Cronaca dalla pandemia

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covid un racconto

Sr. Laura è una religiosa delle Adoratrici del Sangue di Cristo e risiede a Roma. L’esperienza qui raccontata è stata vissuta all’interno di una comunità e di una residenza protetta a Saltara nelle Marche (foto sopra), durante il periodo più virulento del Covid-19.

Il 1° aprile 2020 credevo di aver perso per sempre Giuliana… Non rispondeva a nulla, si era accasciata all’improvviso, le labbra erano già cianotiche con la saliva che scendeva dalla bocca.

Immediatamente è stato allertato il 118. L’abbiamo adagiata a terra e, come ultimo segno abbiamo provato a mettere l’ossigeno… ma in cuor mio non c’era nessuna speranza. Dopo minuti interminabili la mascherina si era appannata: Giuliana aveva ripreso a respirare.

Insieme al medico del 118 eravamo convinti che si trattasse di un problema inerente al cuore. D’urgenza l’hanno portata in ospedale con le sirene spiegate.

Il 2 aprile 2020 arrivò l’ardua sentenza. E lì mi crollò tutto.

Prima di procedere con l’impianto di un pacemaker fecero il tampone. Non era problema di cuore ma era il Coronavirus, il Covid-19!

Avevamo vissuto nella zona rossa fino al 31 marzo 2020 come in una bolla di sapone che all’improvviso scoppiò.

I giorni del dolore 

Da lì in poi furono giorni infernali. Il 118 andava e veniva di continuo, le sirene non le sopportavo più, lo sconforto degli operatori metteva paura, il lavoro si era quadruplicato improvvisamente.

Non potrò mai dimenticare lo sguardo impaurito dei nonni. Non riconoscevano più nessuno e quei pochi che erano rimasti nel salone vedevano arrivare di continuo il 118 e portare via i loro amici. Per molti di loro è stato un viaggio senza ritorno.

Non riuscivano a stare da soli nelle loro stanze. La paura della solitudine era più forte dello spettro del Coronavirus. Quei pochi che ce l’hanno fatta ancora oggi domandano di Duilio, di Marta, di Zito, di Anna…, di Olga che avrebbe compiuto 100 anni… Stava benissimo, era lucida ed era una persona splendida. Ma come si fa a dire loro che non ci sono più?

La cara Alberta, parlando con la sua famiglia, raccontava che tutto all’improvviso era diventato spettrale e che solo i fantasmi giravano per la casa.

Si lavorava sulle forze fisiche e psicologiche.

In contemporanea si erano ammalati sia i nonni che gli operatori.

Gli “eroi” che erano rimasti sul campo hanno lavorato veramente da eroi, senza risparmio in nulla, arrivando ad un monte ore incredibile. Hanno tirato fuori una forza inaudita e si davano coraggio l’un l’altro. Si lavorava con la morte continua davanti agli occhi e nel cuore. A loro pochi, rimasti, va la mia profonda gratitudine.

Purtroppo, l’unico canale che era rimasto aperto con l’esterno dal 25 febbraio 2020 – giorno in cui decisi la chiusura totale della casa alla visita dei parenti, amici e conoscenti con lo scopo di tutelare al massimo le persone fragili – fu quello dei dipendenti. A nulla sono valse le continue raccomandazioni e circolari interne in cui chiedevo la cautela massima e lo “stare a casa” una volta rientrati dal lavoro. Attraverso questo canale il Coronavirus, in punta di piedi, entrò in casa…

covid un racconto

Domenica 5 aprile 2020, domenica della Palme, la situazione era già drammatica.

Una grossa palla di bowling venne lanciata e i nonni, come tanti birilli, cadevano a terra uno ad uno. La cosa davvero sconvolgente era vedere come alcuni di loro avevano camminato fino al giorno prima; dopodiché non riuscivano più a fare un passo e non facevano altro che dormire.

Fino allo stremo delle forze

Avevamo perso la cognizione del tempo, del ritmo sonno-veglia.

Quella mattina della domenica delle Palme il cuore ce l’avevo in gola: ero in tachicardia.

La dott.ssa Fabiana, ottimo medico, era intervenuta come USCA (Unità speciali di continuità assistenziale) in quella mattina. Aveva chiamato varie volte il 118 per vari nonni che stavano male. Mi diede delle goccine e mi disse: «Sr Laura, questo non è il momento per piangere, ora devi reagire e farti forza. È un lusso che non ti puoi permettere! Quando tutto sarà finito, ti siederai e piangerai». Parole forti che sono rimaste scolpite nel cuore.

Ero a pezzi e completamente attanagliata dal dolore, da una situazione in cui eri totalmente impotente, nulla potevamo fare per bloccare la pandemia, per farli guarire, per non vederli partire… sapendo che molti di loro non sarebbero più tornati.

Il legame affettivo era molto forte. Vivevano in questa casa da vari anni e con i loro figli erano la mia famiglia. Dopo i primissimi ricoveri non ce la facevo più a vederli partire ed evitai quello strazio. Ed ogni volta che partivano dovevo dare ai figli la notizia che mai avrebbero voluto ricevere. Quei poveri figli non vedevano i loro genitori dal 25 febbraio 2020 e molti di loro… non li hanno più rivisti.

Dovevo dare consolazione ma, in molti casi, sono stati loro a confortare me in un legame di grande fratellanza e in un clima di famiglia. Ci sono figli che ancora oggi non riescono a trovare pace per il modo in cui sono morti i loro genitori. E li capisco perfettamente.

Non potrò mai dimenticare Sestilia. Il 118 stava arrivando. Giusto il tempo di una telefonata veloce con uno dei tre figli. Simona, una nostra OSS, gli chiese: «Cosa vuoi dire ai tuoi figli?». Ella rispose, parlando con una figlia: «Di’ agli altri fratelli che mamma vi ha voluto bene allo stesso modo». Sestilia non è più tornata e quella dipendente, mamma anche lei, è rimasta profondamente segnata da quelle parole.

In due interventi del 118, nei primissimi giorni, ci fu un’infermiera, che non ho più rivisto, che era completamente fuori di sé. Con tono forte e senza un minimo garbo, anche davanti alla persona anziana che stava portando via, diceva: «Li avete chiamati i figli? Dite ai figli che non li rivedranno più se non in un barattolo!». Era da impazzire.

La dottoressa Fabiana, in un’altra occasione mi disse: «Sr Laura, nella disgrazia hai avuto una grazia». Io la guardai e dentro di me mi chiedevo quale fosse la grazia. Ella continuò: «Questa struttura è compatta e il contagio è stato di massa: tutti si sono contagiati nello stesso momento». Ed era così: nonni e operatori.

Un altro medico dell’USCA, venuto una domenica pomeriggio, anche lui fuori di sé per tutto quello che vedeva e viveva in prima persona, mi disse: «È meglio morire di sincope che di Coronavirus!».

La terra che mi circondava era precipitata in un buio profondo.

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Rimotivare le proprie scelte

Forti furono le parole di mia sorella: «Laura, riprenditi in mano e dà segno di chi è un’Adoratrice, colei che ai piedi del suo Agnello diventa un’agnella ritta in piedi che ama il suo Signore e il caro prossimo». Parole sante e vere ma che in me, in quei momenti, erano vuote.

Il Signore mi stava portando a vivere il buio totale della fede. Nel mio stato avevo una bellissima frase che avevo scelto ancor prima che scoppiasse la pandemia: «Figli miei, non abbiate paura, chi è sotto al mio manto, può solo sentire il rumore della bufera ma non potrà essere travolto da essa…».

Li avevo affidati a Maria santissima, uno per uno, e varie volte. Era la mia preghiera costante. Quando arrivò il Coronavirus, nella fede io ebbi una reazione forte che mi ha portato ad un rapporto ancora più diretto, ad una fede più autentica. Con le lacrime agli occhi chiedevo a Maria santissima: «Perché hai permesso questo? Io te li avevo affidati, uno ad uno, ma stanno morendo. Perché?».

E iniziai a vivere il dono della preghiera mistica.

Nonostante tutto quello che vivevo, dovevo tenere le redini in mano, restare in piedi, rispondere alle autorità, vigilare costantemente ed essere presente alle numerose visite ispettive che si erano automaticamente innescate. E dovevo pensare a tutto quello che serviva per mettere in sicurezza i nonni, il personale rimasto e quello neoassunto. Impresa ardua e difficile nel reperire i dispositivi di protezione individuale.

Nel frattempo arrivavano gli auguri di Pasqua, ma per noi era e continuava ad essere il venerdì di Passione, di morte…

La domenica di Pasqua avevamo fatto un gesto molto forte. Il lavoro, che aveva un ritmo frenetico, era stato fermato per qualche minuto. Tutti in cerchio, nella sala del camino, con gli operatori presenti, abbiamo pregato. Avevo con me una boccetta di olio santo benedetto nella Casa di Loreto. Con quell’olio feci un segno di croce sulla fronte di ciascun dipendente ed affidai la boccetta dell’olio ad una di loro perché facesse lo stesso gesto sulla fronte dei nonni malati che erano in isolamento nelle camere e facesse un segno di croce sugli stipiti delle porte della struttura.

Un raggio di luce

La prima luce che iniziò a diramare le fitte tenebre arrivò con Armando il 15 aprile 2020.

Armando, infermiere professionale, partecipò al bando della Protezione Civile e ci venne assegnato dall’Azienda sanitaria unica regionale dell’Area Vasta 1 dopo molteplici appelli inascoltati per arrivare alle numerose poste elettroniche certificate che hanno portato a risultati concreti.

Armando vive a Terracina e lavora nell’area rossa del pronto soccorso di Montecassino. La sua presenza fu una grazia, una grande grazia. È una persona altamente preparata e professionale. Ha grandi valori e grande spessore spirituale. Si mise subito a servizio con umiltà profonda, cercando di sollevare la situazione e dando coraggio e speranza ai dipendenti in servizio.

Di tre infermiere ne era rimasta una sola che da giorni e giorni lavorava mattino e pomeriggio senza mai riposare e con un ritmo estenuante.

covid narrazione

Immediatamente Armando prese a cuore la realtà, i nonni rimasti e seminava speranza. Solo dopo, quasi al termine della sua esperienza, venni a sapere che fa parte del cammino neocatecumenale. Si venne a creare un feeling molto forte. Rimase fino alla fine di aprile. Poi subentrarono due giovani infermieri mandati dal Governo albanese. Anche loro furono molto disponibili, volenterosi, nonostante le difficoltà legate alla lingua.

Abbiamo perso 20 nonni, 20 persone che hanno dato tanto alla storia, alla rinascita dell’Italia, lavorando intensamente durante periodi storici duri e poveri. Sono e saranno i nostri angeli custodi. Come sarà possibile, verranno tutti ricordati in una celebrazione eucaristica in questa Casa alla presenza dei loro figli. È una promessa che ho fatto a loro.

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