segreti, l’altra, la camera degli utensili» (V,6); «La camera dei doni segreti: Coloro che temevano il peccato deponevano segretamente il loro contributo al suo interno, e la povera gente di famiglie nobili consegnavano gli incassi [che essi ricevevano] con fiducia» (V,6B); «Nel santuario c’erano tredici ceste shofar, tredici tavole [e] tredici atti di prostrazione» (VI,3A).

Gesù si siede di fronte al gazophilakion, di fronte alle tredici “cassette delle offerte” a forma di corno di ariete (ebr. shofar) e osserva con attenzione (etheōrei) il comportamento della gente che vi gettava chalcon/moneta(e).

Il denarion era una moneta di gr. 4,55 di argento (gr. 3,85 dal 216 a.C. a Nerone; gr. 3,41 a partire da Nerone), e costituiva la paga di un giorno di lavoro di un salariato (cioè di dodici ore di lavoro, dalle 6,00 alle 18,00).

Il chalkon attico era una moneta di gr 8,60 di bronzo (gr. 6 sotto Antioco IV, re dal 175 a.C. al novembre del 164 a.C.) e corrispondeva a 1/48 del denarion.

La povera vedova si avvicina al gazophilakion e vi getta “lepta duo, ho estin kodrantes/due lepton, cioè un quadrante”. Il quadrante era una moneta di gr. 3,10 di bronzo, sotto Augusto (imperatore a vita dal 29 a.C., Augusto dal 27 a.C. al 14 a.C.).

Il lepton era 1/7 del chalkon, 1/336 del denarion.

Ponendo, a puro titolo di esempio, € 64,00 la paga giornaliera di un lavoratore del nostro tempo (€ 8,00 x ore 8 di lavoro), si ricava che un lepton equivale a € 0,00297619. Due lepta equivalgono a € 0,00595238.

La povera vedova getta nel tesoro del tempio tutto quello che ha, “tutto l’insieme della sua vita/holon ton bion autēs”: due monete che valgono zero.

Getta nel tesoro due vite dal valore di € 0,00 ciascuna. E € 0,00 + € 0.00 dà sempre € 0,00.

Ultima chiamata

Lo sguardo di Gesù dev’essere stato molto attento, se riesce a vedere i due lepta gettati dalla “povera” (visibilmente) “vedova” (intuibile dall’insieme?). Un gesto velocissimo, un rumore pari a zero.

Gesù vede anche come la folla getta i “chalkon/moneta(e)”, e come molti ricchi gettano molti chalkon.

A un certo punto Gesù ha maturato il suo pensiero e “convoca a sé/proskalesamenos” i suoi discepoli – che probabilmente erano già lì, ma l’insegnamento che stava per dare era fondamentale…! Essi devono ridiventare i Dodici che erano stati scelti all’inizio della loro avventura con Gesù, quando egli “chiamò a sé/proskaleitai” chi volle fra il gran numero dei discepoli (cf. Mc 3,13).

Gesù li aveva riconvocati nuovamente per narrare loro in parabole la sconfitta di Satana (cf. Mc 3,23), prima di inviarli due a due in missione (cf. Mc 6,7), per insegnare loro che l’impuro è ciò che esce dall’uomo (cf. Mc 7,14), per confidare loro la sua compassione per la fame della gente che lo segue da tre giorni e alla quale darà il pane (cf. Mc 8,1). Li riconvocherà dopo il primo annuncio della sua passione e prima di elencare loro le esigenti condizioni della sequela (cf. Mc 8,34).

Li convoca per insegnare loro che, contrariamente a ciò che avviene nel “mondo”, la legge che vige nella comunità dei discepoli è quella del servizio umile (cf. Mc 10,42).

Ormai questa è l’ultima convocazione (cf. Mc 12,43), l’ultima chiamata per i passeggeri. Il volo parte, e chi non c’è resta a terra.

Tutta insieme la vita

I ricchi hanno offerto del loro “superfluo/perisseuontos”, gli avanzi della vita, gli scarti dei guadagni, le briciole delle crapule. E, moltiplicando il superfluo, il risultato non cambia, fa sempre molto superfluo. E YHWH non gradisce gli scarti e il superfluo.

La povera vedova (una chēra ptōchē, v. 42), “questa vedova (quel)la povera/hē chēra hautē hē ptōchē” ha gettato nel tesoro “più di tutti/pleion pantōn” (v. 43). La contrapposizione di status economico e sociale non poteva essere più stridente. La donna era già in forte difficolta per la sua vedovanza. Per di più era una vedova “povera/ptōchē”, una “pitocca” (Zingarelli: “[lett.] Pezzente, mendicante, accattone”; non le si addice invece per niente il senso figurato: “(fig.) Tirchio, taccagno”.

Lei ha compiuto un gesto più grande “di tutti/pantōn” (dei ricchi certo, ma anche de “la folla/ho ochlos” del v. 41). “Tutti/pantes” (v. 44), infatti – spiega Gesù –, hanno gettato delle monete nel gazophilakion “(a partire/attingendo) dal loro superfluo/ek tou perisseuontos”, tirando fuori gli avanzi della loro vita, gli scarti. “Questa, invece, (a partire) dalla sua mancanza/hautē de ek tou hysterēseōs autēs” “tutte quante le cose che aveva gettò tutto l’insieme della sua vita (fisica)/panta hosa eichen ebalen holon ton bion autēs”. (Nel testo greco non c’è alcuna virgola a separare “gettò” da ciò che segue).

La povera vedova ha “buttato” tutto “ciò che le era indispensabile per vivere/il suo sostentamento/bios”, tutta la sua “vita fisica (bios)”. Ha “gettato se stessa.

Avrà patito la pressione strumentalizzatrice e oppressiva dei suoi capi religiosi? Tant’è. Lei si butta nel suo “tesoro”. Si butta là dove è il suo cuore (cf. Mt 6,21). C’è chi butta lo scarto, perché nello scarto ha suo il cuore. C’è chi getta “tutto quanto l’insieme/il tutto/holon” della propria vita fisica, perché il proprio tesoro è là dove è il suo cuore, dove c’è YHWH il difensore dei poveri e degli stranieri, colui che sostiene l’orfano e la vedova (cf. Sal 146,9).

La povera vedova di Sarepta dona prontamente al profeta di YHWH tutto il poco che ha per venire incontro al suo sostentamento. E, con ogni probabilità, non conosce né l’uno né l’Altro, né il profeta né YHWH.

La povera vedova di Gerusalemme dona a YHWH tutto quello che aveva per sostentarsi nella vita, “tutto quanto l’insieme/holon” della sua vita.

Lo fa a partire “dalla sua mancanza”.

Le manca YHWH.

Cerca YHWH, cerca il suo volto, cerca la sua volontà.

Getta la vita, per avere la Vita.

Forse Gesù ha pianto nel vedere la povera vedova.

Vedeva il suo prossimo.

“Ama il tuo prossimo: è te stesso!”.

È arrivato il momento di donare al Padre “tutto quanto l’insieme della propria vita”.

I giorni a Gerusalemme si stanno accorciando.

Il tempo sta ammainando le vele (cf. 1Cor 7,29 ho kairos synestalmenos estin).

È ora di andare.

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