Lo stile di Gesù

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«Torniamo sempre allo stile di Dio: lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Dio ha sempre operato così. Se noi non arriveremo a questa Chiesa della vicinanza con atteggiamenti di compassione e tenerezza, non saremo la Chiesa del Signore». Le parole di papa Francesco nel discorso di apertura del percorso sinodale hanno ispirato al liturgista e biblista camaldolese il filo conduttore in cui inanellare una serie di riflessioni bibliche incentrate sulla doppia opera lucana Vangelo-Atti.

Lo stile di Dio è quello mostrato concretamente da Gesù nella sua vita, morte e risurrezione. Questo è lo stile che egli ha lasciato come eredità ai suoi discepoli, perché lo vivessero e lo testimoniassero anche in ambiti sempre più vasti e diversificati culturalmente e religiosamente.

La Chiesa, impegnata in questi anni in un cammino sinodale che vede coinvolte tutte le componenti del popolo di Dio, inserite amabilmente nel mondo vasto delle relazioni umane e in dialogo fraterno anche con tutte le persone che non partecipano esplicitamente al percorso di fede ecclesiale, deve avere come colonne portanti le caratteristiche che hanno segnato la persona e la vita di Gesù di Nazaret.

Il monaco camaldolese si rifà ai testi evangelici ma anche a quelli ecclesiali dedicati più specificamente al cammino sinodale a cui la Chiesa è stata chiamata.

Per vivere e testimoniare Gesù occorre averlo incontrato personalmente. Nell’introduzione al libro, l’autore riflette sulle tappe che hanno caratterizzato l’incontro dei dieci lebbrosi con Gesù (Lc 17,11-19). Andare incontro, fermarsi rispettosamente a distanza, alzare la voce, rivolgersi ai sacerdoti, tornare a ringraziare sono tappe normative anche per la vita della Chiesa. Occorre andare da Gesù trovando un luogo e una preghiera per mettersi alla presenza di Dio e invocare la sua azione su di noi.

Prendere in mano le Scritture è il secondo passo, in cui ci si domanda cosa stia operando in me la parola del Signore. Ritornare per ringraziare è riconoscere che il mio bene viene da un Altro e scoprire i frutti inattesi dell’incontro con Dio e con la sua parola.

I volti della Chiesa

Convocata. Sei sono i volti della Chiesa sui quali l’autore sofferma la sua attenzione. Per ognuno di questi, egli riflette su due brani biblici dell’opera lucana.

La Chiesa si presenta innanzitutto come comunità convocata. Il testo biblico dell’Annunciazione a Maria (Lc 1,26-38), con il momento della situazione di partenza caratterizzato dalla piccolezza e dalla perifericità del luogo, il dialogo articolato di Maria con l’angelo e la conclusione possono illustrare bene la natura della Chiesa come comunità convocata, radunata dall’iniziativa divina, per un cammino e una vocazione che non devono conoscere timore, perché sorvegliati dalla promessa dell’assistenza divina. Sarà un esodo verso la fecondità.

La chiamata dei primi discepoli (Lc 5,1-11) nel contesto di una pesca miracolosa presenta una situazione iniziale di ressa della folla per ascoltare la parola di Dio. Gesù vede due barche e predica. Invita quindi Pietro a prendere il largo e a pescare anche in tempo inopportuno e, dopo aver costatato l’abbondanza della pesca in un lavoro comunitario e sinodale, accade la chiamata a diventare pescatori di uomini, in una pastorale missionaria.

Il brano termina con la sequela dei discepoli. Conclude Ferrari: «La vita della Chiesa ha il suo criterio di valutazione ultimo nella sequela di Gesù, nell’imitazione di Cristo. Ma questo è anche il criterio di valutazione e il fondamento della fecondità della missione: solo uomini e donne che seguono Gesù, che camminano dietro a lui potranno essere annunciatori del Vangelo» (p. 61).

Conversione. La Chiesa è una comunità in stato di conversione costante. Questa consiste nel tornare alla propria identità più profonda. Se il Documento Preparatorio utilizza l’immagine biblica dell’episodio della conversione di Cornelio (che l’autore esaminerà più avanti), Ferrari riflette sullo stupendo episodio della donna peccatrice in casa di Simone il fariseo.

Lc 7,36–8,3 mostra un Gesù accogliente, libero e liberante, con uno stile di rapporti con la peccatrice e le donne al suo seguito che supera gli schemi standardizzati. Gesù è libero, ospitale e ospitante. È libero anche in un contesto non ordinario, libera le persone in cerca di amore vero abbracciandole in un perdono che avvolge, precede e segue i segni di amore e di pentimento della donna, salvata dalla sua fede, oltre che dal suo amore.

Gesù ha fiducia in noi, libera anche noi dai pregiudizi e dal peccato. Ci pungola a seguire questo volto per essere in lui testimoni di verità e di liberazione. Una Chiesa sempre in conversione deve costantemente rinnovarsi per essere libera e liberante, animata dalla fiducia in una umanità che Dio ama e sulla quale egli non cessa di scommettere.

Il tempo della conversione è illustrato da Ferrari con il brano di Lc 13,1-9 che riporta i riferimenti a due tragici fatti di cronaca e la parabola o similitudine del fico sterile. La tragicità non evitabile degli incidenti imprevisti e la violenza sanguinaria voluta dal procuratore Pilato invitano a una conversione personale per non incorrere nella morte spirituale, ben più grave di quella fisica.

La parabola del fico sterile non va letta cercando l’identificazione puntuale dei personaggi, ma attesta la pazienza del padrone della vigna sollecitata dalla premura dell’agricoltore. Il comportamento del contadino può essere quello di Gesù o quello di Dio, secondo Ferrari. Guardando al canto della vigna di Isaia il senso generale del brano sembra andare in questo senso. Dio, come il vignaiolo, invita alla conversione, si mostra longanime, lascia il tempo per la conversione ma si dà anche da fare, prendendosi cura del terreno e della pianta.

La conversione prima e fondamentale è quella che riguarda l’immagine di Dio, che non segue i parametri umani nei nostri confronti, evitando inoltre di stringere un rapporto immediato tra fatto e peccato. La Chiesa è chiamata a evangelizzare un volto di Dio che sia buona notizia per l’uomo d’oggi. «Solo un Dio disposto a perdere tempo per noi è colui che possiamo seguire» (p. 84).

Orante. La terza caratteristica della Chiesa sinodale è quella di essere una comunità orante. Solo una Chiesa che prega, aprendosi alla ricerca continua del volto di Dio e del suo progetto sull’umanità di oggi, può risultare evangelica e feconda nel suo agire.

L’autore riflette in un primo paragrafo su Gesù quale modello di preghiera. Egli spesso si ritirava in luoghi deserti a pregare.

Ferrari recensisce i passi che testimoniano la preghiera di Gesù (battesimo, ministero in Galilea con la chiamata dei Dodici e la Trasfigurazione, la passione nel Getsemani). La preghiera è per Gesù soprattutto il momento in cui egli comprende il senso della sua missione. La preghiera non è solo richiesta e supplica, ma discernimento e comprensione della propria identità. Nella preghiera emerge la dimensione “verticale” della sinodalità. Senza preghiera, non si è veramente discepoli di Gesù.

Un secondo paragrafo illustra Gesù quale maestro di preghiera. Vengono visitati vari brani: le parabole di Lc 11,5-13 sull’insistenza e l’oggetto del preghiera; la parabola di Lc 18,1-8 e quella di 18,9-14 con i personaggi del fariseo e del pubblicano messi a confronto.

L’umiltà si contrappone al disprezzo e all’autosufficienza fondata sui propri meriti. La preghiera rivela innanzitutto alla Chiesa il proprio volto e fa comprendere che la lex orandi diventa modello, esercizio di fede e di vita comunitaria. La Chiesa che custodisce l’autenticità della preghiera protegge, nello stesso tempo, la sua dimensione sinodale.

Ospitale. Quarto segno caratterizzante la Chiesa è quello di essere una comunità ospitale. Solo una comunità ospitale, di «ospitalità incondizionata» (Ch. Theobald) può annunciare il Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo.

Lc 6,17-19 illustra lo stile ospitale di Gesù e dei suoi discepoli. Da Gesù usciva una forza che guariva tutti. Egli discende dal monte della costituzione dei Dodici, incontra una gran folla che lo cerca, cerca un contatto fisico con lui, un incontro personale.

Anche noi oggi possiamo fare l’esperienza del cercare Gesù, del toccarlo, dell’essere guariti. La comunità cristiana lo tocca nella carne della Scrittura, nella comunità dei fratelli e delle sorelle, nel pane spezzato e nel calice condiviso, profezia e annuncio della pasqua di Gesù. Nell’ospitalità donata e ricevuta si manifesta un tratto essenziale della vita cristiana.

Lc 10,38-42, in cui si narra l’ospitalità offerta a Gesù da Marta e Maria nella loro casa, offre l’occasione di riflette sulla «parte buona» da scegliere e da custodire con cura.

Alla domanda del giovane ricco su che cosa fare per avere la vita eterna, Gesù risponde con la parabola del buon Samaritano. Occorre farsi prossimo. L’episodio di Marta e Maria è parallelo. C’è corrispondenza fra Marta e il levita/sacerdote e tra Maria e il samaritano. Ci sono due modi per farsi prossimo: il prendersi cura del samaritano e l’ascolto di Maria.

Maria ascolta la parola di Gesù. Ha scelto la parte buona. Il samaritano è figura centrale e determina l’azione: non è la vita dell’uomo incappato nei briganti a dipendere dall’agire degli altri due, bensì il contrario.

La parte buona di Maria «è la scoperta che non è la vita dell’altro a dipendere dalla mia, ma è la mia esistenza che dipende radicalmente da quella dell’altro e da come io mi relaziono a lui» (p. 133). La vera ospitalità consiste nel conoscere l’essenziale: la vita mia dipende dall’altro. La «parte buona» scelta da Maria nel suo rapporto con Gesù è sapere che lui fa qualcosa per lei, non viceversa.

Immersa nelle sue premure, Marta ha dimenticato che il Signore si curva su di lei. «Non c’è vera ospitalità senza la consapevolezza che sono io ad avere bisogno dell’altro, ancora prima che l’altro abbia bisogno di me» (pp. 133-134).

Pasquale. La Chiesa dal volto sinodale non può che avere nella pasqua di Gesù il suo punto di riferimento ultimo ed essere, quindi, una comunità pasquale. La vita cristiana trova nella morte e risurrezione del Signore il suo senso e la sua fonte, il suo modello e il suo compimento.

Le parole e i gesti dell’eucaristia sono lasciati da Gesù ai suoi discepoli per custodire nel mondo la sua memoria. I discepoli nel mondo dovranno essere memoria vivente del Signore grazie alla conformazione alla sua pasqua, nel dono della vita e nella comunione/alleanza con il Padre.

Nell’eucaristia la pasqua di Gesù si rivela come fondamento della comunione con Dio e con i fratelli. Essa è il modello della solidarietà con l’umanità, specie quella ferita e peccatrice. «Il senso di una Chiesa che va incontro agli ultimi e ascolta la loro voce si radica nel dono della vita di Gesù sulla croce e nel dono dello Spirito che egli dona per fare nuove tutte le cose» (p. 136).

Il brano di Lc 23,33-46 illustra la pasqua come solidarietà. Esso contiene l’interpretazione autentica fatta da Gesù stesso della sua donazione pasquale: «Fu annoverato tra gli empi».

Ferrari esamina le due pericopi (non tre…, p. 138) della crocifissione di Gesù (vv. 33-39) e del dialogo di Gesù col malfattore e le ultime parole di Gesù in croce (vv. 40-46).

Il momento culminante dell’esistenza di Gesù è la solidarietà con i peccatori, l’umanità peccatrice. Gesù prega per i suoi uccisori e perdona i loro peccati. Ci sono vari personaggi che irridono alla messianicità impotente di Gesù, ma al secondo malfattore Gesù promette la sua presenza con lui in paradiso nell’oggi che si sta compiendo. Dio risponde all’iniquità dell’umanità non con il castigo ma col perdono. Il malfattore “buono” invoca il ricordo, invoca il non dimenticarsi dell’alleanza. Nell’uomo che riconosce la propria miseria si attua il perdono che porta salvezza, che consiste nello stare «con Gesù».

Nella preghiera, Gesù consegna la propria vita al Padre, in modo coerente con tutta la sua vita precedente. Una Chiesa che vuol esser sinodale cerca la coerenza tra insegnamento e vita, dove la concretezza dell’esistenza diventa trasparenza del Vangelo di Gesù.

Inoltre, la passione di Gesù insegna ai suoi discepoli la via della solidarietà con gli ultimi, gli esclusi, i peccatori.

La logica della passione fa emergere anche il fondamento dell’esercizio dell’autorità nella comunità dei discepoli. Gesù rivela il volto della vera autorità, che si fonda non sulla ricerca della propria salvezza, ma sulla logica dell’amore, del servizio e del dono. Seguire il Signore sulla via della croce significa riconoscersi tutti nel peccatore perdonato, per sentirsi dire le parole di Gesù: «Oggi con me sarai in paradiso».

L’autore legge con grande maestria esegetica e afflato spirituale-teologico il brano dei discepoli di Emmaus. Lc 24,13-35 illustra i passi della sinodalità e del discernimento ecclesiale. Sono lunghe pagine di Ferrari che illustrano il cammino che la Chiesa sinodale deve intraprendere oggi.

La fase preparatoria illustra due uomini che erano in cammino, in allontanamento dalla comunità di Gerusalemme. Sono tristi e delusi ma non si separano. Discutono, ma restano insieme. Fanno tre cose fondamentali: camminano insieme, cercano di comprendere, fanno memoria. Si confrontano.

Gesù si accompagna a loro, da sconosciuto. Pone delle domande che fanno emergere la tristezza di discepoli e la loro incomprensione della storia di Gesù. Non hanno capito la via del Messia sofferente, pur avendo tutti gli elementi in mano della storia accaduta.

Altri elementi fondamentali della Chiesa sinodale sono la presenza di Gesù come «forestiero» sui cammini delle nostre delusioni e la necessità di raccontare davanti a lui, ancora sconosciuto, la nostra versione dei fatti. Ascoltandoci, sappiamo che il Signore risorto è presente in mezzo a noi. Gesù espone la sua versione dei fatti, ripercorrendo l’insieme delle Scritture di Israele. Il passaggio attraverso le Scritture è un elemento decisivo per la Chiesa sinodale.

La fase celebrativa è la preghiera fatta dai discepoli allo sconosciuto di rimanere con loro. La preghiera e l’ospitalità sono altri elementi della Chiesa sinodale. Nei gesti e nelle parole della cena, la parola delle Scritture si incontra con la nostra vita. La cena è la chiave di lettura che permette ai discepoli di riconoscere la presenza del Risorto nella loro vita. Gesù è entrato per rimanere con i suoi discepoli e ora il modo in cui egli «rimane con loro» è l’eucaristia. «Sono i discepoli che, custodendo la memoria di Gesù nella loro vita, attraverso i gesti e le parole della cena, sono chiamati a essere essi stessi memoria viva del Risorto nella storia dell’umanità» (p. 160).

L’ospitalità (dello straniero) e l’eucaristia diventano termini fondamentali del vocabolario della sinodalità e del discernimento ecclesiale. Per la Chiesa «l’eucaristia è sorgente teologale del suo essere-insieme e della sua missione» (Ch. Theobald).

La fase attuativa del cammino sinodale della Chiesa lo si trova illustrato nel ritorno dei due discepoli a Gerusalemme. Essi ritrovano gli Undici e gli altri e si rendono reciproca testimonianza dell’incontro con il Risorto. Sulla strada per Gerusalemme, percorrendo le vie della sinodalità, i due discepoli diventano autenticamente cristiani.

«È passando attraverso i loro dubbi, le loro delusioni, l’ascolto della parola, la frazione del pane, che essi giungono a quella gioia che è caratteristica dell’arte di vivere cristiana» (pp. 161-162) (cf. EG 1). La meta del percorso sinodale e del discernimento ecclesiale è la comunione, la gioia, la missione. «La comunione ecclesiale è il sigillo del discernimento e la verifica del cammino sinodale» (M. Grech, cit. a p. 162). Una verifica non solo giuridica, dottrinale o disciplinare, ma nel senso della comunione.

Secondo Ferrari, il brano di Lc 24,13-35 costituisce veramente «un trattato» per un volto sinodale della Chiesa e per il cammino del discernimento ecclesiale. «Emmaus è dunque, al tempo stesso, microcosmo dell’essenza del cristianesimo e dell’autenticamente umano, è cammino di fede e cammino di umanizzazione» (G. Boselli, cit. a p. 163).

Non va dimenticato che tutto accade «in quello stesso giorno». La domenica è il giorno della sinodalità e del discernimento ecclesiale, dove nell’ascolto della Parola e nella frazione del pane, nella comunione e nella carità, nell’ospitalità e nella gratuità della festa, i discepoli riuniti fanno memoria del Signore risorto. Nella celebrazione dell’eucaristia la parola di Dio si incontra con la vita, nello spazio gratuito della festa. «È la domenica a custodire gli elementi fondamentali della vita della Chiesa e quindi della sinodalità» (p. 164).

Nel racconto di Emmaus si può vedere «il senso del percorso sinodale nel fare nostro lo stile di Gesù: farsi compagnia di viaggio degli uomini e delle donne smarrite del nostro tempo» (ivi). Sperimentata la compagnia del Risorto sulle strade del nostro smarrimento, possiamo farci compagni di strada per altri.

In missione. L’autore illustra nella Conclusione del suo libro la sesta caratteristica della Chiesa sinodale: una comunità in missione. Il brano di At 8,26-40 descrive una Chiesa missionaria attraverso l’episodio del diacono Filippo e dell’eunuco della regina di Candace.

Due uomini si incontrano. Uno è un eunuco straniero, ferito nel corpo, escluso dal culto, emarginato socialmente, ferito nelle relazioni, incapace di fertilità e di vita. La sua appartenenza religiosa è incerta: un ebreo della diaspora? Un pagano convertito? Un simpatizzante della religione di Israele?

L’altro è Filippo, un evangelizzatore degli emarginati, in quanto evangelizzatore della Samaria. È uno strumento nelle mani di Dio: un angelo lo guida, lo Spirito lo invita ad avvicinare il carro dell’eunuco e poi lo rapisce una volta conclusa la sua missione. Assomiglia al profeta Elia. Ci sono due uomini, delle domande, è presente la Scrittura, c’è dell’acqua in terra arida. Anche noi siamo sulla strada con le nostre domande alle quali cerchiamo insieme delle risposte capaci di rimetterci in cammino, di far rinascere la gioia e l’annuncio del Vangelo di Cristo Gesù.

Filippo è una figura profetica che precede gli apostoli nella loro missione di annunciare il vangelo fino ai confini del mondo. Un angelo parla a Filippo perché raggiunga l’uomo emarginato che ricerca Dio nelle Scritture di Israele.

Filippo non impone domande e risposte, ma condivide le domande dell’interlocutore. Le Scritture vanno lette insieme, sulla strada, sulla ricerca dell’uomo. Filippo si fa compagno provvisorio e non «indispensabile» per la vita degli uomini.

L’eunuco sta leggendo Is 53,7-8 nella versione greca. Filippo la riferisce espressamente a Gesù ma anche alla vita dell’eunuco, che sta leggendo. Infatti, nel testo si parla di «umiliazione», di «discendenza negata», di «vita recisa». Grazie all’intervento di Filippo, l’eunuco può leggere la Scrittura non solo riferendola ai fatti storici ai quali essa si riferisce direttamente, ma può operare un’ulteriore rilettura a partire dall’esistenza di Gesù che Filippo «evangelizza» e anche a partire dalla propria esistenza. Nessun piano di lettura è eliminato o alternativo.

«La Scrittura illumina il senso della vita di ogni uomo e di ogni donna. È come se Filippo dicesse all’eunuco: “Grazie all’incontro con Gesù, questa pagina della Scrittura parla di te”». (p. 174).

A partire dal testo di Isaia, Filippo «evangelizza Gesù», rende per quel viandante Gesù una bella notizia per la sua esistenza ferita. Forse l’eunuco vedeva nel testo qualcosa di sé e della sua esperienza; riletto in riferimento alla vicenda di Gesù diviene per quell’uomo un evangelo, una bella notizia per la sua vita.

All’improvviso appare l’acqua nel deserto. Camminando insieme, Filippo e l’eunuco sono sorpresi e arricchiti del dono imprevedibile di Dio. Il cammino condiviso arricchisce entrambi. Gesù aveva detto di non impedire che i bambini andassero da lui. Qui sembra che Dio spiani la strada da ogni impedimento, «non senza aver fatto percorrere un cammino di ascolto e di conversione a questo viandante, forse un po’ “irregolare”, in compagnia di un discepolo di Gesù, che in qualche modo rappresenta la necessità che la fede sia trasmessa da vivi a vivo, in un corpo ecclesiale che custodisce e trasmette la sua memoria» (p. 175). Nel battesimo, Gesù si era immerso nel Giordano insieme ai peccatori, in solidarietà con l’umanità peccatrice. Anche i suoi discepoli sono chiamati a immergersi nella stessa acqua degli uomini e delle donne di ogni tempo.

I due uomini si sono incontrati. Ora si separano. Un intervento divino trasferisce Filippo ad Azoto tramite lo Spirito che lo rapisce come Elia. L’eunuco prosegue il suo viaggio, ma ora è pieno di gioia. Per Luca essa esprime l’appropriazione della salvezza da parte di coloro che sono stati spettatori delle opere di Dio. L’eunuco prosegue il suo cammino, e forse diventerà compagno di viaggio di altre persone per condividere la gioia dell’incontro con il Signore. Una missione che continua.

Da parte sua, Filippo si presenta come precursore degli apostoli nell’evangelizzazione della Samaria, specialmente del primo degli apostoli – Pietro –, che sarà chiamato a far incontrare il centurione Cornelio con Cristo salvatore di tutti gli uomini.

L’incontro tra Filippo e l’eunuco etiope sembra descritto in parallelismo con il racconto dei discepoli di Emmaus. L’opera di Gesù è portata avanti dai suoi discepoli.

L’uomo Cristo Gesù «passò facendo del bene» e incontrando e risollevando emarginati ed esclusi, uomini e donne dall’appartenenza complicata. Dopo la sua risurrezione si fa compagno di viaggio di due discepoli paurosi e delusi. A questi uomini, in cammino verso casa, come l’eunuco, Gesù annuncia a partire dalle Scritture il senso dei fatti accaduti a Gerusalemme, la sua Pasqua. «Come Gesù conduce quei due uomini alla mensa della frazione del pane dove i loro occhi si aprono per poterlo riconoscere, così Filippo scende con l’eunuco nelle acque del battesimo» (p. 177).

I due testi lucani sono un invito a considerare la vita della Chiesa e la vita dei credenti come un prolungamento della missione di Gesù nel mondo. «Un invito che in ogni eucaristia è nuovamente rivolto ai credenti, per poter convertire il loro sguardo su sé

 stessi e sugli uomini e le donne dei quali sono chiamati a diventare compagni di viaggio per un tratto del loro cammino nell’ascolto della Parola di Dio, perché la gioia sia piena» (ivi).

La bibliografia è riportata alle pp. 179-181.

Il volume del monaco camaldolese è molto ricco di spunti biblici, teologici e antropologici. Il suo dettato semplice ma profondo tradisce una profonda frequentazione orante della parola di Dio e una forte passione per la missione della Chiesa a favore della salvezza e della gioia degli uomini e delle donne del nostro tempo. Le sue riflessioni sui brani biblici fanno riscoprire le fondamenta indispensabili perché la Chiesa sia sinodale e per questo significativa anche per il mondo di oggi.

  • MATTEO FERRARI, “Per avere la vita”. Lo stile di Gesù per una Chiesa sinodale. Un percorso nell’opera lucana. Prefazione di mons. Erio Castellucci (Orizzonti biblici Nuova Serie), Cittadella Editrice, Assisi 2022, pp. 190, € 14,90, ISBN 9788830818651.
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Un commento

  1. Pietro 29 marzo 2023

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