I cristiani e le Scritture di Israele

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Il volumetto raccoglie le tre relazioni tenute al Centro San Carlo di Modena l’11 novembre 2017 in un convegno organizzato per ricordare il biblista don Pietro Lombardini (1941-2007). La giornata di studio è stata organizzata da Brunetto Salvarani, teologo e docente di missionologia e teologia del dialogo alla Facoltà teologica Emilia-Romagna, che firma una bella prefazione sulla figura e l’opera di Lombardini (pp. 7-14). Licenziato al PIB di Roma, egli fu per anni impegnato nell’insegnamento biblico, nel lavoro pastorale e nell’appassionato recupero delle radici ebraiche del pensiero cristiano. Lunghi periodi di studio in Israele lo avevano reso molto preparato per le sue lezioni e conferenze bibliche di aggiornamento in vari ambiti della diocesi. Non lasciò volumi scritti, ma molti appunti, vari dei quali pubblicati recentemente dalle EDB di Bologna. A Pietro Lombardini è intitolata una Fondazione e una cattedra di insegnamento alla FTER di Bologna.

Adriana Destro, antropologa culturale docente a Bologna, e Mauro Pesce, già professore di storia del cristianesimo, intitolano il loro studio “Le prime comunità dei seguaci di Gesù. Uno sguardo antropologico e storico”, pp. 15-67). I gruppi cristiani rimanevano all’interno del giudaismo, ma si differenziavano secondo le diversità presenti in partenza nell’ambito del giudaismo, molto vario e per niente monolitico. Diversità di lingua e di tradizioni portano i gruppi “nazareni” (chiamati impropriamente “giudeo-cristiani”, quando il cristianesimo non esisteva ancora…) a distinguersi dai seguaci di Gesù di lingua greca.

Alle varie aree di appartenenza – Gerusalemme, Samaria, Galilea, Transgiordania, Siria, Antiochia di Siria – si devono le varie opere degli evangelisti e altre che non entrarono nel canone. Ciascuno dei gruppi formanti il sottogruppo dei seguaci di Gesù all’interno del giudaismo produce delle opere scritte. I vari gruppi dei seguaci di Gesù potevano trovarsi in frizione gli uni con gli altri nell’ambito di grandi città, in quanto espressioni di culture linguistiche diverse.

Elena Bartolini de Angeli, docente di giudaismo e di ermeneutica ebraica alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, studia “L’interpretazione ebraica della Scrittura” (pp. 67-96). Si sofferma dapprima sull’importanza primaria della Torah nel contesto del canone ebraico, in quanto at-testazione della parola rivolta direttamente da YHWH a Mosè.

I Nebiim (“Profeti”) e i Ketubim (“Scritti”) non hanno la stessa rilevanza, in quanto rivelazione indiretta di YHWH. Per il giudaismo normativo, la tradizione orale ha lo stesso valore di quella scritta. In assenza del tempio, la spiritualità ebraica si raccolse nelle sinagoghe e attorno al commento della Torah. Divenne una “cultura del commento”. Attorno alla Torah si è invitati a porre una “siepe” che favorisca l’interpretazione e la “crescita” della Parola con il lettore e faccia evitare la violazione dei precetti più importanti.

I quattro livelli di significato della parola di Dio sono: il senso letterale (peshat), quello allegorico/morale (remez), l’interrogazione del testo (derash) per ricercare il senso nascosto sotto il senso letterale. L’ultimo livello di comprensione è il senso mistico (sod), a cui si può giungere solo dopo aver attraversato gli altri tre livelli di interpretazione. Le lettere iniziali dei vocaboli che indicano i quattro sensi (p-r-d-s) formano la parola pardes / “giardino, paradiso”, che indica simbolicamente la dimensione trascendente dalla quale la parola proviene e alla quale rimanda.

Le traduzioni-interpretazioni dei Targumim favorirono l’approfondimento della comprensione della Torah, così come i Midriashim, commenti ai testi biblici che possono essere di natura per lo più narrativa (haggadici < higgid = “narrare”) o morale/didattica normativa (halakici < halak = “camminare/comportarsi moralmente”). L’interpretazione ebraica può spingersi sino agli approfondimenti cabalistici e mistici o comunque molto sofisticati, potendo giocare sul valore numerico delle lettere dell’alfabeto ebraico e sulla trasposizione delle consonanti all’interno delle parole del testo biblico non vocalizzato.

La relazione di Bartolini De Angeli riporta i termini ebraici in traslitterazione semplificata.

Prima di diventare vescovo di Modena, Erio Castellucci ha insegnato teologia sistematica (ecclesiologia in primis) alla FTER di Bologna. Citando abbondanti brani dei documenti post-conciliari circa l’interpretazione ebraica delle Scritture e del loro rapporto con l’interpretazione cristiana («Una lettura cristiana delle Scritture di Israele. La complessa categoria del “compimento”», pp. 97-125) analizza il controverso concetto di “compimento”.

Il documento “Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana” della Pontificia commissione biblica (pubblicato nella solennità dell’Ascensione 2001 con la prefazione del card. Ratzinger) ha implementato le categorie interpretative del rapporto AT-NT. Non solo quella del “compimento”, ma quelle di “continuità, discontinuità e di progressione” (n. 64).

Castellucci indaga la categoria del “compimento” dimostrando l’impossibilità di concepire ogni teoria sostituzionista delle Scritture cristiane rispetto a quelle ebraiche. Egli mostra come il compimento dell’AT non è nel contenuto del NT, ma nella persona di Gesù. Nessuna profezia o istituzione dell’AT annuncia direttamente ed esplicitamente Gesù, di modo che si possa tacciare di durezza di cervice chi non arriva a credere in Gesù. Solo dal mistero pasquale di passione/morte e risurrezione di Gesù, totalmente imprevedibile a partire dall’AT, si può interpretare l’AT, vedendo in Gesù l’inizio del compimento delle promesse. Il suo compimento dell’AT si situa a livello storico. Ma non è completo. Anche nella fede cristiana si attende un compimento escatologico. La fede ebraica nel Messia che verrà aiuta i cristiani a tener desta la loro speranza escatologica.

Castellucci afferma che a Lombardini non fosse congeniale la categoria “compimento”, citando varie pagine di una sua conferenza, in cui si rimanda a un dialogo fecondo e a una interrelazione tra la fede cristiana e quella ebraica, in cui un andirivieni incessante di testi, letture e interpretazione forma una ricchezza da non disperdere adducendo il fatto che la venuta di Gesù costituirebbe un – supposto – “compimento” totale.

A pagina 90, riga 2 si legga ’alef e non ‘ajin. A pagina 91 riga -6 del testo in carattere minore si legga Bere’shit e non Bere’shi.

«Mi trovavo davanti a un solo Libro e a due eredi: l’erede ebraico e l’erede cristiano. Problema complesso, perché ritenersi gli eredi legittimi non significa essere eredi buoni» (Pietro Lombardini).

Pagine interessanti su un tema cruciale, che non sempre trova accorti espositori in ambito divulgativo e di predicazione.

A. Destro M. Pesce E. L. Bartolini De AngeliE. Castellucci, I cristiani e le Scritture di Israele, EDB (Lapislazzuli), Bologna 2018, pp. 128, € 11,00.

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