XXXIV Per annum: Re dell’universo

di:
L’unico re

Con questa domenica la comunità cristiana conclude il ciclo dell’anno liturgico. La pasqua settimanale ha fatto rivivere e ripresentare la forza vittoriosa del Crocifisso sulla morte e l’ha applicata ai giorni dell’uomo sotto il sole.

La densità del mistero della pasqua, cristallo dalle mille facce, ha riverberato la sua luce sul cammino della Chiesa e dell’umanità intera, imprimendo nello scorrere dei giorni la fecondità della vita del Cristo risorto. Ha dato vita, infuso speranza, rallegrato il volto degli uomini, delle donne, dei bambini e degli anziani.

In questa domenica la Chiesa alza lo sguardo sul suo Signore e rende esplicito il suo grido di amore e di sottomissione totale, nella fiducia completa, a Colui che regge le sorti degli uomini e dell’universo intero.

Le circostanze nelle quali Pio XI, dopo tre suppliche che si elevarono ai papi fin dal 1899, stabilì la solennità di Cristo re con l’enciclica Quas primas dell’11 dicembre 1925 possono essere state molteplici. Forse non del tutto esclusa anche la volontà di mostrare, ai vari regimi che richiedevano un’obbedienza assoluta, chi fosse l’effettivo e unico re a cui obbedire. Scrive papa nell’enciclica: «E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo ci sembra che nessun’altra cosa possa maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e propria di Cristo re».

Non si può non notare la sottolineatura della destinazione anche sociale degli effetti sperati dall’introduzione di questa solennità. È però con sguardo di fede che oggi tutta la comunità ecclesiale si raccoglie per levare il suo sguardo amoroso di adorazione e ringraziamento a Colui che, con la sua regalità pacifica, dona un punto fisso di speranza che non delude chi cammina nella storia.

Affronterò i pastori

Durissima risuona nel famoso c. 34 del libro del profeta Ezechiele la requisitoria, un vero e proprio oracolo di condanna (34,1-10), pronunciata contro i passati governanti del popolo di Israele (Ez 22, 23-31): i principi, i sacerdoti, i profeti, “gli uomini della terra”/’am hāhāre (non sembrano tanto essere «gli abitanti della campagna» – così la traduzione CEI – ma «i proprietari terrieri», come ben traduce L. Alonso Schökel), che commettono violenza e si danno alla rapina.

YHWH proclama la loro dura condanna, il loro “licenziamento in tronco” per aver condotto il popolo alla rovina dell’esilio a causa della ricerca del loro puro interesse personale. Essi hanno trascurato e violato i loro doveri istituzionali che comportavano la cura attenta della popolazione, specialmente delle persone più deboli e povere. Invece le hanno sfruttate a fondo con tasse esorbitanti, soprusi vari, oracoli falsi e prezzolati, un atteggiamento generale di irridente noncuranza dei propri doveri di governance oculata e coscienziosa, nella ricerca del bene comune.

YHWH non ha veramente bisogno di tali intermediari della sua regalità e della sua santità. Non perderà neanche tempo a cercarne altri in loro sostituzione. Intende affrontare vis a vis questi “pastori” degeneri e reclamare indietro il suo gregge maltrattato, ridotto a carne da macello, triturato dalle loro bocche animalesche, vere e proprie “fauci”.

Io stesso

“Io stesso/’ănî” – ripete YHWH con enfasi più volte nel suo oracolo di incoraggiamento (34,11-22) – prenderò in mano la situazione ormai insopportabile ai miei occhi.

La sua opera sarà non solo negativa di “licenziamento in tronco” dei suoi mediatori incapaci, corrotti e dalla coscienza ormai insensibile a ogni delitto, facce di bronzo, inamovibili figure del “mondo di mezzo” colluso a doppio filo col potere politico e religioso.

YHWH assumerà in prima persona tutti i compiti che spettano a chi è chiamato alla guida politica e religiosa del popolo. Il mondo non è dei furbi e dei potenti, schierati con le lobby cieche verso i popoli ma ben decise nel perseguire i loro target aziendali.

La Chiesa non è dei carrieristi e di chi cammina a braccetto con i massoni e i banchieri rotti a tutto. La Chiesa e l’umanità, il creato stesso – papa Francesco, con l’enciclica Laudato si’ ce l’ha ricordato con accenti realistici e accorati – appartengono all’unico Signore, “re”, che tutto ha affidato all’umanità perché «lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15) con oculatezza e rispetto.

 Cercherò, radunerò, fascerò

YHWH annuncia con decisione una serie di azioni, ripetute più volte, che richiamano, con un vocabolario più “pastorale”, il suo operato già compiuto nel primo esodo di Israele, quello dall’Egitto. Le ripercorriamo con consolazione, perché accarezzare con le nostre mani il volto del nostro Dio che ci confida il suo amore è il centro della nostra fede e della nostra speranza. Questa è la “regalità” del nostro Dio!

Egli promette, da ora in poi: “andrò in cerca/dāraš (del bestiame piccolo/ō’n)”, “cercherò mettendomi sulle tracce/biqqēr (> bāqār/bestiame grosso; > biqqārāh/ritracciare seguendo le tracce), “stando in mezzo al mio gregge (quando) disperso; li “libererò/wehiṣṣaltî” dai luoghi dove sono stati dispersi; li “farò uscire/weē’tî” dai popoli; “li radunerò/weqibbatîm dai (loro) paesi; “li farò venire/wahăbî’ōtîm” nella loro terra; “li pascerò/ûre’îtîm”; “io stesso pascerò il mio gregge” “e io stesso li raccoglierò nell’ovile/farò sdraiare/farò riposare/’arbîēm”; “cercherò/’ăbaqqēš la perduta/distrutta”, “farò tornare/’āšîb la sperduta”; “la ferita fascerò” e “la malata renderò forte”; “la grassa e la forte custodirò/’ešmōr (correggendo l’originale ebraico “‘ešmōr/distruggerò”), le pascerò “con diritto/bemišpā” («come è dovuto», L. Alonso Schökel).

La lettura liturgica termina col v. 17, con il quale inizia una parte dell’oracolo di incoraggiamento che prevede però anche un’azione “discriminante/giudiziaria” di YHWH verso il suo popolo/gregge. Ci sono violenti che calpestano (inquinano?) l’erba che rimane dopo che loro si sono saziati, gente che intorbida (inquina?) l’acqua dopo che loro si sono dissetati, persone che sgomitano i più “deboli” (v. 21) fino a costringerli ad allontanarsi e a disperdersi (espulsione dal mondo del lavoro? espatrio forzato per mancanza di lavoro?). Gli altri mangiano e bevono i rimasugli di erba (inquinata) e bevono acqua torbida (dagli scarichi abusivi?) (vv. 18-21).

In questa situazione YHWH non può girare la testa dall’altra parte ed esimersi dal diventare “giudice tra/šōpē bên” la pecora grassa e la pecora magra (v. 20), “facendo giustizia tra/ wešāpatî bên” pecora e pecora, “liberando/wehôša’tî l’oggetto di “preda/bāz”.

YHWH è re che regnerà in prima persona, pascerà personalmente, giudicherà in modo monocratico. La sua regalità e la sua cura pastorale è “salvezza” per le “prede”.

Il pastore-re separa

«Novum in Vetere latet et in Novo Vetus patet», afferma Agostino parlando del rapporto tra Nuovo e Antico Testamento (Quaestiones in Heptateucum, 2, 73: PL 34, 623cf. conc. ecumVat. II, Dei Verbum, 16; CCC 129.). Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, mentre l’Antico è svelato nel Nuovo. Eppure nel nostro caso sembra proprio che sia l’Antico a spiegare il Nuovo.

Nell’ultimo suo grande discorso prima della sua passione, Gesù conclude il suo dire con il celebre brano del cosiddetto “Giudizio finale” o “Il giudizio delle nazioni”.

Al momento della sua “venuta/elthē” (più che “ritorno”), il “Figlio dell’uomo” non soffrirà più, come aveva insegnato nella sua vita pubblica (Mc 8,31), più che “predetto” Gesù, integrando la concezioni bellica, regale e salvifica circa il Figlio dell’uomo presente nell’Antico Testamento, ma soprattutto nei testi paratestamentari (più che o “apocrifi” o “intertestamentari”, cf. soprattutto 1Enoch). Anche per Gesù, nel racconto il Figlio dell’uomo nella sua venuta decisiva, cruciale, escatologica, eserciterà il giudizio.

All’inizio del suo racconto simbolico egli compare come un “pastore/poimēn” (Mt 25,32) che, al cospetto di tutte le genti, “separa/aphorisei” le sue pecore dalle capre (nella realtà, forse in vista del riposo notturno).

Subito dopo, però, il pastore diventa all’improvviso “il re/ho basileus” (v. 34) che separa “quelli” alla sua destra da quelli posti alla sua sinistra. I primi (fra le nazioni) sono “benedetti dal Padre” suo (v. 34), “i giusti/hoi dikaioi” (v. 37), sia per il loro comportamento in vita che, soprattutto, per la grazia preveniente del Padre, accettata e assecondata nella coscienza e nelle opere.

Il loro destino di gloria è la sovranità di Dio accolta in pienezza cosciente da tutti, in gioia corale e comunitaria, prevista da sempre, fin dalla creazione del mondo, nel disegno del Padre. La sovranità ha cominciato a crescere nel mondo e nella Chiesa, ma si realizza in pienezza al termine dei tempi delle persone, dei popoli, del creato stesso.

Gli altri (fra le nazioni) sono chiamati “maledetti/katēramenoi (v. 41), non recettivi del bene-dire di Dio sugli uomini sia in coscienza che nel comportamento. Gesù e l’evangelista Matteo evitano accuratamente di dire che essi sono “maledetti dal Padre mio”!

Un giudizio che salva

Il brano del profeta Ezechiele riporta l’oracolo di incoraggiamento con il quale YHWH assicurava che avrebbe rintracciato il percorso delle sue pecore disperse al momento in cui fosse stato “in mezzo al suo gregge (di bestiame minuto)/betôk-ō’nô” (Ez 34,12), “portando salvezza/ wehôša’tî leōnî” (34,22) col suo “giudizio”/ wešāpatî bên” (34,20), pascendole “con diritto/bemišpā” («come è dovuto», L. Alonso Schökel) (34,16), salvando le pecore magre dall’ostilità escludente delle grasse (ivi). Un giudizio che salva!

 Un re-pastore “nei” poveri

Nell’oracolo di incoraggiamento di Ezechiele YHWH assicurava il suo essere “in mezzo al suo popolo/betôk-ō’nô”. Nel Vangelo di Matteo Gesù afferma che il Figlio dell’uomo/pastore/re si identifica con le pecore più “deboli”: «l’avete fatto a me».

Esse sono le persone più deboli e in difficoltà. Sono le pecore magre, costrette ad accontentarsi dei rimasugli lasciati da quelle forti, costrette a cornate a farsi da parte e ad essere escluse dalla “comunità pastorale”… I “benedetti dal Padre” non sapevano che, aiutando loro, di fatto venivano incontro al loro Signore, di cui i poveri sono i veri “vicari”.

Anche i “maledetti” non lo sapevano, ma non hanno mosso in dito verso l’umanità ferita che stava davanti ai loro occhi. I poveri, gli scarti della storia e delle società, sono vicini al cuore di Dio, e adesso che Gesù ha proclamato il vangelo nessun cristiano può più dire “Quando mai…?”.

Gesù non narra certo il suo racconto per spaventare la gente con lo spauracchio del giudizio finale, quando i “maledetti” andranno nel “supplizio eterno/kolasin aionion”. Narra di un giudizio di salvezza per i benedetti dal Padre suo, mettendo in guardia tutti dal non costruirsi un autogiudizio che si svolge già qui sulla terra.

Un uomo chiuso ai poveri è un pover’uomo, dalla vita asfittica, dall’universo mentale chiuso, narrowminded. Già ora si autopreclude a una vita aperta, donata, all’aria pulita dell’amore, alla gratitudine di poter partecipare con altri alla comune umanità e, se credente, ad accogliere i “vicari di Cristo” in terra.

«Dio, nostro salvatore… vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,3b-4). Il Padre non aspetta sadicamente la fine della storia per fare i conti e vendicarsi dei cattivi/maledetti (da se stessi/dal male che li ha dominati). Il Dio della Bibbia non è certo arbitrario, capriccioso, incomprensibile o assurdo. Stabilirà la verità delle cose, ma con una modalità sua, salvando nella purificazione accolta. Non potrà certo comportarsi alla fine in modo diverso da come si è rivelato nel cuore e nel volto di Gesù, il Figlio amato…

La vita, adesso!

La parola di Dio è una parola di vita, di gioia. «… Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio –, io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva. Convertitevi dalla vostra condotta perversa! Perché volete perire, o casa d’Israele?», annuncia il profeta Ezechiele (Ez 33,11).

E YHWH, tramite il suo profeta Mosè, invita accorato: «Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, che oggi vi do; la maledizione, se non obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, e se vi allontanerete dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi non avete conosciuto» (Dt 11,26-28).

Il giudizio del re-pastore è un giudizio che salva i poveri per primi, proteggendoli dai violenti (cf. Ezechiele). È un giudizio di cui si conoscono i termini per avere la vita fin d’ora. «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore, tuo Dio, ti benedica nella terra in cui tu stai per entrare per prenderne possesso… Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza» (Dt 30,15-16.19).

Scegliamo la vita, adesso!

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