Natale: “Andiamo a vedere…”

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Popoli nelle tenebre

L’ascolto attento della pagina del profeta proclamata nella notte del Natale del Signore nostro Gesù Cristo dona una grande pace interiore. Davvero sentiamo che la parola di Dio legge le nostre situazioni, le corrobora di speranza e di fede che si poggia sulle grandi opere che il Signore Dio nostro Padre ha fatto e farà per noi.

Siamo tutti un “popolo che camminava nella tenebre”. Viviamo nelle tenebre e nel disorientamento, nella paura e in un sottile senso di incertezza generale dovuta alla violenza imperante, alla mancanza di guide sagge nella vita sociale e politica dei popoli, all’estrema povertà di interi continenti che non riusciamo a vincere, destinando loro anche solo una percentuale minima delle spese militari.

È una terra di morte quella attraversata dai profughi che fuggono ogni giorno dal terrore, dalla morte, dalla fame, dalla mancanza di libertà religiosa e politica. Uomini (ancora tali?) e organizzazioni speculano in modo spietato sulla pelle di disperati alla ricerca della vita, di un’esistenza dignitosa fatta di casa, famiglia, lavoro, libertà. Gli scarponi dei militari rimbombano ancor oggi e proprio nella terra che ha visto la nascita del Salvatore. Volano i sassi, rispondono le pallottole.

Un giogo immenso pesa sulle spalle di popoli interi, togliendo loro speranza di una pace duratura fondata sulla giustizia nei confronti dei diritti dei singoli e dei popoli. Coscienze di uomini e donne sono velate dall’egoismo e dal narcisismo trasmessi subliminalmente ogni giorno dai mass media e dai comportamenti di massa della vita sociale in generale.

La libertà, lasciata a briglia sciolta, porta su sentieri dagli esiti sbocchi ambigui e disumani. Talvolta manca davvero poco a che i prodotti dei piccoli stregoni sfuggano di mano, portando all’inferno di fuoco e di morte interi continenti.

Una luce rifulse bambina

La bella notizia, il “Vangelo” della comunità cristiana è ben debole cosa di fronte allo smarrimento delle genti. Ha però la forza potentemente debole di una luce che rifulge bucando le tenebre insensate. Ha la voce prepotente e acuta di un neonato che nasce su una barca di miseri profughi in mare. Quel grido raccoglie le lacrime dei compagni di sventura, riaccende la speranza: ci può essere, ci deve essere un futuro per quel grido, per quel pugnetto di carne agitata che invoca accoglienza.

È la luce debole di un bimbo che riflette l’immagine del bimbo sognato da Isaia, l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Dio è sempre vicino a un bambino che nasce, è sempre accanto a una madre che partorisce la speranza.

Se ogni bimbo che nasce è segno che Dio non si è stancato del mondo, questo vale anche per il nostro tempo di smarrimento e di ricerca di una strada sicura, di una guida affidabile, di una mano che non si ritira ingannevole, di un viso che si china per un bacio.

Un bimbo è nato per noi

La luce bambina prolunga la vita. Ci è stato dato un figlio, una continuità di speranza, l’ostinazione del bene che vince il male. Dopo la scrematura da trentaduemila uomini a trecento, YHWH sconfisse i madianiti con l’intelligenza, il coraggio e la spada di Gedeone (cf. Gdc 7,15-25). «Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,27-29).

Nel Messia che verrà, Isaia intravede una salvezza fatta bambino, una gioia moltiplicata, una letizia aumentata (cf. v. 2). Una gioia fatta persona, una gioia umana e, per questo, divina. Una gioia intima, radicata nella promessa fatta a Davide (cf. 2Sam 7) ma affidata a un cucciolo d’uomo, presenza sacramentale del Dio amante della vita.

Potere di pace eterna

Il Messia intravisto da Isaia sarà un uomo dal potere regale di salvezza, un potere amico della pace, una pace che durerà per sempre. Un Messia assistito da YHWH con qualità superiori a quelle di cui sono dotati normalmente gli uomini. Eppure la sua azione si svolgerà totalmente in mezzo ai suoi fratelli in umanità. Con lui avrà il predominio il diritto di Dio – sempre favorevole agli uomini – e il buon rapporto con l’alleato YHWH, fonte di sicurezza e di pace integrale. La sua regalità non sarà quella di un “re/melek”, ma quella diversa di un “principe/śār”.

Gesù inizierà il compimento di questa profezia: «Egli infatti è la nostra pace» (Ef 2,14a). Egli la introdurrà nel mondo con la sua culla trasformata in tomba gloriosa di innalzamento, «avendo pacificato (eirēnopoiēsas) con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,20b).

La pace del Messia sarà in discontinuità totale rispetto alle regalità oppressive e sempre tendenzialmente autoaffermantesi dei potenti della terra. Gesù lo sa bene e dona uno statuto diverso alla sua comunità: «I re delle nazioni le governano (kyrieuousin), e coloro che hanno potere (hoi exousiazontes) su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così [lett.: Voi però non così]; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve» (Lc 22,25-26).

Il governo del Messia, sarà un principato di pace e di giustizia. Questo farà la “gelosia/qin’at” di YHWH (Is 9,6e), la gelosia amorosa per il suo popolo, aperto a un’elezione inclusiva di tutte le famiglie della terra (cf. Gen 12,3d; Gen 18,18b; Ger 4,2).

La luce del Primogenito

I censimenti dei potenti sono fatti in vista di avere una più ampia base di contribuenti da tassare e di carne da macello da arruolare nei propri eserciti.

Le linee storte degli uomini non spaventano però Dio nostro Padre, che scrive ben diritta dentro di esse la riga della sua “gelosia”: carne umana, carne divina, primizia dell’amore e di un’umanità nuova, accolta e generata dal fiore purissimo Maria e dal discendente “giusto” della gloriosa – seppur ora estenuata – casata di Davide. «Ci è nato un bambino, un figlio ci è stato dato da YHWH!» è la farfallina che Maria sente nelle sue viscere, e la rende felice e pensierosa, come il suo amato Giuseppe.

A Taybeh, un villaggio interamente cristiano a pochi chilometri a nord di Gerusalemme, un ex parroco molto intraprendente e dalle mille idee – sua l’idea della prima fabbrica di birra palestinese – ha ristrutturato una delle trenta casette da offrire ai visitatori e ai pellegrini. L’ha chiamata “la casa delle parabole” e mostrava con occhi lucidi e lingua velocissima la disposizione delle oggetti di casa, che ben illustravano i racconti parabolici di Gesù.

Si sta un po’ stretti nel ripostiglio-stalla degli attrezzi e degli animali, ma almeno c’è caldo e un po’ di privacy. I parenti sono stati gentili e generosi con noi: la “sala superiore/katalyma” è già tutta occupata dai familiari e da altri parenti arrivati a Betlemme per il censimento. La “mangiatoia/phatnē” va benissimo come culla per il mio bambino, siamo poveri anche noi, siamo abituati a queste cose, e nelle emergenze bisogna sapersi adattare. Che strana forma però ha questa mangiatoia, sembra quasi quella di una tomba… Ma che pensieri mi vengono stanotte! Ora è tempo di gioia, è nato il mio bambino, il mio primogenito! L’ho atteso per nove mesi con canti e carezze, aspettavo proprio stanotte per dargli il primo bacio. Ha la carne così tenera, sembra un agnellino. Il vocio dei parenti lo cullerà insieme alla mia ninna nanna. La vita del suo popolo gli entrerà subito nelle vene, fin da piccolo. Il Signore Dio poi farà di lui quello che vorrà!

La grande gioia dei poveri

La nascita di un bimbo cambia la monotonia delle nottate dei pastori. È durissimo questo mestiere, sempre all’aria aperta, anche col freddo, disprezzati e respinti dalla propria gente come ladri e devastatori di terreni, gente impura che non prega mai e men che meno va in sinagoga il giorno di sabato. Ma stanotte c’è una luce strana; della gente ci ha portato il “messaggio/euaggelion” di un bimbo che è nato a una coppia appena arrivata dalla Galilea, dopo un viaggio di quasi duecento chilometri. Povera gente! Chi ce lo ha detto era un po’ agitato, quasi stralunato. Col groppo in gola ha parlato – almeno così ci sembra – di un re, di un salvatore, del Messia addirittura. Andiamo a vedere e a portare qualcosa che può servire a quella famiglia: latte, formaggio, un mantello nuovo… L’ospitalità è sacra e, anche se siamo pastori, non siamo dei demoni. Questa cosa ci eccita molto, era da tanto tempo che non vedevamo un bimbo piccolo piccolo. Sarà una manna per questa gente, porterà in casa la forza robusta di un uomo, il guadagno, un po’ di benessere…

Salvatore, Cristo, Signore

Chissà perché un bimbo povero ci commuove più di un piccolo principe? Eppure quella gente ci ha fatto anche un altro annuncio: la gente in giro, specialmente altri che hanno fatto la strada con loro, dicono cose strane su questo bimbo: dicono che è un eletto di YHWH, che abbia una grande missione davanti a sé, che sarà il Messia mandato da Dio. Questa dovrebbe essere la volta buona. Speriamo bene, le cose potrebbero cambiare anche per noi disgraziati. Abbiamo sempre sentito fin da piccoli che il Messia ha un occhio di riguardo per i poveri e i peccatori come noi. È l’“Unto” di YHWH, un Salvatore, un Signore sulla terra! È uno che prenderà in mano anche la nostra vita un po’ bislacca, darà una mano anche noi, migliorerà anche la nostra vita.

Andiamo a vedere… Non ci sarà niente di speciale, ma la nascita di un bimbo, un Natale, è sempre qualcosa che tocca anche noi un po’ grezzi e fatti male.

Andiamo a vedere. Non so voi, gente, ma si sente un’aria di pace “strana” stanotte.

C’è una luna che sembra tre angeli con le ali che si toccano.

Andiamo a vedere e a dare una mano.

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