Con Martini a Gerusalemme

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martini

Editorialista del Corriere della sera e psicanalista, l’autore ha seguito da vicino l’episcopato del card. Martini a Milano ed è uno dei maggiori esperti del suo pensiero. Dal 3 al 10 ottobre 2018 ha partecipato a un viaggio in Terra Santa sulle orme del cardinale. Da quella esperienza è nato il libro, che non intende essere una guida turistica ai vari luoghi biblici, ma un sussidio spirituale per prepararsi al pellegrinaggio e a viverlo accompagnati dalle parole sapienti di Martini.

Dopo l’introduzione, Garzonio articola il libro in otto “Percorsi e soste”, a cui segue un capitolo di conclusioni. Ogni percorso è strutturato in tre momenti: una riflessione dell’autore, un’ampia citazione delle lettere pastorali di Martini e un’indicazione dei luoghi biblici che possono far rivivere le parole della Bibbia e anche i suggerimenti del cardinale.

Tutti conoscono l’amore di Martini per la Terra Santa e per Gerusalemme. Questo fatto ne fa un accompagnatore generoso e speciale.

L’introduzione si impernia sulla parabola del “seminatore”. Il testo del cardinale è tratto da Cento parole di comunione, pagine in cui riassume in cento parole i principi fondamentali del suo cammino pastorale. L’uomo è fatto per la Parola e trova se stesso nell’ascolto della Parola; l’uomo va servito col massimo rispetto e la contemplazione è la dimensione ideale e necessaria per la sua accoglienza. La Parola mette radici nel “cuore” e suggerisce un cammino di interiorità e di convinzioni che la esprimono e la irradiano.

Silenzio e Parola

Nel pellegrinaggio si gustano paesaggi, suoni, colori, odori, persone, monumenti. Occorre immergersi totalmente nell’ambiente e gustarlo. Dio parla attraverso la sua parola incarnata in una storia e una geografia di salvezza.

La sosta numero 1 ha per titolo: “Una sottile voce di silenzio. Deserto, prova, passaggio, liberazione”.

Per salire a Gerusalemme occorre passare per il deserto: esso è prova, passaggio, liberazione. La traversata del deserto, che porta Israele alla liberazione, fa sperimentare la fragilità, la vulnerabilità, la precarietà, lo smarrimento. Inospitale, esso può diventare però il luogo delle scelte decisive, esistenziali. L’esperienza che il profeta Elia fa della “sottile voce di silenzio” indica le condizioni essenziali di silenzio e di vigile attenzione all’altro come riepilogo di un itinerario di avvicinamento a Dio.

La dimensione contemplativa della vita (1980) fu la prima lettera pastorale di Martini e spiazzò anche il presbiterio, dando la priorità al silenzio e alla contemplazione, per non essere assorbiti dal rumore e dal “fare”, anche positivo. Occorre rientrare in se stessi, pregare personalmente, nel silenzio e nell’adorazione, vivendo la lectio divina e i tempi forti dello Spirito.

Luoghi biblici di riferimento possono essere Ber Sheva, Ein Ghedi, il Mar Morto, Qumran e Qasr al-Yahud, il luogo del battesimo di Gesù.

La sosta numero 2 è dedicata al tema: “Getterò le reti. Annuncio, ascolto, meditazione perseverante e amorosa verso i mari aperti della storia”.

La lettera pastorale di riferimento è In principio la Parola (1981). Martini riprenderà il tema nel 2000/2001 (Sulla tua Parola).

Garzonio vede Martini come la lampada che ha illuminato il cammino di tanti. Sulla Parola si può buttare con fiducia le reti della propria vita e dell’annuncio del vangelo. I cristiani servono con amore e gioia il proprio tempo e tutte le persone. La Parola è la regola di vita.

Martini segnò i momenti del cammino personale, ecclesiale e civile con la lectio divina, la “scuola della Parola”, la seconda lettera pastorale e il sogno che propose al Sinodo dei vescovi europei nel 1999, che la Bibbia divenisse cioè il libro pastorale per il futuro del mondo. La Bibbia non è racchiusa soltanto fra le pagine, ma da esse spira attraverso la storia e può essere riconosciuta nelle vicende esistenziali dei singoli e negli eventi storici e rappresentare testimonianza diretta di amore e di carità degli uomini che si fanno interpreti dell’amore di Dio. In un tempo in cui si ha una concezione incompleta della libertà, si può cadere nell’attivismo vuoto. L’uomo accede alla parola portando con sé tutto il peso della propria libertà e delle proprie ricerche, intuizioni, delusioni. La parola di Dio fa capire all’uomo che può attuarsi pienamente solo in un evento che lo eccede e lo mette in un atteggiamento di adorazione e diventare lui stesso, segno, cifra, Parola di Dio. Dalla vita si passa alla Parola di Dio e viceversa. Si ritorna alla vita con una nuova luce di speranza. La Parola «salva la libertà dall’illusoria autosufficienza, dai desideri ambigui, dalla prepotenza ottusa e dalle rinunciatarie disperazioni». La Parola è presente nella vita e nelle celebrazioni liturgiche.

Dio si rivela al culmine nel volto amabile di Gesù. Essa è il rimedio offerto dalla misericordia del Padre alla tristezza e alla paura. «Quando la Parola ci raggiunge – afferma Martini –, l’esilio è vinto, Dio torna a camminare sulle nostre strade, la terra ridiventa in qualche modo il giardino delle delizie dove è ancora possibile alla creatura intrattenersi familiarmente con il suo Creatore: “Quando leggo la divina Scrittura, Dio torna a passeggiare nel Paradiso terrestre” (sant’Ambrogio, Epistola 49,3)».

Luoghi di riferimento possono essere il Museo del libro, Qumran, il Museo nazionale d’Israele, la Galilea con Nazaret, Ginnosar, Cafarnao e Tabgha.

La sosta numero 3 porta come titolo: “Gesù salì sulla montagna e li ammaestrava. Discepoli nel mondo ma non del mondo, che vincono il male con il bene (Rm 12,21)”. I testi di riferimento sono In principio la Parola (1981) e una lectio di Martini sulle Beatitudini tenuta nel 1990.

Garzonio riflette sul salmo 1, che indica la beatitudine nel non stare dalla parte degli empi, dei peccatori, degli stolti. Il beato è chi è “scelto” e ha Dio per padre e per madre. Per il salmo è beato chi non si conforma allo “spirito del tempo”, che è l’opposto dello “spirito del profondo”, dell’anima, di tutto ciò che riguarda l’interiorità, la ricerca di sé, l’ulteriorità di Dio.

Il beato è paragonato al frutto di una terra rigogliosa, irrorata e colorata di verde. La Terra Santa – annota Garzonio – è uno straordinario contenitore degli opposti, dal verde della Galilea alla rocciosa Giudea. La non beatitudine, continua l’autore, è il disagio di non ritrovarsi in relazione con gli altri e con la storia. Il non beato è rappresentato dall’immagine dell’inconsistenza, la pula. Nel cammino e nella via, due termini tipici del lessico di Martini, l’uomo è chiamato a scegliere di fronte a due vie: schiavitù e morte, oppure liberazione e vita.

La libertà insegnata da Mosè è libertà “da”, libertà “di” e libertà “per”. È esercizio di responsabilità indirizzata a collaborare al disegno del Creatore, a compiacersi della Legge del Signore, a meditarla giorno e notte. La via delle Beatitudini comporta meditazione e lectio, cambiare marcia rispetto al mondo, vedere l’attualità e l’urgenza della chiamata, consci delle difficoltà in agguato. Il cristiano è un anticonformista. Muore l’uomo vecchio e i cristiani diventano cittadini del cielo (cf. A Diogneto) e “oppositori” (Turoldo). Il testo del cardinale riguarda i momenti della lectio e della lettura liturgica.

I luoghi biblici di riferimento sono la Galilea, il Lago di Tiberiade, il Monte delle Beatitudini (lussureggiante di fiori e splendido per il paesaggio che offre).

Eucaristia e testimoni del Risorto da Emmaus

La sosta numero 4 è titolata: “Il roveto ardente. L’eucaristia, nuova Pasqua di Cristo, Pasqua di ogni giorno per un uomo e una comunità rinnovati”. Il testo del cardinale è tratto dalla terza lettera pastorale Attirerò tutti a me (anno 1982-1983).

In anni che fanno emergere la crisi economica, i primi flussi migratori, la tentazione del disimpegno e della falsa pace delle coscienze, dopo le prime due tappe del silenzio e della Bibbia, Martini propone il mistero dell’eucaristia. Lo chiama “roveto ardente”. Applica ad essa le parole dette da Gesù su di sé alludendo all’attrazione universale esercitata dalla croce.

Il senso profondo dell’eucaristia – afferma Martini – è quello di «convocare gli uomini, radunandoli in un’assemblea di salvezza, in una fraternità; quella di attrarre verso il trascendente, configurandosi come una celebrazione del mistero, come un rito sacro, che inserisce l’uomo nel sacrificio di Cristo, nell’adorazione e obbedienza filiale con cui Gesù ha accolto e attuato la volontà amorosa del Padre. Tale è appunto l’eucaristia: attrazione, convocazione, comunione, sacrificio; il tutto vissuto in una celebrazione rituale».

Paolo stimola a vivere l’eucaristia come Pasqua quotidiana, la presenza di Dio fra gli uomini, la memoria viva della Pasqua grazie allo Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti. Sulla croce lo Spirito sprigiona un’energia che rende possibile un moto ascensionale che aiuta l’uomo a salire al Padre.

L’eucaristia assicura il contatto vivente con il Cristo – afferma Martini –, l’attrazione di tutta l’esistenza umana, insieme con Cristo, verso la pienezza del Regno e verso il Padre. Essa colloca ogni aspetto della vita, nella sua frammentarietà e singolarità, entro il respiro unitario di un piano e di un destino, che è insieme la sintesi riassuntiva e la matrice creativa di tutti i momenti della vita della Chiesa e della storia umana. «Il farsi della Chiesa nella storia, che è l’intento di tutta l’azione pastorale, trova nell’eucaristia un punto di riferimento decisivo».

Il testo del cardinale ricorda come nell’eucaristia Gesù si consegna a noi, riattualizzando la consegna di sé operata definitivamente sulla croce, di cui l’ultima cena è l’anticipazione profetica. Questo fatto si colloca sullo sfondo dell’alleanza. Gesù collega l’eucaristia con l’alleanza per dire che l’eucaristia dona all’uomo la forza di lasciarsi totalmente attrarre dall’amore misericordioso di Dio annunciato nell’Antico Testamento, celebrato definitivamente nella Pasqua e culminante nella pienezza escatologica: «nell’attesa della sua venuta».

Nell’eucaristia l’uomo vive una singolare esperienza di attrazione di tutta la vita nel mistero unificante dell’amore di Dio. Egli è tenuto a ricavarne le conseguenze per i rapporti intraecclesiali e per l’irraggiamento di questo mistero in ogni ambito di convivenza. L’uomo è chiamato a vivere in una dimensione “eucaristica”, di rendimento di grazie. Questo si esprime anche come richiesta di perdono e di aiuto per usare responsabilmente i doni ricevuti.

Luoghi di riferimento sono i vari siti del Monte degli Ulivi, la basilica del Santo Sepolcro, la Via Dolorosa con i luoghi all’interno della Città vecchia (Chiesa di sant’Anna, il Litostroto, la Flagellazione ecc.), il Muro occidentale, il Monte Sion, il Cenacolo, la basilica della Dormitio Virginis e il sito della città di Davide.

La sosta numero 5 reca il titolo: “Testimoni del Risorto. Resta con noi, Signore, fa’ che restiamo con te, fa’ che sappiamo essere tua presenza”.

La lettera pastorale di riferimento è la quarta, Partenza da Emmaus (1983-1984).  Martini è l’uomo delle domande e si chiede come possa aiutare il popolo di Dio e ciascuno a farsi carico del mistero della morte e risurrezione di Gesù, costi quello che costi, giocandosi in prima persona senza fermarsi davanti alle difficoltà. Martini si interroga sulle ricadute che l’adesione al mistero pasquale comporta sulla coerenza vitale, sui modi di vivere, nell’affettività verso di sé e verso gli altri. L’intuizione del brano biblico gli venne a Lourdes.

Garzonio riassume i dieci movimenti presenti nel brano molto noto di Luca. Egli annota la presenza nei due discepoli di un disegno politico fallito, la paura di fronte alla croce e l’oscurità che impedisce loro di abbracciare i piani del Padre e le conseguenze delle parole di Gesù sul suo destino doloroso allo scopo di servire gli uomini. Il disegno di Dio («non bisognava che…»?) abbraccia un continuum (AT, NT, oggi) e, nell’offerta che Gesù fa di se stesso, si vede quella del Padre che lo offre per il riscatto e la salvezza. Allora e per sempre.

Ma la storia della salvezza non finisce a Emmaus, ma da Emmaus parte. I discepoli saranno testimoni nel ricordo che tutto ciò che avranno fatto a uno solo dei fratelli di Gesù più piccoli lo avranno fatto a Gesù stesso. Nella sua lettera Martini ricorda l’iniziativa presa da Gesù, che si rende presente con l’amicizia, la parola e il convito. L’assenza fisica di Gesù diventa presenza nella libertà ardente dei discepoli di testimoniare l’amore di Gesù per ogni uomo.

La nuova realtà si esprime nel distacco dalle speranze ambigue, per assumere un nuovo stile di vita, pieno di gioia. I discepoli non restano soli, si spronano a vicenda col ricordo del cuore e corrono a Gerusalemme per raccontare alla comunità il loro vissuto e prepararsi alla missione di testimoni.

Ambito stimolante per la missione della Chiesa è l’attenzione ai poveri che non possono far sentire la loro voce. Paradossalmente, la condizione di molti di loro unisce una drammatica lontananza da Cristo e una stimolante somiglianza con lui.

Luoghi biblici di riferimento sono Abu Gosh (l’Emmaus dei crociati), con l’abbazia di Santa Maria della Risurrezione e i suoi affreschi rappresentativi della continuità fra Primo e Secondo Testamento. La basilica del Santo Sepolcro unisce la memoria della morte di Gesù e della sua risurrezione. Da lì si parte per essere testimoni del Risorto..

Il prossimo e il volto di Gesù

Il titolo della sosta numero 6 è: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Il prossimo non esiste già. Prossimo si diventa”. La lettera pastorale di riferimento è Farsi prossimo (1985-1986). Essa ha permesso di unire le linee delle prime lettere pastorali con il pragmatismo ambrosiano, molto operativo, legato alle cose e all’efficienza, anche in campo ecclesiale.

Nel 1985 c’è una linea ecclesiale che punta alla visibilizzazione e all’influsso su altre istituzioni e quella martiniana che punta sul Vangelo delle Beatitudini, sull’essere fermento e sull’affidamento allo Spirito per vivere nella storia (cf. Convegno di Loreto). Martini invita a tornare alle radici della fede capaci di motivare le ragioni del credere, a cercare nella Bibbia le radici della presenza cristiana nel mondo.

L’icona biblica scelta (Lc 10,29-37) fa vedere che al rispetto della legge (cf. i dottori della Legge,  che insegnava già l’amore per il prossimo)  deve affiancarsi la responsabilità personale, il farsi carico in prima persona, in nome dell’alterità. Essa può avere la “a” di altro (il fratello) e la “A” di Altro (il Signore Dio) unite dalla “a” di “amore” che le tiene insieme e dà senso. «L’amore del prossimo si fonda nel amore di Dio», afferma Martini. I credenti non devono riempirsi la bocca di parole, ma unire la carità alla fede.

L’identità profonda della Chiesa è la sequela, il discepolato, l’obbedienza, la testimonianza nei confronti de Gesù. Molti atteggiamenti di chiusura al prossimo – annota Garzonio – negano questa realtà. «Il prossimo non esiste già – scrive Martini –. Prossimo si diventa». Colui che è radicato nell’amore di Dio guarda e avvicina ogni uomo, scavalca ogni tipo di barriera, creando nuovi vincoli di prossimità.

Occorre coinvolgimento personale e responsabilità individuale, con il realismo che ricorda il fatto che non si può pretendere di risolvere tutto.

Occorre educarsi alla politica e vanno denunciati i sistemi e le leggi che violano la dignità dell’uomo. La visione spirituale dell’uomo, la visione cristiana fa sì che nell’itinerario al Padre tramite Gesù, fatto di fede. amore, riconoscenza, obbedienza, gioia filiale e tutti gli atteggiamenti della vita morale siano assunti e perfezionati. Si opera insieme a ogni uomo, ma la visione cristiana dell’uomo dà una chiaroveggenza nell’interpretare quello che sta maturando nella vita dei singoli e della società.

Compito della carità, cuore della visione cristiana dell’uomo – secondo Martini – è il discernimento spirituale dei fenomeni dell’epoca, compito da assumersi per il bene dell’umanità.

Quali luoghi biblici di riferimento sono indicati lo Yad Vashem con la memoria del tragico evento della Shoah e Ain Arik con la comunità fondata da Giuseppe Dossetti, grande estimatore di Martini.

La sosta numero 7 è titolata: “Il volto di Gesù e Gerusalemme. Chiesa degli Apostoli e cristiani oggi: un filo rosso, lungo e teso”. Testo di riferimento è Firmavit faciem suam, la lettera di Martini per il 47° Sinodo (1995).

Egli indica alla Chiesa ambrosiana il volto di Gesù da contemplare, quello del Salvator Mundi di Antonello da Messina. Gesù rese duro, contrasse il proprio volto per dirigersi dalla Galilea e dalla Samaria a Gerusalemme (cf. Lc 9,51). Assunse con grande forza interiore, che coinvolgeva anche il corpo, la decisione di andare incontro al compimento della missione affidatagli dal Padre e che doveva compiersi a Gerusalemme.

Il cammino è già la meta, afferma Martini. E una delle mete del cristiano è la Chiesa degli apostoli che «viveva nella contemplazione del volto di Gesù e la traduceva in azioni, strutture e regole nella gioia e nella pace dello Spirito Santo».

Le Chiese degli apostoli testimoniano la sequela sorgiva, irradiante di Gesù crocifisso e risorto. Essere Chiesa degli apostoli vuol dire essere il Corpo di Cristo crocifisso nella storia, la ripresentazione del suo volto nel tempo. Meta comune della Chiesa e del singolo è tenere «il proprio sguardo fisso a Gerusalemme e al volto di Gesù che nella Città Santa risplende». In Gesù, i cristiani sono chiamati a esser Chiesa della misericordia, amica dei poveri, Chiesa dell’unità attorno ai pastori, radicati nella radice santa, Israele, «Chiesa che accetta di farsi consegnare dal Padre alla via dolorosa per amore del suo popolo, fino alla fine».

Nel c. 9 del Vangelo di Luca è narrata la Trasfigurazione di Gesù. Occorre comprendere e accogliere la parola e il volto di Gesù non solo con la mente ma soprattutto col cuore. Una fede affettiva. È necessario entrare nella nube luminosa dove Dio ci fa ascoltare la sua voce, ci fa avere la sua vera conoscenza e ci fa accogliere Gesù il Figlio amato.

Il mistero di Dio è vissuto nella storia ed è caratterizzato da tempi transeunti. Il Signore passa e ripassa. Non bisogna perderlo né volerlo bloccare. Questo vuol dire salire a Gerusalemme, il volto di Gesù, la Chiesa degli apostoli, la Chiesa di oggi.

Nella lettera Martini indica diversi ambiti o contesti di comunicazione del Vangelo oggi: quello del “senso della vita”, la speranza e la pace nel contesto del dolore e nella malattia, il contesto della comunione in cui non ci si guarda come nemici, l’ambito del superamento delle inimicizie.

I luoghi biblici di riferimento sono il Monte Tabor che ispira con la sua ubicazione la contemplazione della natura, il silenzio e la preghiera contemplativa cercati anche da Gesù e il Monte degli Ulivi, in specie il Dominus flevit, in cui Gesù mostra anche tutta la sua umanità. Le icone bizantine di Maria con il braccio il bambino Gesù con il volto già di un adulto possono far pensare al firmavit faciem suam anche a Betlemme, nella basilica della Natività.

Ripartire da Dio

La sosta numero 8 porta il titolo “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria. Per una psicologia del pellegrinaggio”. Testo di riferimento è la lettera pastorale di Martini Ripartire da Dio del 1995. Il cardinale esorta a ripartire, con la Chiesa degli Apostoli, dal Dio della Bibbia che ha guidato i personaggi della storia della salvezza e Gesù in primis, per incamminarsi con fiducia nel terzo millennio.

A partire dalla figura di Abramo e avvicinandosi il termine del viaggio in Terra Santa, Garzonio offre degli spunti di una psicologia del pellegrinaggio.

Il “Vattene” detto da Dio ad Abramo è inteso da Garzonio anche come un “esci da te stesso per ritrovare te stesso”. L’autore suggerisce che Abramo (e il pellegrino) arriverà alla terra promessa attraverso se stesso che la cerca. Abramo si stacca dal suo passato e sul monte Moria, nel legamento di Isacco, si distacca anche dal futuro. Abramo e l’umanità raggiunge lì lo svezzamento.

Si può vedere questo momento anche come l’inizio di una nuova figliolanza dell’uomo da Dio attraverso il sacrificio del Cristo. È importante – afferma il cardinale – seguire Gesù, più che costruire la Chiesa. Il partecipare alla vita di Gesù fa la Chiesa. Essa è l’assemblea di coloro che sono veramente figli di Dio in Cristo Gesù, vivendo come lui, amando come lui e morendo come lui è morto, affidandosi al Padre.

Vedere la morte e contemplare la vita è il binomio che accompagna il pellegrinaggio, afferma Garzonio. I testimoni del sepolcro vuoto hanno attestato che a Pasqua la morte è stata sconfitta dalla vita e hanno continuato a cercare. Sono rimasti aperti alle “sorprese di Dio” con una “sana inquietudine” e ricerca, secondo le parole di Martini.

Secondo Garzonio, Gerusalemme è la città dove si può incontrare l’anima e impararne il linguaggio. Egli offre alcuni spunti per una psicologia del pellegrinaggio a Gerusalemme. Essi sono: la finitudine, premessa della vita; il valore delle immagini, che rendono visibile ciò che non lo è; la ricerca dell’essenziale; mantenere l’Io vigile, sapendo che sempre da noi, e non da forze esterne, dovrà partire l’iniziativa; noi come via del cambiamento; la porta stretta della solitudine: «Diventare adulti a Gerusalemme vuol dire vivere la certezza che noi siamo noi stessi per noi, non per quanto altri si aspettano da noi»; la speranza del mondo dipende da noi: «le pietre vive di Gerusalemme infondono l’intima convinzione che, se cambia la nostra mentalità, può anche cambiare il mondo».

«Sono i profeti a insegnarci cosa significa ripartire da Dio – afferma Martini –. Profeta è “colui che tiene lo sguardo fisso verso il Dio che viene” (Martin Buber), ma ha allo stesso tempo i piedi ben piantati sulla terra. Mi sembra che oggi ci sia penuria di profeti […] Ripartire da Dio richiede il coraggio di riproporsi le domande ultime, di ritrovare la passione per le cose che si vedono perché sono lette nella prospettiva del Mistero e delle cose che non si vedono».

E aggiunge: «Ripartire da Dio vuol dire confrontare con le esigenze del suo primato tutto ciò che si è e che si fa […] Ripartire da Dio vuol dire misurarsi con Gesù Cristo e quindi ispirarsi continuamente alla sua parola, ai suoi esempi […] entrare nel cuore di Cristo che chiama Dio “Padre” […]. Ripartire da Dio vuol dire abbandonare al soffio dello Spirito il nostro cuore inquieto […], riconoscere di essere nel cuore di Dio per una esperienza di fede e di amore vissuti […], farsi pellegrini verso di Lui aprendosi al dono della sua Parola, lasciandoci riconciliare e trasformare dalla sua grazia».

Per vivere nella storia la comunione nella Chiesa, occorre guardare a Pietro e alla folla che accorreva da Gesù. Pur avendo un’“adesione parziale” e una “scelta soggettivistica”, essa è stata colpita dai suoi segni e dalla sua ospitalità. La Chiesa non deve essere una comunità chiusa, di pochi eletti, che disprezzano o escludono chi appartiene alla “gran folla”.

Luoghi di Gerusalemme che possono ispirare questi pensieri sono il Muro Occidentale, La Spianata delle Moschee, la sinagoga dell’Ospedale Hadassa con la raffigurazione del corno dello shofar che ricorda la legatura di Isacco, il Monte degli Ulivi e la basilica del Santo Sepolcro.

La bellezza che salva il mondo. Lasciateci sognare

La Conclusione reca come titolo: “Il ‘Pastore bello’. Compagno di cuore, sogno, vita”. Garzonio si rifà alla lettera pastorale di Martini per l’anno 1999-2000, Quale bellezza salverà il mondo?

Per il passaggio di millennio il cardinale non ha pensato a grandi segni ecclesiali, ma ha invitato a meditare su Gesù la bellezza che salverà il mondo: «… la bellezza che salva il mondo è l’amore che condivide il dolore». Così Martini commenta la pagina dell’Idiota di Dostoevskij. La salvezza viene dal “pastore bello”, dal mistero della sua morte ignominiosa sulla croce, del sepolcro vuoto e della Gloria della risurrezione. Questo mistero ci cambia dentro e fa iniziare una nuova era.

«La bellezza del pastore sta nell’amore con cui consegna se stesso alla morte per ciascuna delle sue pecore e stabilisce con ognuna di esse una relazione diretta e personale di intensissimo amore. Questo significa – continua Martini – che l’esperienza della sua bellezza si fa lasciandosi amare da lui, consegnandogli il proprio cuore perché lo inondi della sua presenza, e corrispondendo all’amore così ricevuto con l’amore che Gesù stesso ci rende capace di avere».

Garzonio fa notare che Martini scrisse la lettera in un momento drammatico per l’Europa (pulizia etnica, attentati terroristici ecc.). Deve esserci un’etica della memoria, afferma l’autore. «Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo» ha scritto G. Santayana.  Chi da Gerusalemme è sceso a Gerico non può voltarsi dall’altra parte e vivere nell’indifferenza che contagia – continua Garzonio –. Non si possono erigere muri e operare respingimenti. Dio è appeso alla forca del ragazzo di Auschwitz e quindi l’esperienza della Terra Santa aiuta a non rimanere indifferenti alle tragedie del mondo, ma sprona a starci in mezzo, notando le simmetrie che si attuano nella storia.

Nel 1996 Martini scrisse la lettera pastorale Parlo al tuo cuore e, come discorso alla città per la festa di sant’Ambrogio, Alla fine del millennio lasciateci sognare.

La compassione di Dio si fa carico della condizione universale di morte e di peccato. «Dio sta dalla nostra parte e partecipa al dolore», afferma Martini. «Lasciateci sognare – prosegue il cardinale –. Lasciateci guardare oltre le fatiche di ogni giorno. Lasciateci prendere ispirazione da grandi ideali! […] la forza e il regno di Dio sono già in mezzo a noi […] basta aprire gli occhi e il cuore per vedere la salvezza di Dio all’opera. La forza di Dio è in mezzo a noi nella capacità di accogliere l’esistenza come dono […]. Il nostro sogno non sarà allora evasione irresponsabile né fuga dalle fatiche quotidiane, ma apertura di orizzonti, luogo di creatività, fonte di accoglienza e di dialogo».

Lo Yad Vashem e il Monte Tabor possono essere due luoghi della Terra Santa che fanno emergere nel pellegrino queste riflessioni.

In Appendice è riportato un messaggio dell’attuale arcivescovo di Milano Mario Delpini ai partecipanti al viaggio in Terra Santa sulle orme del card. C.M. Martini (3-10 ottobre 2018) in cui era prevista una sosta a Giv`at Ani, in Galilea, un luogo dove è stato costituito il Bosco Martini. «Piantate un albero anche per me», chiede Delpini, presso il pozzo della Parola, sotto il sole dell’amore e affidatelo alle cure dei sapienti. «Piantate un albero, cioè seminate il futuro».

Il volume di Garzonio è molto ricco e ispirante e unisce strettamente le riflessioni dell’autore e le parole del compianto biblista arcivescovo di Milano. I suoi scritti e la sua figura sono compagni generosi e affidabili nel pellegrinaggio in Terra Santa e nella quotidianità della vita da fecondare con la Parola e con l’amore generoso di Gesù, che in Terra Santa è nato e vissuto e a Gerusalemme è morto e risorto per l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo.

  • MARCO GARZONIO, Con Martini a Gerusalemme. In appendice un messaggio dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini, Edizioni Terra Santa, Milano 2020, pp. 256, € 12,00, ISBN 9788624080042.
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