La risurrezione: un paradosso

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Antonio Landi, docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Università Urbaniana, pubblica i cinque interventi tenuti nell’ambito delle conferenze organizzate dall’arcidiocesi di Amalfi-Cava de’ Tirreni nel febbraio-marzo 2018. Egli pensa che, se il Cristo che soffre e muore, è sentito più vicino dalla gente, Gesù risorto appare lontano dall’universo mentale dei più e l’evento della risurrezione è paradossale in quanto sfida anche oggi l’indifferenza delle persone.

La vita eterna nell’Antico Testamento

E. Noffke, valdese e docente alla Facoltà Valdese di Teologia di Roma, offre una disamina molto interessante sul tema della vita eterna nell’AT e nella letteratura mediogiudaica.

Paradosso risurrezioneNell’AT l’immortalità era prerogativa di Dio e per i defunti si prospettava solo la dimora nello Sheol. A poco a poco nacque però il dibattito se, a partire dalla concezione del “Resto” e della figura nobile dei martiri maccabei, ci fosse una possibilità di vita ulteriore a quella terrena. Con Dn 12 e 2Mac 7 si giunge all’esplicita asserzione di una vita ultraterrena.

A parte la posizione dei sadducei, contrari alla risurrezione, anche nel campo del mediogiudaismo (IV sec a.C. – II sec. d.C.) si inaugura una discussione che si apre sempre più a prospettare l’esistenza di una dimora dove si riposa in attesa del giudizio (e quindi dove il corpo non viene dissolto dalla morte). Il libro mediogiudaico di 1Enoch – Noffke non usa mai i termini “apocrifi AT”, o “testi intertestamentari” o “paratestamentari” – in alcune parti della sua stratificazione attesta l’esistenza di dimore separate per i giusti e gli ingiusti, e un luogo di «grande tormento» in cui le anime degli ingiusti vengono punite (forte somiglianza terminologica con Lc 16,19.31, la parabola di Lazzaro e l’epulone).

A Qumran si era certi di partecipare già alla vita eterna per il fatto stesso di vivere in comunità nella purità e grazie alle varie celebrazioni liturgiche quotidiane. Nel giudaismo ellenistico prevale la concezione dell’immortalità dell’anima (Filone D’Alessandria, Pseudo Focilide, 4Maccabei). Se, nell’Apocalisse di Sofonia, sono descritte le pene riservate alle anime degli empi, senza la prospettiva di una futura risurrezione, ma per le quali c’è uno spazio per il pentimento e per l’intercessione altrui, in 4Esdra ciò viene escluso recisamente e tutto termina con la conclusione della vita umana.

2Mac 12,39-45 mostra invece la possibilità della preghiera di suffragio e di intercessione per i morti bisognosi di purificazione dei propri peccati: «Giuda [Maccabeo] fece offrire un sacrificio per il perdono dei peccati. Il suo fu un gesto bello e nobile, suggerito dalla fiducia nella risurrezione. Infatti, se Giuda non avesse sperato che quei soldati caduti sarebbero risorti, non avrebbe avuto nessun senso pregare per i morti» (2Mac 12,43b-44). Assieme alle riflessioni di Siracide, si giunse in tal modo alla maturazione di un dibattito culturale-religioso in cui si trovò ad agire Gesù di Nazareth.

Il Risorto

Marcheselli-Casale riflette sull’andirivieni post- e pre-pasquale sulle orme del Risorto, a partire dalla testimonianza di Mt 28,1-20. Dopo il resoconto sul sepolcro vuoto e l’inserimento del Sondergut matteano dell’episodio delle guardie, l’autore analizza – talvolta con una terminologia non semplice da seguire – l’episodio del Risorto che incontra gli Undici in Galilea e affida loro il grande mandato. L’esperienza dell’evento pasquale nell’incontro rimanda all’indietro ai detti e ai fatti compiuti dal Gesù terreno, che devono essere oggetto del “far discepole” tutti le genti, insieme al conferimento del battesimo con formula trinitaria sorta abbastanza presto (secondo l’autore).

I testi che raccontano la risurrezione di Gesù in Lc-At sono studiati da A. Landi. Egli rinviene in essi un processo che parte dal riconoscimento per terminare nella testimonianza (incontro con le donne, con gli Undici, con i discepoli di Emmaus, ascensione e missione agli Undici in At 1,1-11).

L’indizio insufficiente della tomba vuota porta a riflettere sul fatto che solo nella memoria viva delle parole di Gesù si può giungere alla comprensione degli eventi, e non solo della loro pura fatticità. Le parole di Gesù e le Scritture rivelano la coerenza dell’itinerario di Gesù che dalla croce sfocia nella risurrezione. Il Risorto viene riconosciuto, infine, nella commensalità: viene riconosciuto dai due di Emmaus allo spezzare il pane e mangia di fronte agli Undici.

Gli Atti presentano l’itinerario dei discepoli che dal riconoscimento del Risorto divengono testimoni «di queste cose» (Lc 24,48, cioè dei detti e dei fatti del Gesù terreno) e ancor più «di me testimoni» (At 1,8). La risurrezione di Gesù è opera principalmente del Padre, un evento accaduto secondo le Scritture, per l’annuncio del vangelo a tutte le nazioni. Davanti al Risorto e al vangelo le reazioni sono quelle dell’accoglienza o del rifiuto. La Parola comunque non è incatenata, neppure quella di Paolo in custodia militaris a Roma.

Nella sua lectio cursiva di Gv 20–21, M. Marcheselli presenta dapprima la terminologia giovannea per l’esperienza pasquale: vedere, venire, Gesù, Signore. Al Discepolo Amato non è concesso alcun incontro pasquale con il Risorto (20,3-10), mentre ciò avviene per un singolo come Maria Maddalena (20,1-2.11-18), per il gruppo senza Tommaso (21,19-23) e per Tommaso (20,24-31).

Nel c. 21 è descritta la manifestazione di Gesù al gruppo dei discepoli sulla riva del mare di Tiberiade (21,1-14), dopo la quale viene rivelata la volontà del Risorto su Pietro e sul Discepolo Amato (21,14-25). Gv 21 non è un epilogo aggiunto al c. 20 (con la prima conclusione), ma una rilettura dell’intero Vangelo di Giovanni (con Zumstein). Per “rilettura” si intende «un procedimento di attualizzazione imposto dalle nuove circostanze in cui versano i destinatari (la comunità giovannea), le quali esigono un riposizionamento degli accenti rispetto alla tradizione teologica della comunità» (p. 110).

Giovanni aveva ancora bisogno di narrare della risurrezione, perché essa è un evento imprescindibile dell’avventura cristiana e dell’annuncio evangelico. «Il punto di partenza ermeneutico del ricordo post-pasquale presuppone sempre, all’inizio, la croce e la risurrezione» (p. 112). Anche se il racconto della risurrezione non ha nel Quarto Vangelo il ruolo che ha nei Sinottici, esso ha un ruolo cruciale come «esplorazione in chiave di teologia narrativa dell’esperienza pasquale dei primi discepoli» (ivi).

Secondo Marcheselli, in «Gv la risurrezione corporea di Gesù è presentata in termini di escatologia “sapienziale”: l’esaltazione del giusto. Però, non è semplicemente “immortalità dell’anima”… è vita nel senso ebraico: è un dono di Dio, che solo la possiede per natura e che dona liberamente a coloro che sono fedeli al patto. Una vita, anche dopo la morte, a cui il corpo non partecipa in qualche modo sarebbe stata inconcepibile per l’immaginazione ebraica. L’escatologia sapienziale che vediamo attestata in Gv, se non dice niente di esplicito sulla risurrezione corporea – prosegue Marcheselli –, è fondamentalmente in grado di integrarla e, in una certa misura, la richiede»…

La risurrezione di Gesù si riverbera in Gv già sul Gesù terreno, sugli eventi della vita pubblica e sulla sua passione e morte. Lo Spirito collegato al Risorto permette la comprensione degli eventi. «Il Gesù di Giovanni è simbolico del Risorto. Il Gesù terreno prende la luce dal Risorto: egli “è già e non ancora” il Risorto» (pp. 112-113).

Paolo e le apparizioni del Risorto

R. Penna esamina infine il tema di Paolo e le apparizioni pasquali del Risorto, fondamento della fede pasquale. I documenti più antichi sulla risurrezione di Gesù (in particolare 1Cor 15,1-5) sono affidabili in quanto espressione della testimonianza apostolica su cui si basa la fede attuale della Chiesa, unitamente all’incontro personale di fede e di amore di ciascuno con il Risorto. La fede pasquale è connessa all’apostolato: può essere compresa solo alla luce della fede nelle cose dette e fatte da Gesù nella sua vita pubblica. Gesù risorto è apparso solo ai discepoli, non a Pilato, a Caifa e ad altri. La fede nel Risorto è connessa strettamente a Gesù crocifisso.

Nella seconda parte del contributo, Penna si sofferma sul tema della fede e della conversione nel pensiero di Paolo. Paolo vede il suo incontro di Damasco come visione della gloria (cf. Ez 1), chiamata profetica, conversione in senso largo come “rimescolamento delle carte”. Paolo non usa la terminologia della conversione-metanoia; è reticente a farlo perché esprimerebbe un pentimento per un’infrazione della Legge e rivelerebbe uno sguardo rivolto all’indietro. Una terminologia non più proponibile dopo la Pasqua. Paolo impiega la terminologia della “fede/credere” come affidamento totale alla solidità rappresentata dalla persona di Gesù. Fede e “conversione” sono strettamente collegate. Quella che era la conversione ebraica (teshuvah) egli la esprime con la termologia della “fede”.

Questo dipende anche dal diverso concetto di peccato presente in Paolo e nel giudaismo. Per l’Apostolo, il peccato non è un’infrazione della Legge emendabile con la conversione e un sacrifico. La conversione nel giudaismo combacia di fatto con un’“opera”. Prolungando la linea del pensiero enochico, per Paolo il peccato è una potenza sovrumana massiccia che schiavizza l’uomo. Egli può esserne liberato non grazie ad opere umane liturgiche ma col dono della giustificazione da parte del Figlio di Dio morto e risorto, che ha amato e ha dato se stesso per ciascuno che si affida a lui nella fede.

Con il caso di Paolo, secondo Penna, «siamo di fronte tutt’altro che a un aborto, poiché egli rappresenta la nascita di un testimone quanto mai luminoso in sé e incoraggiante per noi nel Cristo crocifisso-risorto» (p. 142).

Tralasciando la segnalazione di errori minori nella traslitterazione dei termini greci, ricordiamo solo a p. 9 nota 3: alla r 2 leggi mwt tmwt; alla r 4 leggi mwt ymwt.

Una ricca bibliografia degli autori moderni, che penso sia stata curata dal prof. Landi, chiude il volume (pp.143-152) molto ricco e interessante sul tema non facile della risurrezione e del suo impatto cruciale per la fede cristiana.

ANTONIO LANDI (a cura), Il paradosso della risurrezione. Alle origini della fede cristiana (Studi biblici 92), EDB, Bologna 2019, pp. 160, € 19,00, ISBN 978-88-10-41043.

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