L’uomo secondo la Bibbia

di:

arcabas

Nel mese di dicembre 2019 la Libreria Editrice Vaticana ha dato alle stampe il nuovo Documento della Pontificia Commissione biblica: «Che cosa è l’uomo?» (Sal 8,5). Un itinerario di antropologia biblica. Un Documento che – a partire dall’inusuale ampiezza, dalla forma grafica, dalla collocazione fuori collana – si presenta sotto il segno della novità.

«Che cosa è l’uomo?» segna una torsione, una cesura rispetto ai precedenti pronunciamenti della stessa Commissione. Un passaggio, per usare una terminologia più squisitamente biblica, un attraversamento della soglia. Qualcosa è successo. Qualcosa inizia a muoversi.

In questo breve contributo non intendo – né sarebbe possibile – presentare esaustivamente il testo della Commissione Biblica; piuttosto vorrei indicare alcuni tratti dell’orizzonte che si staglia davanti a chi decida – attraversando la soglia di un supposto-sapere determinato da un magistero che colloca se stesso in posizione di autorità – di avanzare nella ricerca della verità sempre singolare dell’esperienza umana.

La «trama aggrovigliata» dell’esperienza umana e l’itinerario del Documento

Tra le sue caratteristiche, il nostro tempo annovera una sorta di riluttanza a inoltrarsi nei percorsi – sempre tortuosi – di un pensiero complesso: se questo implica la fatica dell’interpretazione e la pazienza del tempo, l’ipotesi dell’inciampo e la necessità di ri-pensare continuamente il pensato, il nostro è il tempo in cui si preferisce consultare Wikipedia e i vari compendi ad essa assimilabili, efficaci metonimie della pulsione che riduce la cultura ad approvvigionamento nozionale a portata di click, la conoscenza ad un insieme di informazioni reperibili in tempo-zero, la verità a immutabile impalcatura dottrinale.

Un simile restringimento del pensiero diventa particolarmente insopportabile quando investe e avvolge l’antropologia, cioè l’esperienza del soggetto umano nell’esperienza della vita. L’esperienza umana – per dirla con il filosofo tedesco Ernst Cassirer – è una «trama aggrovigliata», e per questo non può essere approcciata, pensata, attraverso il ricorso a formulari ipostaticizzati più o meno ammantati di carattere sacro o a una dottrina ritenuta immutabile nel tempo. Gli estensori del Documento «Che cosa è l’uomo?» si pongono su un versante differente: rifiutano la via larga delle suggestioni senza spessore e senza fondamento – come accade, ad esempio, quando dalle pagine bibliche si estrae qualche citazione allo scopo di convalidare un discorso prefissato che però nulla ha a che fare con la vitalità che permea il logos biblico – e si inoltrano in un itinerario rispettoso della complessità offerta dalla Scrittura ai suoi lettori intelligenti.

Il libro biblico infatti – quando gli si permette di parlare – si oppone tenacemente a qualsiasi tentativo di inquadrarne le differenti modulazioni concettuali e le multiformi prospettive teologiche in uno schema di lettura univoco; la Commissione biblica assume questa modulazione discorsiva plurale come significante della stessa esperienza umana, irriducibile – come invece vorrebbero alcuni rappresentanti di un pensiero rigidamente legato alla cosiddetta “legge naturale” o ai cosiddetti “principi non negoziabili” – all’univocità dell’essenza.

L’esperienza del soggetto umano infatti, nel suo essere inserita nella storia e dunque sempre culturalmente determinata (preziosissimo, da questo punto di vista, il principio ermeneutico assunto dal Documento, che distingue sapientemente ciò che nelle pagine bibliche è parte integrante della rivelazione da ciò che invece è espressione contingente legata a mentalità e a costumi di una determinata epoca), a differenza della vita animale, non dipende da presunte e necessarie costanti di natura, quanto piuttosto da una serie di tagli simbolico-culturali che permettono alla nuda vita di umanizzarsi.

È questa la prospettiva dei miti biblici della creazione, dove il vivente umano viene presentato nella sua singolarità propria rispetto alle altre creature: secondo la narrazione, infatti, creando il vivente umano, per la prima volta Dio parla a una delle sue creature (cf. Gen 1,28). Questa differenza, veicolata dalla sintassi del racconto, costituisce la “separazione” del vivente umano da un rapporto immediato con la natura, dalla dimensione istintuale e la sua introduzione nell’ordine del simbolico, dove la legge della natura non vige più, ma entra in gioco la Legge della parola.

È proprio a partire dai racconti di origine, infatti, che il Documento della Commissione Biblica costruisce il suo ricco argomentare:

«La Scrittura non va ritenuta un repertorio di asserzioni dogmatiche (su Dio e sull’uomo), ma piuttosto la testimonianza di una Rivelazione nella storia. E il suo tenore espressivo appartiene prevalentemente all’universo simbolico, più che a quello meramente concettuale […]. Il nostro Documento sull’antropologia biblica non assume perciò una griglia concettuale predisposta a priori (in base a schemi teologici o secondo principi dettati dalle scienze umane), ma pone come base programmatica il racconto di Gen 2–3 (letto assieme a Gen 1), a motivo del suo valore paradigmatico: questo testo condensa, in un certo senso, quanto è dettagliato nel resto dell’Antico Testamento, e viene ritenuto riferimento normativo da Gesù e dalla tradizione paolina. Tale racconto delle origini va letto come “figura” (typos), come attestazione cioè di un evento dal valore simbolico, che profeticamente annuncia il senso della storia fino al suo perfetto compimento. Adotteremo quindi un approccio di teologia narrativa, non meno rigoroso di quello in uso nella teologia sistematica. […] Seguendo le scansioni narrative del testo fondatore, vediamo gradualmente apparire gli aspetti costitutivi dell’umano; e, in atto di fedeltà alla Scrittura, tali aspetti verranno tematizzati, ricorrendo all’insieme della testimonianza biblica, avendo conto di rispettare le diversificate modalità letterarie che concorrono alla ricchezza del testo sacro» (§ 6).

arcabas
Il senso dei testi

In «Che cosa è l’uomo?» l’interrogazione sul senso dei testi, in un esigente percorso di teologia biblica, viene costantemente messa in rapporto con un’interrogazione fondamentale sull’uomo. Il Documento – attraverso un procedere interpretativo capace di tenere costantemente conto dello scarto che intercorre tra le parole e il senso, tra il discorso e la realtà di cui parla – accompagna il lettore del testo biblico ad attraversare la soglia di veri e propri luoghi comuni nell’interpretazione tradizionale di passaggi chiave dal punto di vista antropologico. Mi limito a due esempi che meritano di essere posti in evidenza.

– I §§ 186-188 offrono la corretta interpretazione del cosiddetto “peccato di Sodoma” (cf. Gen 19); secondo l’interpretazione tradizionale e maggiormente diffusa, la città viene biasimata e condannata a causa della condotta sessuale dei suoi abitanti, identificata (banalmente) con l’omosessualità; il Documento della Commissione Biblica, rispettando il tenore e il senso della narrazione biblica, mostra invece come la condanna di Sodoma venga posta in atto a causa della sua mancanza di ospitalità e degli atti di violenza nei confronti del forestiero. Torsione interpretativa di non poco conto, che finalmente restituisce al testo la verità del suo senso.

– I §§ 325-333 del Documento sono dedicati a quelle pagine bibliche che tematizzano l’intervento di Dio di fronte all’attuazione del male nella storia. Purtroppo, sia in sede esegetica che in sede “pastorale”, questo tema viene il più delle volte affrontato in modo inadeguato, secondo una prospettiva che fa assumere al Dio biblico il ruolo del giudice implacabile volto a ottenere giustizia attraverso la condanna (addirittura eterna) di colui che si rende colpevole del male. Ma una simile prospettiva risulta radicalmente estranea al senso proposto dai testi della Bibbia. Il Documento della Commissione biblica – superando la divulgazione dominante – accoglie invece i risultati e le prospettive degli studi più accurati sul tema in questione, mostrando come la comprensione dell’agire di Dio (e dell’uomo) di fronte al compimento del male debba essere compresa attraverso il ricorso ad una procedura giuridica completamente diversa da quella gestita inflessibilmente dal giudice nel tribunale.

I testi biblici chiamano questa procedura rîb, termine difficilmente traducibile, ma ben comprensibile nella sua logica: come nel giudizio forense, l’obiettivo del rîb è il ristabilimento della giustizia infranta, ma la sua strutturazione e il suo scopo sono radicalmente differenti.

Tenendo presente che, nella logica biblica, il concetto di giustizia trova il proprio compimento etico nel rispetto e nella promozione della Legge dell’alterità, nella procedura del rîb l’azione accusatoria – mossa direttamente dalla parte lesa e non dal giudice – non persegue la condanna del colpevole, ma il ristabilimento della relazione infranta dal comportamento del malvagio.

Questa – e non quella del giudice implacabile – è la metafora che consente di comprendere la postura del Dio biblico di fronte al “peccato”, dato che – come afferma suggestivamente il Documento della Commissione Biblica – «Il Padre consegue il risultato della sua azione giuridica di accusa quando può perdonare» (§ 333) e non quando riesce a condannare.

emmaus

Bibbia è antropologia

Non si tratta di un errore di battitura, e tantomeno di uno scivolone grammaticale. «Da sempre – afferma il Documento della Commissione Biblica – la Chiesa fonda il suo messaggio sulla sacra Scrittura (Dei Verbum, 24), ma finora non era apparso uno scritto ufficiale che offrisse una panoramica completa su cosa sia l’uomo secondo la Bibbia (§ 3).

La constatazione che, per la prima volta, venga offerta una «panoramica completa su cosa sia l’uomo secondo la Bibbia» si pone innanzitutto come significativa del fatto che – rovesciando i termini della proposizione – la Bibbia offre una panoramica completa su cosa sia l’uomo. A patto di non ridurla a testo devoto, apologetico o dottrinale, a patto di non renderla un feticcio di propaganda religiosa o politica, la Bibbia si offre al suo lettore come un testo che ha la capacità di decostruire le certezze universali per far parlare una verità sempre declinata al singolare. In questo orizzonte di senso – è questo, mi sembra, il fil rouge del Documento –, l’atto di lettura della Bibbia, contrariamente a quanto diffusamente ripetuto, non ha a che fare con un sapere su Dio, ma con un’interrogazione fondamentale sul soggetto umano (e sul suo rapporto con Dio).

In altre parole, la domanda sul Dio biblico diventa sempre una domanda che il vivente umano (si) pone su se stesso e sulla sua esperienza. Il logos biblico, dunque, risponde ad un’esigenza antropologica e non metafisica, ed è in questo senso che i testi biblici partecipano alla costruzione del soggetto. D’altra parte, come affermava efficacemente lo psicoanalista gesuita Denis Vasse, «essere cristiani e interpretare il mondo alla luce della rivelazione di Gesù Cristo, significa acconsentire a ciò che è l’uomo. Si diventa cristiani nella misura in cui si diventa uomini in verità, cioè alle prese con la verità che parla dentro di sé».

Il Documento della Commissione biblica offre un percorso capace di mostrare come, attraverso le sue differenti tradizioni letterarie, attraverso la suggestione delle sue immagini, dei suoi simboli, dei personaggi e dei loro fantasmi, la lettura intelligente del testo biblico promuova un’umanità che si esprime nel suo essere ordinata alla verità intesa come luogo di sviluppo del desiderio, indicatore della mancanza che la costituisce e creatrice di spazi di libertà.

Contro il principio omeostatico che perverte il desiderio profondo del vivente umano codificando una morale che non ha niente a che vedere con il discordo della Scrittura, il logos biblico mira a liberare l’uomo dalle sue paure e dalle sue angosce, a farlo aprire all’Altro per farlo tornare a se stesso e alla verità che parla dentro di sé.

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Un commento

  1. Dario Edoardo Viganò 17 marzo 2020

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