Giosuè e la fede di Israele

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Dopo aver lanciato, tramite SettimanaNews il commento a 15 Salmi, vorrei ora proporre alcune riflessioni su vari percorsi di fede presenti soprattutto nei Vangeli: quelli di Giovanni Battista, di Maria, dei primi discepoli di Gesù, in particolare di Pietro e di Tommaso, del giovane ricco, del nostro Pilato, di qualche donna, di Gesù stesso, di Paolo e delle prime Chiese cristiane. Lo sto facendo con vari gruppi di adulti e ne vedo il forte interesse. Spero di giovare anche qui. Prima però lanciamo uno sguardo al cammino di fede del popolo ebraico. Il cap. 24 di Giosuè mi sembra un’ottima pista.

L’assemblea di Sichem in Gs 24

Il contesto: Israele sta passando dal nomadismo a un nuovo tipo di società: sedentaria, agricola, commerciale, cittadina, a un nuovo, diremmo oggi, welfare. Il successore di Mosè intuisce il pericolo: la perdita della memoria, anzi l’abbandono del passato soprattutto religioso, per il contatto alquanto affascinante con le religioni del territorio di Canaan; perciò, dopo aver introdotto le sue tribù in buona parte della “terra promessa”, le convoca al pozzo di Giacobbe, a Sichem. A loro, disposte tra le colline Ebal e Garizim, propone una specie di carta costituzionale. Siamo verso il 1200 a.C. Rinfrescare la memoria e incamminarsi verso un ormai pressante e imminente futuro si può dire lo scopo di questa assemblea.

Il cap. 24 ne è testimonianza arcaica pur arricchita – dicono gli studi – di elementi più recenti. Si possono distinguere quattro punti: parola di Dio, proposta, risposta, conclusione.

Parola di Dio e proposta al popolo (vv. 1-15)

“Dio dice” nell’oggi e qui a Sichem, è sua la prima parola. Ma come la dice? Non con un libro più o meno calato dal cielo all’improvviso (quasi come sarebbe il Corano), nemmeno con un discorso astratto e ideologico, come “la vita è, la felicità è, la giustizia è…”, qui è ignorato anche il creato, che verrà valorizzato più avanti (con Gen 1).

Dio parla innanzitutto con una storia ben concreta: essa parte da Abramo e arriva appunto a Sichem, da Abramo, idolatra come tutti al suo tempo, all’adorazione del solo YHWH (monolatria, che diventerà, molto tempo dopo, monoteismo).

Da Abramo essa si snoda poi con i i suoi discendenti: in particolare con Giacobbe, l’imbroglione strozzino poi imbrogliato e strozzato dallo zio Labano, e il vendicativo ma poi misericordioso Esaù, per toccare le vicende del pettegolo e sognatore Giuseppe, maltrattato dai vendicativi fratelli beneficati poi da lui in Egitto; seguono ricordi di Mosè e di Aronne e di altri momenti più o meno noti e collegati con il Dio che “ha fatto uscire” Israele dal rischio dello sterminio e da altri guai del viaggio nel deserto.

E così si ritorna a Sichem e alla proposta di Giosuè alla sua gente: «eliminate gli altri dèi serviti nel passato e servite solo il Dio che ci ha condotti fin qui», appunto, con tutta quella serie di fatti ricordati. Ma una storia è sempre anche ambigua: occorre qualcuno che la sappia leggere e interpretare: lo fa Giosuè con la sua casa (ne avrà ragionato prima con i suoi familiari, moglie o mogli comprese?). In seguito altri lo faranno: la serie grandiosa dei profeti di Israele e di saggi scrittori.

Risposta popolare e alleanza (vv. 16-28)

La proposta di Giosuè non costringe, è libera, e il popolo può rispondere responsabilmente (come in una vera democrazia!). Il popolo, lì, istradato certo dalla sua guida umana, risponde con entusiasmo: «Anche noi vogliamo servire YHWH».

Giosuè – ma qui si avverte anche la storia successiva dei rinnegamenti – rimarca la serietà della proposta e della risposta: con «quel Dio santo e geloso» non basteranno belle parole o riti esteriori: ci vuole innanzitutto il “cuore”, altrimenti sono guai per tutti. Il popolo, allora, ribadisce con entusiasmo la sua adesione al solo YHWH. Poi ci saranno ben altre risposte… come sempre o quasi le crisi dopo gli entusiasmi.

A questo punto (ris)spunta il grande tema dell’alleanza tra Dio e Israele e Giosuè qui se ne fa mediatore. Alla richiesta fondamentale (eliminare altri dèi) si aggiungono leggi e decreti a un “libro” già presente tra il popolo (forse una pergamena o una tavoletta d’argilla o una piccola pietra con scritte vecchie parole di Mosè? il Decalogo o probabilmente altro?). E c’è anche una grossa pietra (allusione a quella di basalto nero del famoso codice di Hammurapi?) e un mucchietto di sassi come santuario, quale testimonianza di tutto quanto ascoltato e detto. Al cuore, quindi, si aggiungono anche segni esterni, come sarà più abbondantemente in seguito. Tutto a contorno di una testimonianza divina e di un popolo esso pure “testimone”.

Così quell’assemblea si chiude e tutti riprendono la vita quotidiana nel loro nuovo contesto sociale e religioso, ma con la memoria rinnovata e da rinnovare tante altre volte, in vista di un buon percorso di fede da parte di cuori e comunità.

È abbastanza facile il confronto tra quel percorso di fede di Israele e quello che sarà poi collegato con la storia di Gesù e delle sue Chiese, anch’esse con riti “in memoria”, con momenti di assemblea e vita socio-quotidiana, con proposte e risposte più o meno coerenti, con alleanze da celebrare e rinnovare continuamente…

Ma Gs 24 illumina anche percorsi come quello di ognuno (io chi sono, donde vengo, dove vado, con chi?…), di coppie di sposi, di comunità religiose e civili, ciascuno dentro il suo contesto storico vitale e spesso anche drammatico.

Non manchino mai persone capaci di leggere queste storie con luce e voce profetica. Una non è quella di papa Francesco?…

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