Epifania: La periferia al centro

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Sul tetto del monastero delle suore maronite, nel quartiere armeno di Gerusalemme, il sole sale rosso cupo alle 6,30 ai primi di gennaio. Sorge da dietro il monte degli Ulivi, dietro il campanile del monastero russo, inondando Gerusalemme con la sua luce che scolora veloce nell’arancione e poi nel caldo dell’ambra. Lambisce prima la torre dell’YMCA, la Torre di Davide e la Chiesa della Dormizione, poi giù giù il Santo Sepolcro e la Spianata delle moschee, con la Moschea della roccia con la sua cupola dorata. Per pochi minuti le mura degli edifici sono colorate dalla luce “calda” dell’alba, prima di assumere il loro vestito usuale, bianco abbacinante, delle pietre squadrate delle case-fortezze.

Luce

«Alzati in piedi, risplendi [Gerusalemme] di luce, perché viene la tua luce». È una luce per te, speciale, tutta tua. Viene su di te, ti avvolge, ti penetra, ti trasfigura. È la luce propria di Gerusalemme, unica e indescrivibile. Ma è una luce che non nasce da lei, ma viene per lei. Viene dalla gloria di YHWH, che torna a casa dall’esilio di Babilonia. Se ne era andata con il popolo in esilio, sostando esitante sulla soglia del tempio (cf. Ez 10,18), per poi fermarsi a salutare Gerusalemme dall’alto del monte degli Ulivi, con un ultimo sguardo d’amore (cf. Ez 11,23).

Torna la tua luce Gerusalemme! Torna la gloria di YHWH! Torna dall’esilio ogni mattino, sbucando dal monte degli Ulivi per entrare nel suo tempio e riportare vita e luce sulle nebbie mortali della notte degli uomini. L’aveva intravista tornare il profeta Ezechiele: «Ed ecco che la gloria del Dio d’Israele giungeva dalla via orientale e il suo rumore era come il rumore delle grandi acque e la terra risplendeva della sua gloria… La gloria del Signore entrò nel tempio per la porta che guarda a oriente» (Ez 43,2.4).

YHWH inonda di luce la sua sposa, l’ombelico del mondo, la gloria e la delizia degli occhi del profeta e di ogni abitante o pellegrino che sale a visitare la madre. Torna a toccare con amore il luogo della sua presenza in mezzo al popolo, là dove abita il suo nome: «il mio santuario, orgoglio della vostra forza, delizia dei vostri occhi e anelito delle vostre anime» (cf. Ez 24,23; cf. 24,16).

Viene la tua luce [Gerusalemme], perché sorge la gloria del Signore. YHWH riversa su di te tutto il suo peso/la sua gloria /kebôdô. Il cielo bacia la terra. «Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo» (Sal 85[84],11-12).

La tenebra caotica (cf. Gen 1,2) è tornata a coprire la terra. Ma la luce la sconfigge con la sua forza primigenia. «“Sia la luce!” E la luce fu» (Gen 1,3). Una nube oscura e nebbiosa copre i popoli, ma YHWH è dentro la nube oscura (cf. Es 20,21) per trasfigurarla dall’interno e rivelare la sua istruzione di libertà. La luce sorge ogni mattino, perché ogni mattino sorge YHWH e appare la sua gloria. La gloria di YHWH ha nostalgia della sposa, e ogni mattino spia dietro il graticcio per sorprenderla (Ct 2,9) col capo madido di rugiada, i riccioli di gocce notturne (cf. Ct 5,2).

Onda gravitazionale

Le genti cammineranno alla luce della tua luce [Gerusalemme]. La luce che sorge per te è per tutti i popoli. Un cammino in salita per loro (cf. Is 2,3ss), verso la sorgente della luce, al cui sorgere dall’oriente anche i re si prostrano in omaggio del gran Re che viene nella sua città. «… terribile è il Signore, l’Altissimo, grande re su tutta la terra» (Sal 47[46],3). Sorge la tua luce, tu [Gerusalemme] sorgi con lei, trasfigurata ogni mattina.

Le genti cercano la luce, cercano la vita, cercano un senso ai loro giorni e al loro cammino. Cercano chi si interessi di loro più di se stesso, chi abbia cura dei figli dei propri figli. Cercano un dio, ma cercano anche l’Uomo, l’umano che si perde nei deliri di onnipotenza. I popoli cercano la luce che si estroflette. Sono stanchi dei narcisi che succhiano il sangue ai loro fratelli.

Alza gli occhi, madre; alza gli occhi, sposa! Guarda i tuoi figli dispersi nella diaspora delle genti e nella nebbia delle menti. Sono stati partoriti lontano da te, ma tutti in te sono stati registrati: «Si dirà di Sion: “L’uno e l’altro in essa sono nati e lui, l’Altissimo, la mantiene salda”. Il Signore registrerà nel libro dei popoli: “Là costui è nato”. E danzando canteranno: “Sono in te tutte le mie sorgenti”» (Sal 87[86],5-7).

I popoli salgono alla pietra di fondazione, posta sotto il monte Moria, dalla cui polvere è stato creato ’adam/l’umanità. Le genti salgono dal loro padre Abramo, padre di una moltitudine, padre di tutte le famiglie della terra (cf. Gen 12,2-3; 18,18; 22,18). Vengono a bagnarsi nella sua benedizione, ad attingere del bene-dire che YHWH ha pronunciato su di lui e la sua discendenza. Nel cuore delle genti c’è un sussurro fievole, a volte ricacciato indietro, ma prepotente nella sua debolezza: «È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce» (Sal 36[35],10). «Viene nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).

Alza gli occhi, madre; alza gli occhi sposa! Tutti i popoli “sono stati radunati /niqbeû”. Hanno sentito un’onda gravitazionale che li attirava dolcemente, ma irresistibilmente. Li attirava al centro, al vero ombelico del mondo. Non l’omphalos del santuario di Delfi, ma Gerusalemme – come illustrano le rappresentazioni cartografiche del medioevo abitato fondate sugli scritti di Isidoro da Siviglia. Ci sono popoli che vengono da lontano, sono figli robusti e coraggiosi. Le figlie che non ce la fanno, invece, “vengono accompagnate a mano/appoggiate all’anca/‘al ēd tē’āmanāh” (v. 4d).

Abbondanza dei popoli

Il Secondo Isaia aveva giù intravisto l’afflusso dei popoli, scrivendo negli anni che precedevano di poco il ritorno dall’esilio (538 a.C.; cf. Is 49,18-22). Ma ora il Terzo Isaia vede l’immagine più nitida: il volto di Gerusalemme sarà raggiante, «palpiterà e si dilaterà il suo cuore», con un movimento di stupore che anticipa il forte turbamento che la prenderà all’arrivo dei magi (cf. Mt 2,3: etarachthē). Il cuore della madre si allarga al massimo, può contenere anche l’“abbondanza/hămôn” dei mari, tutte le ricchezze, i beni, le culture, i geni delle nazioni.

L’“abbondanza/hămôn” dei popoli viene a visitare non più Abram, ma Abramo. Infatti YHWH gli aveva detto, prima di porre la circoncisione come segno di alleanza: «Non ti chiamerai più Abram /(’Abrām), ma ti chiamerai Abramo (’Abrāhām), perché padre di una moltitudine (’ab- hămôn gôyim) di nazioni ti renderò» (Gen 17,5).

Cammelli e dromedari, oro e incenso

Tutte le popolazioni del deserto d’Arabia si metteranno in marcia su cammelli e dromedari per le piste delle spezie e dei profumi. Non si fermeranno più a Petra o a Mamshit, ad Arad o al porto di Gaza. Cercheranno deviazioni secondarie, per salire al monte Sion. Verranno a “evangelizzare/yebaśśērû” la madre, a “dare il buon annuncio” delle lodi di YHWH. Non venderanno nulla, ma ricopriranno la madre di profumi e di gioielli, di oro e di argento, di incenso e spezie d’ogni genere. Avevano contribuito a opprimerla e a distruggerla (cf. v. 14b); ora diventeranno i suoi costruttori (cf. v.10).

Le porte della madre resteranno sempre aperte per accogliere i figli (cf. v. 11), le genti che tornano volando come colombe al nido (cf. v. 8). I popoli verranno guidati dai loro re (cf. v. 11d). Essi si prostreranno nella città del gran Re, in atteggiamento umile/curvi (cf. v. 14a).

Tutti i popoli accorrono alla loro madre, Gerusalemme. Tutte le genti vengono a onorare il loro padre, Abramo.

Concentrazione centripeta di forza, per diventare esplosione centrifuga di liete notizie, evangelisti delle lodi di YHWH in tutto il mondo.

Il nato re dei giudei

Stiamo al mondo del racconto e alla sua “verità” narrativa. Va cercato il “vero”, perché il “reale” è per lo più irraggiungibile e ogni storia, d’altra parte è sempre storia interpretata. Non esistono i fatti senza l’interpretazione, per asettici che si vogliano i resoconti.

Matteo narra la “verità” di Gesù rivelata a tutte le genti, simboleggiate dai magi. Che sia alla luce di un allineamento di Giove e Saturno nella costellazione dei Pesci (Palestina), attesa per tre volte nel 7 a.C. (come risulta da tavolette babilonesi ritrovate) o che la stella sia solo un rimando globale all’oracolo del profeta pagano Balaam (cf. Nm 24,17, ma in questo caso la stella spunta da Giacobbe…), il cammino degli esperti astronomi venuti dall’Oriente è “simbolo” (= che-tiene-insieme) potente della rivelazione/epifania di Gesù a tutte le genti. Questa è la “verità” profonda della persona di Gesù. Egli è «il re dei giudei» (così la denominazione usata dagli stranieri non giudei), re di una regalità tutta particolare, che si pone in continuità trasfigurata con quella davidica.

Secondo i vangeli, Gesù nasce a Betlemme, uno dei più piccoli capoluoghi di Giuda (cf. Mi 5,2), ma dal quale esce un “dominatore/guida/capo/gr. hēgoumenos” (v. 6, dal codice A della LXX), che non è un “re/ebr. melek”, ma il corrispondente dell’“ebr. môšēl/comandante/governatore” del testo ebraico masoretico di Mi 5,1.

Il “re dei giudei” sarà un re particolare, davidico sì, ma diverso qualitativamente nell’esercizio della sua regalità. Sarà un dominatore-pastore, che “pascerà/poimainei” il popolo di YHWH, il suo popolo. Sarà il re messianico di giustizia, di fecondità e di ogni bene. «A lui si pieghino le tribù del deserto… I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni… gli sia dato oro di Arabia… In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato» (Sal 72[71],9a.1015a.17bc).

Questa nascita renderà Betlemme per nulla il più piccolo capoluogo di Giuda (Mt 2,5), anche se lo è dal punto di vista statistico.

Prostrati, adorarono

Seguendo la loro scienza e la loro coscienza – non disprezzando tuttavia le indicazioni delle Scritture ebraiche –, i saggi/magi (che offrano tre doni non significa che fossero in tre) arrivano a fare la riverenza regale (prosekynēsan) al “re dei giudei”, mentre chi conosce esattamente le Scritture non vi arriva a farlo, pur essendovi vicino per conoscenza biblica e distanza geografica.

Il potere regale terreno si allarma e tutta la città di Gerusalemme è scossa da fortissimo turbamento (etarachthē). È la “verità” della persona di Gesù. La sua missione e la sua prassi metteranno in crisi dall’interno la pratica politica come viene attuata nella maggioranza dei casi («non così è tra voi», sottolineerà con forza Gesù ai Dodici, Mt 20,26).

A lui vengono le ricchezze dei popoli, doni regali e divini, preziosi. Gesù, piccolo “re dei giudei”, rimanda, all’indietro, alla casa di Davide e, in avanti, al dono di sé fino alla croce e alla sepoltura fra balsami approntati in fretta e furia (Nicodemo è detto portare trenta chili di mistura di mirra e aloe, l’occorrente per una sepoltura “regale”; cf. Gv 19,39).

I popoli vengono con le loro ricchezze, le loro culture, il loro genio particolare. Il “governatore” di Betlemme accoglie tutti nel suo regno di pace e di giustizia (cf. Sal 72[71]). Nessuno avrà da perdere nell’incontro con il Gesù di Betlemme. I magi avvertono una “gioia grandissima/charan megalēn” al vedere la stella. Le navi di Tarsis (cf. Is 60,9) possono tornare a casa ai confini della terra. Le colombe possono tornare alle loro colombaie native (cf. Is 60,8). Il “governatore” di Betlemme non è un capo accentratore.

Per altre vie, conosciute ai vari popoli, la buona notizia delle lodi del Signore (cf. Is 60,6) può spargersi “in uscita” con una forza centrifuga inarrestabile. «Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra; davanti a te si prostreranno tutte le famiglie dei popoli. Perché del Signore è il regno: è lui che domina sui popoli!» (Sal 22[21], 28-29).

I confini torneranno ai confini, ma la periferia avrà toccato il centro del contagio, incandescente: un bimbo in una mangiatoia, un Dio fatto cucciolo d’uomo, un re che regna dalla culla fatta croce.

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