Da Qumran a Bologna

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Ancora sorprese, nuovi frammenti e dibattiti. È quanto riservano anche in questi mesi, a settant’anni di distanza dai primi ritrovamenti, i manoscritti di Qumran. Se ne è parlato a Bologna in un convegno internazionale, promosso dall’Università emiliana, dall’Associazione italiana per lo studio del giudaismo e dalla Fondazione per le scienze religiose “Giovanni XXIII”. Luca Tentori ha sentito per noi alcuni degli esperti intervenuti al simposio.

Da Qumran a Bologna

Nel 1947 una capra che si era persa o la ricerca di un nascondiglio per il contrabbando portarono un pastore di Qumran dritto dritto a un vero e proprio tesoro. Fu il più grande evento archeologico del XX secolo, che con una campagna di scavi fino al 1956 in undici grotte, riportò alla luce i resti di novecento rotoli ebraici databili tra il III e II secolo avanti Cristo. Tra di essi i manoscritti più antichi della Bibbia ebraica mai conosciuti. Appartenevano probabilmente alla comunità essenica del luogo perita per mani dei romani nel I secolo dopo Cristo. Spiega il professor Corrado Martone dell’Università di Torino e tra i promotori dell’evento:

La stragrande maggioranza dei testi di Qumran è nota e pubblica. A settant’anni (dalle scoperte) abbiamo un quadro completamente diverso, basato su fonti di prima mano del Giudaismo del secondo Tempio che è in qualche modo il periodo più vivace della cultura giudaica da cui nascerà il cristianesimo e da cui nascerà il giudaismo contemporaneo, quindi alle radici della nostra cultura occidentale.

Il grosso dei testi trovati, soprattutto biblici di Qumran confermano quello che molti secoli dopo diventerà il testo masoretico, cioè il testo ancora oggi letto nelle sinagoche e il testo ebraico della Bibbia. Però ci dà anche la possibilità di comprendere lo sviluppo che ha portato a questa concretizzazione del testo. Quindi è veramente come vedere dal vivo la nascita del testo biblico.

Nuovi reperti

E la bibliografia di Qumran si è arricchita in questi ultimi mesi anche di due nuovi volumi di studi che propongono inediti frammenti con interpretazioni e ricostruzioni storiche e filologiche che già fanno discutere gli esperti. Nuovi dati durante il convegno sono stati offerti dal professor Mauro Perani dell’Università di Bologna, a proposito del rotolo intero del Pentateuco più antico al mondo da lui riscoperto nel 2013 nella biblioteca universitaria. In questi anni diversi studi hanno dimostrato che il manoscritto ha costituito un pilastro, una specie di stella polare, una specie di faro della vera Bibbia di Esdra – era attributo allo scriba Esdra, ovviamente in maniera iperbolica per dire antichissimo –. Al punto che era un riferimento non solo per la vita religiosa, ma anche per la vita politica. Infatti si parlerà di dispute di natura politica e religiosa che avevano sempre come punto di riferimento la Bibbia di Esdra che si trova a Bologna presso la Biblioteca universitaria.

La Bibbia di Esdra

La sua storia è avvincente e piena di colpi di scena. Il rotolo di 36 metri di lunghezza risale all’XI secolo e da Tolosa arrivò a Bologna all’inizio del trecento per mezzo dei frati domenicani. Nei secoli successivi fu un punto di riferimento per i biblisti di tutta Europa. Poi con l’arrivo di Napoleone prese il volo per la Francia. Tornato a Bologna del 1813 non fu più riconosciuto perchè privo della sua carta d’identità: una pergamena cucita sul retro che ne spiegava la storia. Solo tre anni fa la riscoperta.

Ora l’Università di Bologna si propone di aprire un museo dedicato alla Bibbia. A spiegare il progetto il professor Alberto Melloni, della Fondazione per le scienze religiose “Giovanni XXIII”.

La Bibbia di Gerusalemme

Questa scoperta ha fatto sì che sia venuta l’idea di pensare che attorno questo rotolo possa nascere non solo una sua esposizione, come oggi è nella Biblioteca universitaria di Bologna, ma qualcosa di più. Perché Bologna è stato il luogo della prima editio princeps della Bibbia ebraica ma è stato anche il luogo, tanti cattolici lo ricorderanno, dove le Edizioni dehoniane fecero la prima Bibbia di Gerusalemme, quel volume grande rosso, quasi un cubo di carta che rappresentava il ritorno della Scrittura dall’esilio nella tradizione cattolica. E dunque questo potrebbe essere un momento e un luogo nel quale questa presenza della Bibbia a Bologna possa trovare un suo significato non per musealizzarla, perché sarebbe una bestemmia trattarla così , ma per offrire a tutti, anche a quelli che hanno una dimestichezza sempre più scarsa, una possibilità di conoscenza del testo sacro.

L’articolo è stato pubblicato sul sito di Radio Vaticana il 22 settembre 2016.

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