Teologia biblica: come e perché

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Nel presente saggio teologico, lo studioso francese Benoît Bourgine (1962-) che, dal 2003, insegna teologia all’Università cattolica di Lovanio (Belgio) – dove è direttore di ricerca in teologia fondamentale – si è dato il compito di identificare il significato e la funzione, le poste in gioco e le forme della teologia biblica. Egli la intende come campo teologico in cui devono poter convergere, in un dialogo fecondo e costruttivo, gli esegeti e i teologi dogmatici, superando così una divaricazione che è durata per molto tempo nel passato.

Bourgine ha cercato di dimostrare la necessità della teologia biblica a partire dal fatto che essa risulta dalla natura della Bibbia, che l’esegesi si propone di spiegare, e dall’intelligenza della fede, che la dogmatica si sforza di portare al linguaggio.

Nel suo studio l’autore ha delineato le condizioni di possibilità della teologia biblica, mettendo in luce i presupposti di ordine filosofico, esegetico e dogmatico che ne determinano la messa in opera, e delineando uno schema del suo approccio interpretativo che ne sottolinea l’unità.

Bourgine afferma che il suo saggio può essere letto come una critica della teologia biblica. Cercheremo di rendere conto del suo testo citandolo spesso in modo letterale, anche senza indicarlo espressamente.

L’autore ha suddiviso l’opera in due parti. La prima parte ha per titolo “Origine, Problemi, Modelli” (pp. 21-148), la seconda “Correlazione tra natura della Bibbia e regola della sua interpretazione” (pp. 149-224).

Origine, problemi e modelli della teologia biblica

La prima tappa, storica e problematica, descrive le origini della teologia biblica, espone i suoi problemi, presenta dei modelli e, sottolineando la storicità dell’approccio, dispone il pensiero a guardare al futuro.

Le origini

Per quanto riguarda l’origine della teologia biblica, l’autore ricorda le tre figure di Gotthelf (o Gotthilf): Traugott Zachariae (1729-1777), Johann Philipp Gabler (1753-1826) e George Lorenz Bauer (1755-1806).

Gabler è stato il primo a distinguere formalmente teologia biblica, teologia dogmatica e storia della religione biblica in un discorso pronunciato ad Altdorf il 30 marzo 1787. Secondo Gabler, la teologia biblica è di carattere essenzialmente storico, mentre la teologia dogmatica ha una portata didattica. La teologia biblica «vera» esamina la dimensione storica delle affermazioni bibliche, mentre quella «pura» riflette filosoficamente sulle idee fondamentali che veicola, in posizione intermedia tra esegesi e dogmatica.

George Lorenz Bauer (1755-1806) scrive una teologia biblica dell’AT prima di proporne una del NT in quattro volumi. La teologia del NT deve rinunciare a proiettare la luce sull’AT, che deve essere oggetto di uno studio autonomo senza interferenze di una comprensione cristiana successiva.

I problemi

I problemi della teologia biblica riguardano: la questione dell’unità teologica della Bibbia, al di là della disparità irriducibile dei libri biblici; l’unità interdisciplinare della teologia che fa appello al contributo specifico di ogni disciplina teologica nell’ambito di una conversazione interdisciplinare; la dinamica della teologia biblica è in parte collegata con la relazione dialettica tra teologia e storia; la questione della verità posta all’interno di una tradizione interpretativa inscrive la problematica ermeneutica nel cuore della teologia biblica. Si tratta dei presupposti e delle poste in gioco della teologia biblica.

Unità teologica della Bibbia

Circa la questione dell’unità teologica della Bibbia, l’autore si interroga di quale teologia si tratti e di quale unità si parli.

Circa la questione della teologia, l’autore afferma che la Bibbia è «teologica» nel senso di un coinvolgimento di Dio nel discorso, non nel senso delle esigenze della disciplina accademica della teologia.

Il linguaggio biblico è diverso dalla riflessione sistematica e speculativa che prenderà il nome di teologia nella tradizione cristiana. La Bibbia ha a che fare con il linguaggio primario della confessione di fede, che rimanda alla trascendenza di una realtà religiosa sperimentata da testimoni. Il discorso poetico dei libri bilici ha una funzione di rivelazione in quanto essi divulgano una conoscenza di natura teologica.

La Bibbia – come mondo del testo – deve essere articolata con la sua natura testimoniale. La scrittura dei libri biblici corrisponde alla deposizione di testimoni che riferiscono ciò che hanno visto e udito, facendosi garanti della verità di ciò che attestano. Evento e senso sono indissolubilmente intrecciati. Questa testimonianza verte infatti su eventi fondatori, in stretto rapporto con la confessione religiosa che essi istituiscono.

Sul piano soggettivo, Gadamer ha messo in luce le contraddizioni di una coscienza che pretenderebbe di costituirsi da sé stessa e tutto costituire a partire da essa. Non si può squalificare la verità del discorso biblico per la sua natura testimoniale, che è particolarmente adatta all’espressione di una verità che riguarda le questioni di destino. Il testimone si è appropriato della verità di cui testimonia e la propone agli altri. Le testimonianze bibliche si presentano come altrettanti segni che l’assoluto dà di sé stesso all’interno di una storia contingente e che si offrono al riconoscimento di una coscienza in cammino verso la verità.

Sul piano oggettivo, il campo dei significati ultimi come il modo di significazione dell’incondizionato richiede le risorse dell’immaginazione. Così la Bibbia, per spiegare il suo discorso poetico, prende in prestito dalla potenza evocativa del mito, della metafora, del simbolo; passa attraverso il proverbio, la legge, la cronaca, l’oracolo, l’inno, l’epistola, il salmo, l’omelia o il racconto di finzione per significare l’esperienza di fede. Gli scritti biblici sono in sé stessi teologia.

La Bibbia non si identifica tale e quale con la parola di Dio, ma ne è l’attestazione originale, e la Parola è da ricercare in essa. La Bibbia è una risposta a questa Parola. I profeti e gli apostoli vi riferiscono nelle loro parole come la Parola li ha visitati.

Al giudizio della tradizione ecclesiale che la trasmette, la Bibbia non è un’enunciazione qualunque della Parola, ma ne è l’espressione normativa in quanto costituisce la testimonianza di prima mano, munita del sigillo apostolico. La Bibbia – continua l’autore – condivide tuttavia con la teologia successiva, che la considera come la sua norma, un obiettivo identico, quello di portare al linguaggio l’opera di Dio e di essere così teo-logia, in modo che i teologi possano a buon diritto ritenere gli apostoli e i profeti come i primi teologi.

Circa la questione dell’unità teologica, Bourgine affronta i temi del rapporto tra i Testamenti, il principio di unità tematica, i due temi dell’unità dell’AT e quella del NT.

Circa il rapporto AT-NT c’è chi parte dal Nuovo per andare all’Antico sottolineando l’identità tra il Dio di Gesù Cristo e il Dio di Israele. Il NT chiama l’AT «la Scrittura» o «le (sante) Scritture». Ci sono il fenomeno dell’intertestualità e i rimandi continui. C’è una continuità storica, anche se la storia della salvezza non sembra giocare facilmente il ruolo di principio di unità dei Testamenti. L’interpretazione esistenziale sottolinea le strutture antropologiche comuni. Chi va dall’AT al NT vede il rapporto all’insegna della promessa e del suo compimento. C’è chi collega AT e NT tramite la storia della tradizione.

La questione di un principio di unità tematica, di un “centro” della Scrittura, ha visto varie proposte: il tema del Nome divino, il pensiero dell’alleanza, la signoria divina, la risurrezione, la riconciliazione, la vita, l’unicità di Dio e la sua fedeltà. I due Testamenti hanno carattere complementare. C’è chi propone dei criteri che segnalino la verità pratica di una lettura biblica.

Dove conduce la Bibbia? Luz sottolinea il criterio dell’amore, Link quello della libertà pratica, che si decide per Dio nelle circostanze concrete dell’esistenza, come prova della verità della Bibbia.

Circa l’AT, per alcuni non ha un centro, per Auerbach esso evolve internamente in funzione di una rappresentazione della realtà che ne unifica lo stile. La pragmatica del linguaggio ha valorizzato la lode come cristallizzazione della teologia presente nella Bibbia.

L’unità del NT è data dall’identità del profeta degli ultimi tempi e l’effetto unificante che questa unità determina (cristologizzazione dei diversi campi del discorso teologico, cioè la loro trasformazione sotto l’influenza della fede in Gesù). Hurtado sottolinea l’identità triadica di Dio.

In conclusione, Bourgine sottolinea come, secondo la testimonianza degli apostoli, la figura di Gesù Cristo e il suo mistero pasquale collegano le due scritture come centro comune, ordinandole l’una di fronte all’altra come promessa e compimento. Nella venuta del Figlio, la scrittura apostolica dichiara la scrittura profetica compiuta e definitivamente rimosso il velo che nascondeva il suo segreto.

Unità interdisciplinare della teologia

La teologia ha un’unità interdisciplinare fra esegesi e dogmatica. L’esegesi corrisponde all’attuazione delle procedure di analisi del testo biblico, situato nel suo contesto. Il metodo storico-critico oggi è affiancato da varie forme di studio letterario. C’è il pericolo della frammentazione e dell’atomizzazione dovuta alla specializzazione.

La teologia sistematica si sviluppa secondo scuole diverse, aree linguistiche, presupposti filosofici, campi di specializzazione. La dogmatica, che cerca la riflessione per far parlare la Scrittura all’uomo di oggi, trova specializzazioni diverse a seconda che si solleciti prioritariamente la Bibbia, la tradizione dei Concili e dei padri della Chiesa o l’eredità della Riforma, il luogo della storia o quello del diritto canonico, il magistero della Chiesa cattolica, una particolare corrente filosofica ecc.

La dogmatica si orienta in direzioni divergenti, con proposte distinte, praticata nelle Università o nelle comunità cristiane…

Le discipline sono diverse, ma il campo di studio è condiviso: lo spazio aperto dalla rivelazione divina. L’esegesi e la dogmatica hanno bisogno l’una dell’altra per raggiungere i loro scopi specifici (comprensione del testo e sua attualizzazione nell’oggi).

L’unità interdisciplinare della teologia tiene presenti le questioni del rapporto tra la Scrittura e la Tradizione e quella della filosofia con la teologia. Afferma K. Rahner: «La Scrittura rappresenta l’unica fonte materiale puramente originale, non derivata, alla quale si riferisce la teologia». La teologia che riflette sulla dottrina attuale della Chiesa non può che ritornare perpetuamente alla Scrittura, dove si trova la rivelazione alla sua sorgente prima e ultima. «Se la coscienza che la Chiesa apostolica ha avuto di sé stessa è consegnata nelle Scritture, la dogmatica la riceve a partire dalla coscienza attuale che la Chiesa ha della sua fede, nella continuità di uno sviluppo secolare» (p. 62). La norma non normata della fede apostolica, attestata nella Bibbia, va confrontata dalla teologia con la dottrina attuale per spiegare, ordinare e, se necessario, far apparire le deviazioni. C’è una sola scriptura con senso cattolico, secondo Rahner, considerando l’unica Parola di Dio, che si dà nella relazione dinamica tra Scrittura e Tradizione.

Per il dogmatico riformato Barth, la Parola di Dio così come è attestata nella Scrittura è il criterio della teologia, il che impegna a un triplice atteggiamento: 1) un atteggiamento biblico con il quale la dogmatica si conforma alla sua norma; 2) un atteggiamento ecclesiale – con un attaccamento alla Chiesa in quanto realtà ecumenica – con il quale essa si inserisce nel solco dei servitori della parola di Dio che l’hanno preceduta come interpreti della Scrittura e della confessione della fede della Chiesa; 3) un atteggiamento ecclesiale, in quanto la dogmatica è chiamata a porsi nell’oggi della Chiesa, per discernere le attuali incidenze della Parola di Dio.

Circa il rapporto tra filosofia e teologia, le posizioni di Barth e di Rahner si differenziano. Per Barth e le teologie del radicamento il punto di partenza della dogmatica è la sua norma, il suo oggetto, la sua fonte. La Scrittura e l’esegesi, la storia e i classici della tradizione sono privilegiati rispetto alle correnti del pensiero contemporaneo. Occorre partire da Dio, distanziandosi dalla filosofia esistenziale. Criterio decisivo è Gesù Cristo nell’atto di rivelarsi.

Rahner e le teologie del coordinamento iniziano da un altro presupposto: comprendere è collegare una conoscenza a ciò che è già stato compreso. Il punto di partenza non è più la rivelazione, ma il suo destinatario e il suo mondo. La filosofia è la comprensione che l’uomo ha di sé stesso. La dogmatica è strettamente dipendente dalla filosofia a titolo di condizione di possibilità.

Per Bourgine occorre articolare i due punti di partenza delle due teologie, senza esclusioni. Bourgine annota che le teologie del radicamento hanno una relazione più organica con la Bibbia e l’esegesi, e che le teologie del coordinamento sono portate a rivolgersi in modo più adeguato al destinatario della rivelazione. L’esigenza di fedeltà è la priorità delle teologie del radicamento; l’esigenza di intelligibilità, quella delle teologie del coordinamento. Sia Barth che Rahner concordano nel fatto di distinguere esegesi e dogmatica, senza separarle, e nel collegarle senza confonderle.

Per Barth la dogmatica non deve prendere il posto dell’esegesi e non deve spiegare il testo biblico. Essa pone domande al testo biblico che vengono dalla Chiesa che ascolta, domande alle quali la Scrittura non può rispondere direttamente.

Rahner invita i dogmatici a prendere in considerazione il lavoro degli esegeti in modo da far fronte alle esigenze della storia e della filologia. Si rivolge anche agli esegeti ricordando loro che l’esegesi è una disciplina teologica, e non solo una scienza delle religioni: la loro ricerca non può essere conclusiva, prescindendo dalle affermazioni fondamentali della fede.

Scrive Bourgine: «L’unità interdisciplinare della teologia ha come cornice lo spazio compreso tra il testo e il suo destinatario. L’esegesi spiega il testo, mentre la dogmatica si interroga sul contenuto di ciò che conviene dire per renderne conto hic et nunc, dal sensus all’usus scripturae. Con il concorso della teologia pratica, a lei spetta di esprimere l’attualità di Gesù Cristo, nella continuità di una trasmissione. Le discipline teologiche, distinte ma non disgiunte, disegnano così un arco ermeneutico che, dalla rivelazione ai suoi destinatari, passa attraverso la spiegazione del testo biblico (esegesi), la meditazione del suo contenuto rispetto alla tradizione (dogmatica) e, infine, la sua applicazione adattata nella sua forma a tale realtà sociale ed ecclesiale (teologia pratica).

In conclusione, esegesi e dogmatica non possono essere separate se è vero che la Scrittura e la Tradizione non possono essere disgiunte. Per comprendere il testo della rivelazione, nell’oggi della vita della Chiesa, cioè per leggere la Scrittura nella Tradizione, la dogmatica integra le lezioni dell’esegesi contemporanea nella continuità della tradizione viva di riflessione che le tocca rilanciare con creatività. Impossibile raggiungere questo obiettivo senza che esegesi e dogmatica incrocino i loro risultati» (pp. 68-69).

Teologia e storia

Circa il problema del rapporto tra teologia e storia, Bourgine si sofferma sulla soluzione di una loro alternativa o di un loro collegamento, analizzando il metodo storico-critico, la posizione di chi sostiene una storia senza teologia e quella di chi persegue una teologia senza storia.

Teologia e storia vanno articolate per evitare storicismo ed estrinsecismo, quindi per motivi epistemologici, ma anche per motivi teologici. Il giusto rapporto tra fede e ragione implica per Bourgine che sia riconosciuta nell’interpretazione della Bibbia la sua dimensione di parola umana e di Parola divina. Determinare la teologia di un libro o di una tradizione presuppone una ricerca di tipo storico e letterario, al fine di determinare per quanto possibile il contesto, l’intenzione e la strategia degli autori.

Dalla genesi all’attualizzazione v’è l’ampio campo della tradizione. Attraverso di essa la Parola si fa storia, e rimane viva generazione dopo generazione. La tradizione è una forza conservatrice e preservatrice e, al tempo stesso, educatrice e iniziatrice. La tradizione possiede un principio di discernimento, attinente alla ragione della fede e all’esperienza secolare dell’azione fedele, che fa passare «dall’implicito vissuto all’esplicito conosciuto» (Blondel, cit. a p. 81). «Di fronte al fissismo del dogmatico (estrinsecismo) o dello storico (storicismo), il ruolo della tradizione ecclesiale, vale a dire quella capacità di mantenere del passato la realtà vitale, può essere messo in evidenza» (pp. 81-82). «L’esegesi non può fermarsi alla storia, e la dogmatica non può fare senza la storia. Nell’atto di tradizione, che si assume la responsabilità di mettere in relazione la Bibbia e la vita cristiana di oggi, l’esegesi e la dogmatica concorrono all’emergere di un’inedita espressione della fede, nel crogiolo dell’esperienza religiosa» (p. 82).

Teologia ed ermeneutica

Nell’affrontare il problema del rapporto tra teologia ed ermeneutica, Bourgine si sofferma a lungo sulla posizione di H.-G. Gadamer e la verità.

L’ermeneutica è una ricerca di verità, all’interno di una tradizione storica. Preoccupazione della teologia biblica è integrare la questione della verità con quella della storia.

Lo storicismo soffre di una duplice ingenuità. La prima è quella di pretendere di conoscere mettendosi fuori gioco, mentre la comprensione è un evento storico, che coinvolge il conoscitore nel suo essere. L’altra è quella dell’oggettivismo storico che cerca una congenialità con l’autore attraverso una ricostituzione del suo orizzonte storico e delle condizioni soggettive di elaborazione dell’opera.

Una trasposizione di tipo psicologico limita la portata di un’opera d’arte o di un testo da interpretare a un autore e a un contesto storico, mentre il loro significato va ben oltre ciò che l’artista ha voluto coscientemente come pubblico che aveva in testa.

Il compito ermeneutico si orienta verso l’istanza di verità portata dalla cosa. La partecipazione al significato comune fra opera e interprete non è negata dalla distanza temporale. Il senso di un testo supera l’autore e l’atto di comprensione presuppone un atteggiamento produttivo, e non solo riproduttivo. La distanza temporale è colmata dalla tradizione interpretativa. La lettura è un processo illimitato di messa in luce del significato, nel corso di una tradizione che accresce i rapporti di senso, a mano a mano che nascono nuove fonti di comprensione.

Gadamer riflette sull’importanza del linguaggio partendo dall’esperienza della conversazione e della traduzione. Differenze insormontabili richiedono compromessi auspicabili. L’ermeneutica è la possibilità del dialogo con l’altro, costruzione di un mondo comune. Lo scritto distacca ciò che è trasmesso dalla vita passata da cui proviene. È partecipando al senso presente del testo che il lettore si fa avvocato della sua verità, divenuta autonoma sia dal suo autore che dal suo destinatario iniziale mediante la fissazione per iscritto.

Circa la comprensione, Gadamer osserva che il luogo della verità non è la dimostrazione, ma la comprensione. L’evento della verità avviene come un agire della cosa stessa, nello spazio del dialogo. L’ermeneutica è essenzialmente un sapere pratico, al quale occorre associare un approccio adeguato.

Gadamer riabilita la questione della verità a partire dall’esperienza estetica. Nella comprensione di un testo, ciò che ha senso cattura alla maniera del Bello e si impone a noi in un avvenire di verità che si gioca in noi. Sono il dialogo, la poesia e l’interpretazione che permettono l’esprimersi di una totalità di senso. La comprensione è il luogo della verità, che si offre attraverso la mediazione della lingua e della storia.

Le condizioni concrete per la comprensione come disposizione umana fondamentale richiedono di rivisitare le nozioni di pregiudizio, di autorità e di tradizione.

Il pregiudizio del lettore si deve confrontare con l’alterità del testo e uscirne convalidato o meno tramite una fusione di orizzonti tra passato del testo e presente del lettore, che bandisce l’illusione di una cancellazione di sé stessi o l’idea di una verità oggettiva, accessibile senza mediazione, fuori del tempo e del linguaggio. Lo spirito riconosce l’autorità di ciò che è grande e nobile attraverso un atto di ragione e di libertà.

L’esperienza ermeneutica è, infine, un dialogo con la tradizione. La comprensione costituisce essa stessa un momento del divenire, ed è illusorio pretendere di sovrastare l’oggetto storico, ponendosi al di fuori della tradizione a cui appartiene e che fa parte di noi. «L’essenza dello spirito storico – afferma Gadamer – non consiste nella restituzione del passato ma nella mediazione riflessa con la vita presente» (cit. a p. 90). L’interpretazione è creazione nuova della comprensione, e non semplice restituzione. La tradizione sfugge alla pietrificazione attraverso la grazia dell’interpretazione, che si appropria nuovamente di ciò che la costituisce, come l’esecuzione di un’opera musicale, che suppone una ricerca. Il passato divenuto straniero richiede di essere ripetuto, nel senso di un soggiorno presso la cosa stessa, di un’abitazione, che denota l’attività di una messa al riparo e la passività di un’appartenenza. È la vita dell’opera stessa che si presenta nelle interpretazioni successive della tradizione.

La comprensione a cui mira l’ermeneutica teologica conduce all’applicazione di un’interpretazione in una proclamazione o in una pubblicazione. Nella messa per iscritto si realizza una coesistenza del passato e del presente: lo scritto è contemporaneo di ogni presente. Esso ha la virtù di emanciparsi dalle contingenze della sua enunciazione nella produzione di un senso enunciato. Il lavoro ermeneutico consiste nel portare aiuto allo scritto in una ricerca di significato, facendosi «l’avvocato della sua pretesa di verità» (cit. a p. 92).

Con Gadamer l’attenzione all’efficienza della storia (Wirkungsgeschichte) ha fatto sviluppare molte opere. La storicità della Bibbia è l’acquisizione fondante dell’esegesi moderna, ma si è dovuto attendere Gadamer perché la storicità della comprensione diventasse bene comune delle scienze umane. L’ermeneutica di Gadamer permette di caratterizzare la funzione mediatrice della teologia biblica tra esegesi e dogmatica. La dinamica della comprensione integra le diverse fasi dell’interpretazione scritturistica, in un approccio ermeneutico che interseca la prospettiva esegetica dell’indagine storica e dell’analisi filologica, e la prospettiva teologica incentrata sulla questione del significato e della verità. Si instaura un dialogo e un confronto. «La problematica storica e filologica non può costituire un fine in sé che si potrebbe opporre alla volontà di cercare la portata di un evento e il senso di un testo. Né la questione della verità può esimersi dall’acribia storica e dall’esame letterario. La logica dell’esperienza ermeneutica esige che la ricerca storico-critica, che si svolge all’interno di un dialogo con la tradizione interpretativa, sia messo al servizio della verità a cui dà luogo la comprensione» (p. 93).

Bourgine accenna al contributo di Paul Ricoeur circa la Bibbia a riguardo soprattutto dell’ermeneutica della testimonianza, della natura kerygmatica del racconto e dell’identità narrativa.

Nei testi biblici la testimonianza riveste una dimensione di manifestazione: Dio si mostra. Dio parla. La testimonianza è la mediazione dell’assoluto immediatamente presente, una mediazione al di là della quale nessuno può risalire. La dimensione della testimonianza è spinta all’estremo con il tema di Gesù Cristo e dello Spirito Paraclito: l’assoluto testimonia la verità sulla scena della storia e nell’intimo della coscienza. Mai comunque nella Bibbia il senso è presente senza l’evento, né la confessione senza la narrazione. Il racconto è il genere biblico per eccellenza: la necessità teologica del disegno divino si associa all’incertezza umana: la disposizione dei fatti nella trama è indissociabile da un kerygma. Il racconto biblico collega strettamente funzione teologica e struttura narrativa. Il kerygma inerente al racconto biblico è, per Ricoeur, l’unico principio dell’unità della massa eterogena di documenti.

Nel ricevere i testi che ha prodotto, l’Israele biblico si dà un’identità. La nozione di identità narrativa è applicata da Ricoeur a un individuo o a una comunità. Dire chi si è, equivale a raccontare la propria vita, incessantemente rifigurata dalle storie di cui il soggetto o una comunità si appropria. Esegesi e dogmatica sono in stretto rapporto: «La congiunzione tra esegesi e teologia, prima di essere opera dell’interpretazione applicata al testo, funziona già dentro il testo, nella misura in cui questo è un racconto a funzione interpretativa» (cit. a pp. 96-97).

La teologia non può essere esclusa dall’interpretazione di un testo che ne è penetrato: tra la realtà profonda della Bibbia e la misura della sua interpretazione, la concordanza è di rigore. Sono i termini di una correlazione che Bourgine suggerirà nella seconda parte del suo saggio.

Modelli di teologia biblica

La conclusione della prima parte del volume vede l’esposizione di alcuni modelli di teologia biblica. Per quanto riguarda l’esegesi e la teologia biblica, sono presentati H. Gese, B.S. Childs e J.D.G. Dunn, N. Lohfink e R.W.L. Moberly; per il rapporto fra dogmatica e teologia biblica è illustrata la posizione di K. Barth.

Correlazione tra natura della Bibbia e regola della sua interpretazione

La seconda parte del saggio di Bourgine tratta della correlazione tra la natura della Bibbia e la regola della sua interpretazione. La posizione dell’autore è quella di una stretta correlazione tra la natura teologica della Bibbia e la sua interpretazione e il lavoro della dogmatica che ne attualizza il senso per l’uomo d’oggi. Tra esegesi e dogmatica deve esserci una stretta collaborazione.

La natura della Bibbia

Il primo capitolo della seconda parte è dedicato alla natura della Bibbia. L’autore parla del canone e poi di come Dio viene al linguaggio biblico. A questo proposito si parla della pragmatica e della semantica. Si affronta, infine, il tema della genesi della scrittura.

Pragmatica

A livello di pragmatica, vengono trattati i temi dell’autorità della Parola, la trama e i discorsi della Parola, la contestualizzazione della testimonianza e gli effetti della Parola.

Alla forza dell’enunciazione posseduta dalla Parola corrisponde il suo effetto sull’ascoltatore. Il racconto biblico intreccia la risonanza del Deus dixit nella storia e nella carne del popolo che interpella. La Parola non ha altro fine che la ricezione storica che ne realizza l’intenzione: far vivere in pienezza coloro che l’accolgono. La Bibbia ha meno per soggetto la Parola di Dio che l’innesto di questa Parola nelle storie personali e collettive che essa sconvolge.

La Bibbia non nasconde le resistenze e i rifiuti che la Parola subisce; non manca di riportarne l’invincibile potenza di vita in coloro che la accolgono. Questo viene dimostrato dall’unità narrativa del Pentateuco determinata dall’obbedienza del popolo e dall’efficacia dell’annuncio negli Atti degli Apostoli.

Il corpus paolino segnala, a sua volta, l’irruzione dell’alleanza nuova attraverso il ministero, non della lettera, ma dello Spirito esercitato dall’apostolo: la comunità destinataria dell’annuncio diventa essa stessa lettera che solo il Dio vivente ha potuto scrivere, compiendo la profezia della nuova alleanza.

La pragmatica ha messo in evidenza i procedimenti con i quali gli scrittori biblici conferiscono alla loro opera il sigillo dell’autorità divina, «rispettivamente l’intreccio drammatico del discorso diretto di Dio o del suo mediatore, la solennità della testimonianza originaria e comunitaria, l’effettiva attuazione della Parola divina da parte dei suoi destinatari che ne manifestano la fecondità […]. Dagli indizi individuati nella sua lettera, la testimonianza biblica è di Dio, perché essa è autorizzata, autentica ed efficace. Viene da lui attraverso un’enunciazione nello stile diretto, in un presente contemporaneo del suo destinatario; è trasmessa da testimoni degni di fede, parti interessate dell’annuncio; opera con potenza nella storia e nel cuore di quanti l’accolgono» (p. 167).

La semantica

Per quanto riguarda la semantica, citiamo un brano sintetico di Bourgine. «L’esame del rapporto dei termini e delle proposizioni della Bibbia con il loro significato fa apparire una vita del senso tesa verso l’ultimo, tra l’uno e il tutto, l’inizio e la fine, il tempo e l’eternità, il singolare e l’universale. Con quali tratti il testo biblico denota la consistenza teologica di un movimento di significato incentrato sulla conoscenza del Dio che si rivela? Il testo biblico privilegia la trama di rivelazione sulla trama di situazione. I generi letterari rappresentano una duplicazione che un esegeta ha potuto discernere sotto il nome di deuterosi. Nel Nuovo Testamento aumenta la tensione tra l’alfa della protologia e l’omega dell’escatologia. La drammatica lotta di Dio contro il peccato, il male e la morte, Satana e il suo regno delle tenebre si inasprisce fino alla vittoria finale del Dio vivente, per la morte umana del suo Figlio sulla croce. È per mezzo di una cristologizzazione del campo teologico e del dramma della salvezza che la scrittura biblica presenta l’ordine di realtà di cui essa testimonia nella sua fase decisiva e finale» (p. 167).

Genesi della scrittura

Al riguardo della genesi della scrittura, Bourgine sottolinea come la scrittura della Bibbia, dell’AT in particolare, ha dato luogo a genesi redazionali successive.

Von Rad è stato il primo a conferire a questo fenomeno un significato teologico dando alle varie recisioni dell’AT la portata di una continua attualizzazione della sua tradizione.

Nella scrittura biblica è presente una dinamica di innovazione che si estende a tutti i generi letterari. Alcuni hanno identificato l’ermeneutica dell’innovazione in un processo di «teologizzazione»: un lavoro sul significato dell’opera di Dio nella storia è realizzato, e si riflette sull’identità di Dio e sullo statuto del popolo dell’alleanza. Questo si avvicina a un’attività specificamente teologica.

Innovazione e teologizzazione sono due momenti intimamente collegati e Bourgine riporta esempi dimostrativi tratti dal Deuteronomio e dal DeuteroIsaia, per poi allargarsi a tutto l’AT. Il rapporto del popolo con Dio, ad esempio, è esemplificato nel Deuteronomio in un nuovo schema teorico, l’idea del contratto importata dall’impero assiro. La reazione all’esilio nel DtIs è così riassunta da un autore: 1) Dio ha scelto Israele; 2) Egli è il creatore e l’arbitro del mondo; 3) Egli conosce il futuro di salvezza del suo popolo, ed esce vincitore dallo scontro con gli dèi degli altri popoli. Viene così elaborata una riflessione che associa la creazione, l’elezione e il tempo all’unicità divina e al destino del popolo.

Anche nella formazione del canone è all’opera il processo di teologizzazione. Verso il IV secolo a.C. la Torah è costituita come un insieme dotato di una certa normatività e la profezia (la doppia collezione Giosuè-2Re e Isaia-Malachia), è reinterpretata come un suo commento. La Legge diventa la misura dell’azione del popolo e del re. L’editore dei Profeti ha posto alle due estremità (in Gs 1,7-13 e Ml 3,22) un’inclusione, in cui figura l’ingiunzione di seguire la Legge di Mosè, il servo di Dio. L’insieme dei Profeti è subordinato alla Torah. Gli Scritti sono poi posti in posizione di commento della Torah e dei profeti.

Rimandando l’israelita alla situazione di Giosuè alla soglia della terra promessa (Gs 1,8) il Sal 1 ricorda che la responsabilità dell’osservanza della Legge è individuale. La teologia della storia dispiegata dai Profeti è trasferita al livello dell’esistenza individuale del fedele. Gli Scritti indicano così il modo in cui il giusto deve comportarsi per avere la vita nel quotidiano, anche nelle situazioni estreme (Giobbe).

La storia della redazione è una via privilegiata per cogliere la scrittura biblica, Antico o Nuovo Testamento, come un’attività teologica di pieno diritto, che consiste nel rivedere, collegare e interpretare in un senso attuale le tradizioni documentaristiche. La Bibbia è intessuta di interpretazioni successive, è «gravata di ermeneutica» (Levinson, cit. a p. 187).

La teologizzazione è rivelazione, in modo che «la rivelazione non è anteriore o esterna al testo; si gioca nel testo e a partire dal testo» (Levinson, ivi).

Se la rivelazione si annuncia attraverso una scrittura in perpetua genesi, è il movimento di significato che è importante seguire e prolungare. I discepoli di Gesù confessano il Crocifisso e il Risorto come Messia e Signore e la scrittura dei loro testi attinge alle risorse di una tradizione secolare di riscrittura. «La cristologizzazione e la teologizzazione che la scrittura del Nuovo Testamento mette in atto dipendono dall’orizzonte di strutturazione costituito dalla fede nel Crocifisso e dall’attesa del suo ritorno, ed è a partire da questo orizzonte che visita nuovamente la tradizione legale, profetica e sapienziale della religione del Secondo Tempio, in modo proprio a ciascuno degli scritti neotestamentari» (p. 188).

La storia non dice tutto della Bibbia. Il suo testo non è solo letteratura. L’esegesi del testo biblico mette in luce, affiorando dalla sua lettera, emergendo dalle sue pieghe, una vita del senso che richiede una ripresa che eccede le sue procedure. «Con un impeto irrefrenabile – conclude Bourgine –, come afferrata dall’enigma del Trascendente, la Bibbia tende verso l’uno e verso il tutto, il presente e il futuro eterno. Il movimento di trascendenza, proprio dell’orizzonte di strutturazione del linguaggio biblico, richiede un lavoro di tenore teologico» (p. 188).

La regola dell’interpretazione biblica

L’ultimo capitolo del saggio enuclea la regola dell’interpretazione biblica. La natura della Bibbia determina la regola della sua interpretazione. Questa correlazione definisce il compito della teologia biblica, che associa l’esegeta e il dogmatico, ciascuno secondo l’ottica propria della sua disciplina.

La teologia biblica risponde alla necessità di porre, al termine dello studio letterario, la questione della verità nella sua dimensione teologica. Il filologo, lo storico, il filosofo e il teologo si accorgono di ciò che il testo biblico ha da dire. Per rendere conto della parola biblica, filosofia, esegesi e dogmatica devono incontrarsi.

Per Bourgine la loro conversazione «riguarda ciò che vuol dire comprendere, quando si tratta della Bibbia, dal momento che il suo enunciato e la sua enunciazione richiamano un’acquisizione che corrisponde a ciò che significano, su ciò che avviene con la lettera biblica, su ciò che dice e sul suo modo di dirlo, della sua ricerca dell’uno mirando al tutto, attraverso l’infinita varietà dei suoi significati e sul movimento del senso che coinvolge l’interprete al di là di lui stesso, per osare qui e ora una parola che ne riproponga la genesi» (pp. 189-190).

Comprendere

L’autore si sofferma quindi inizialmente in un primo paragrafo su cosa significhi comprendere, recuperando i contributi di Gadamer, Ladrière, Bultmann. Ciò che è decisivo – scrive lo studioso citando Gadamer – è riconoscere che l’atto interpretativo è «interamente legato al senso del testo» e che rientra, all’interno di una tradizione interpretativa, in uno spazio di razionalità e di argomentazione, animato da una comunità di ricercatori che dialogano secondo le regole della discussione scientifica. Autori di tradizioni e confessioni religiose diverse arricchiscono la prospettiva degli uni e degli altri.

Cos’è la Bibbia?

In un secondo paragrafo Bourgine si interroga su cosa sia la Bibbia, sottolineando il fatto che l’esegesi contemporanea ha individuato la presenza della teologia nella Bibbia, la corrispettiva necessità di sollecitare l’istanza teologica per interpretarla e la modalità con la quale la dogmatica guarda alla Bibbia.

La teologia nella Bibbia si desume dal fatto che le scritture sono considerate da Bourgine nel suo saggio come canone, linguaggio e scrittura, alla scuola dell’esegesi e sotto una modalità di una lettura cristiana.

La logica del canone istaura un gioco tra l’identità sociale della Chiesa e l’alterità trascendente di Dio. Attraverso la mediazione del Libro letto e interpretato, la Chiesa annuncia la parola che Dio destina al mondo.

Il linguaggio biblico si concentra sulla Parola: «un testimone consegna la sua testimonianza per iscritto, ma è Dio che parla in stile diretto al presente del lettore, per ricordargli la legge proprio mentre è data, per significargli la salvezza, proprio mentre si compie, per conquistarlo alla potenza della Parola, proprio mentre si dispiega» (pp. 196-197).

Tra Legge, Profeti e Scritti la deuterosi corrisponde a un approfondimento della riflessione dello statuto delle Scritture. In esse Dio prende la parola, si rivolge a un lettore: ciascun membro del popolo è esortato a una vita di ascolto, di fedeltà e di sapienza che rifletta la gloria e la sapienza di Dio.

Nella Bibbia emerge il fenomeno della cristologizzazione e la genesi della scrittura mette in luce la multiforme attività teologica degli scrittori biblici che rilanciano la significanza della Parola in un contesto inedito. Canone, linguaggio e scrittura portano alla necessità di un’interpretazione di natura teologica.

La teologia della Bibbia fa intravedere l’attestazione scritta della rivelazione di Dio, che avviene nella storia di Israele e si compie nella storia di Gesù.

Gli scritti biblici sono considerati come ispirati dalle comunità di fede in quanto testimoniano, nella loro lettera, della Parola stessa di Dio trasmessa dagli apostoli. Nella loro contingenza e nella loro storicità, questi testi si riferiscono all’opera di Dio che si dispiega provvidenzialmente nel mondo degli uomini: la logica di una storia si lascia decifrare quando si può cogliere il filo e percepire la dinamica di rivelazione che vi si dispiega.

La responsabilità dell’israelita, partner dell’alleanza, comporta una dimensione teologica: mantenere viva la conoscenza del Dio che gli ha rivelato il suo nome. Come individuo e come collettività, l’israelita deve conformarsi all’immagine che il Dio vivente ha dato di sé stesso nella storia e nella creazione. Tra promessa e compimento, la dinamica di rivelazione e di alleanza è contrastata, aleatoria, contingente. L’infedeltà del partner non riesce a fermare la dinamica di rivelazione e di alleanza, perché la misericordia divina la spinge potentemente verso un futuro di comunione. Con Gesù di Nazaret è varcata una soglia decisiva. In modo imprevedibile, al di là di ogni immaginazione, Dio in persona si fa vicino.

La Bibbia è da parte a parte umana, mentre parla di Dio e fa parlare Dio. La Parola si è fatta uomo. Dio si mostra nell’umano, parla la lingua degli uomini. La Parola divina si fa pienamente umana e agisce nell’esistenza dei credenti. La teologia presente nella Bibbia insiste affinché Dio si lasci cercare là dove si è detto: nello spessore dell’umanità dove il Figlio ha raccontato il Padre e nella lettera che custodisce lo Spirito.

La Parola si fa carne in Gesù di Nazaret, carne ebraica, quando il Figlio di Dio diventa figlio di Maria. Si inaugura una novità. Il divenire umano della parola divina si opera nel divenire lettera ispirata, conformemente alla dottrina dell’ispirazione secondo cui lo Spirito «ha parlato per mezzo dei profeti», realizzando un’azione comune di Dio e dell’uomo, la parola fatta uomo.

Dio si è fatto Parola. In Gesù Cristo la Parola divina si è «fatta carne» e dunque ancora più umana, perfettamente umana. Secondo l’altro versante della logica dell’incarnazione, la parola divina in Gesù si è fatta ancora più divina, perfettamente divina. Il vangelo testimonia la Parola fatta Figlio.

Il Figlio unigenito conduce la rivelazione alla sua perfezione. Dio parla non solo agli uomini con la lingua degli uomini, ma li guarda con occhi d’uomo come loro Dio, Dio li tocca con le sue mani d’uomo come loro Dio. Nella testimonianza che rende a questa identificazione di Dio con la sua Parola, la Scrittura è inclusa nell’evento di rivelazione. Il Vangelo di Giovanni si conferisce nei suoi due finali lo statuto di scrittura ispirata. Come vera Parola di Dio, perfettamente divina, il vangelo può attribuirsi ciò che appartiene solo a Dio.

Per una teologia biblica

Bourgine riflette, infine, in un terzo paragrafo sulla natura della teologia biblica. Si interroga su cosa essa sia, sull’esegesi e l’interpretazione teologica, sulla dogmatica e l’interpretazione biblica e, da ultimo, sulla pratica della teologia biblica.

Al termine della trattazione riguardante la pratica della teologia biblica, Bourgine presenta uno schema dell’attività ermeneutica nell’ambito della teologia biblica. Seguiamo da vicino la sua spiegazione (pp. 221-223).

Bibbia

 

[Rivelazione] Esegeta/Dogmatico [Tradizione] Destinatario
 

Spiegazione

 

Esigenza di fedeltà

Interpretazione

Esigenza di intelligibilità

 

Applicazione

La parte superiore comprende i protagonisti della teologia biblica: alle estremità, i due poli dell’atto teologico, vale a dire la Bibbia e il suo destinatario; al centro, il soggetto dell’atto teologico, esegeta o dogmatico, che opera con la sua attività ermeneutica un collegamento tra la Bibbia e la vita del destinatario.

L’esegeta o il dogmatico fanno opera di teologia biblica quando, nella loro ricerca di verità, considerano la Bibbia come la testimonianza privilegiata della rivelazione e interpellano il destinatario al modo di un atto di tradizione viva, segnata da un rilancio originale del movimento di comprensione – da qui le menzioni intercalate della rivelazione e della tradizione che determinano il carattere teologico dell’interpretazione.

Dalla rivelazione alla sua trasmissione (o tradizione) si tratta di un unico solco di verità, cioè la voce viva della Parola divina considerata rispettivamente nella sua eco originale e nel suo dispiegamento storico.

La linea inferiore corrisponde allo sviluppo dell’attività ermeneutica, caratterizzata da una circolazione dinamica dei significati (rappresentata dalle frecce). Il processo di comprensione segue il filo dell’elaborazione di una conoscenza attraverso l’operazione centrale che consiste nell’interpretare.

L’interpretazione, opera dell’esegeta o del dogmatico, è posta al centro dell’arco teso fra spiegazione della Bibbia e applicazione al destinatario per sottolineare che è al centro dell’atto teologico. L’interpretazione è strettamente collegata alla spiegazione che si riferisce al testo biblico e all’applicazione che si rivolge al suo destinatario.

Tra spiegazione e applicazione, si tratta di un’attività ermeneutica differenziata ma intimamente solidale. La differenza si segnala per il fatto che spiegare è rispondere all’esigenza di fedeltà nei confronti di ciò che si è dato all’origine, e applicare è soddisfare il bisogno di intelligibilità del lettore della Bibbia, situato in un contesto. Testo biblico e destinatario vanno considerati in uno stesso movimento.

Scoprire come la lettera abbia preso in prestito dai registri dell’attività umana (spiegazione) invita alla creatività in modo tale che il destinatario colga come la Parola lo visita nel suo mondo.

La visione unitaria della dinamica interpretativa, dalla Bibbia alla vita e dalla vita alla Bibbia, stabilisce la necessità di un’azione congiunta tra esegesi e dogmatica.

Fra il testo biblico, considerato come testimonianza di rivelazione, e il destinatario, a cui si rivolge il rilancio audace della tradizione, l’interprete, personalmente coinvolto nel processo, lo è in modo diverso come esegeta o dogmatico.

Per l’esegeta, principalmente ma non esclusivamente, lo scopo è quello di scoprire la verità di natura teologica che si attesta nella polifonia biblica: comprendere è spiegare; per il dogmatico, esso consiste, principalmente ma non esclusivamente, nell’appropriarsi creativamente di questa verità in un contesto particolare: comprendere è applicare.

Il rapporto tra il testo biblico e la fede cristiana oggi può stabilirsi solo all’interno di una sfera d’intesa tra esegeti e dogmatici, dove la verità è cercata attraverso un dialogo continuo. Il mondo comune che essi tentano di abitare è uno spazio oggettivo di significato, nel quale entrano in dialogo l’argomentazione esegetica e la riflessione teologica.

La teologia biblica è l’attività di un esegeta che, per andare fino in fondo nella sua ricerca, incrocia necessariamente la dogmatica, e l’attività di un dogmatico che raccoglie i frutti del lavoro esegetico, nell’esercizio del proprio lavoro teologico.

Per Bourgine, la teologia biblica non deve rivendicare autonomia disciplinare, indipendente dai campi dell’esegesi e della dogmatica. La teologia biblica vive della tensione tra le loro prospettive, in cui ciascuno dei protagonisti si istruisce nel confronto con l’altro, senza dover abbandonare il proprio obiettivo. Le due discipline si richiamano dunque necessariamente l’una l’altra. Esegesi e dogmatica, distinte ma non disgiunte, contribuiscono così, ciascuna per la propria parte, senza confusione, né separazione, alla comprensione del Libro ispirato. Esse richiedono una cooperazione rafforzata. La correlazione tra natura della Bibbia e regola della sua interpretazione, sostenuta da ragioni di ordine esegetico, dogmatico e filosofico, prescrive l’esercizio della teologia biblica.

Nel suo saggio Bourgine ha voluto precisare come la Bibbia obblighi l’esegesi e la dogmatica, l’una l’altra, l’una di fronte all’altra.

La teologia dogmatica e fondamentale, nella varietà delle sue funzioni, non può in ultima analisi prescindere dalla Bibbia e, per questo motivo, ha bisogno dell’apporto delle scienze bibliche; l’esegesi non può venire a capo della spiegazione della Bibbia senza chiarire che cosa intende per teologia, il che rende ineluttabile il confronto con il partner dogmatico. Ecco perché la teologia biblica è sempre l’opera di un esegeta o di un dogmatico, nello svolgimento del loro rispettivo compito.

Che lo vogliano o no, esegeti e dogmatici sono condannati a parlarsi, con la complicità del filosofo. In passato, è accaduto che questo incontro prendesse una piega conflittuale. «Questo saggio – conclude Bourgine – vorrebbe contribuire al dialogo fra esegeti e dogmatici» (p. 224). Crediamo che abbia espresso bene la sua necessità.

Il volume – testo tecnico di studio destinato soprattutto a docenti e studenti dei corsi accademici di teologia e filosofia – si chiude con la bibliografia (p. 229-242), l’indice dei nomi (pp. 243-246), le abbreviazioni (p. 247) e i ringraziamenti (p. 248).


bourgine

Benoît Bourgine, Così sta scritto. Saggio di teologia biblica (Introduzioni e Trattati IT/53), Editrice Queriniana, Brescia 2022 (or. Paris 2019), pp. 256, € 32,00, ISBN 9788839922038.

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