Persecuzioni: l’esondazione

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«Sebbene sia impossibile conoscere le cifre esatte, il nostro studio indica che due terzi della popolazione mondiale vivono in paesi in cui le violazioni della libertà religiosa avvengono in una forma o nell’altra, e i cristiani sono il gruppo maggiormente perseguitato». Il Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (ACS) apre così il 22° studio sulle persecuzioni nel mondo, quasi 800 pagine, pubblicato ogni due anni.

«Circa quattro miliardi di persone, ossia poco più della metà (51%) della popolazione mondiale, vivono nei 26 paesi classificati come quelli in cui vengono perpetrate le più gravi violazioni della libertà religiosa». In altri 36 paesi, con 1,24 miliardi di persone, non vi è «piena libertà religiosa, costituzionalmente garantita». Il riferimento è all’insieme delle vessazioni che riguardano tutte le fedi e le religioni. Per quanto riguarda direttamente i cristiani, una decina di altri studi convergono su una cifra che sfiora i 340 milioni di persone perseguitate. L’eccezione è il rispetto della libertà religiosa, non il contrario.

Tanto più sorprendente risulta la disattenzione di molta parte dei media occidentali, incapaci di leggere i confini sottili e spesso soprapposti fra minoranze e maggioranze, fra etnie e popolazioni nazionali, fra appartenenze contrapposte alla stessa religione, fra tradizioni religiose nazionali e religioni minoritarie, fra teologie e poteri politici, fra interessi egemonici e difesa dei diritti umani.

Il rapporto ACS

Nella lettura anche solo della sintesi (una cinquantina di pagine) tornano molti elementi che da anni vengono denunciati come gli attori maggiori dello strozzamento della libertà religiosa e delle libertà che essa genera e presuppone: dal fondamentalismo islamico all’islamismo statuale, dal radicalismo religioso a stampo nazionalista all’assenza di una autorità centrale efficiente, dall’ideologia antireligiosa all’anarchia dei territori ostaggi di bande criminali.

Così come tornano la cinquantina di paesi da tempo indicati come territori di scarsa o nulla libertà: dalla Corea del Nord all’area del Medio Oriente (Arabia Saudita, Siria, Yemen, Libia, Algeria ecc.), dal Venezuela al Nicaragua, fino alla Cina.

Vengono confermate le tendenze “cristianofobica” di alcune democrazie occidentali e la connessione fra globalizzazione tecnico-finanziaria e insorgenza di identitarismi religiosi e territoriali. Colpisce l’estendersi della fascia di paesi interessati dal sub-continente asiatico (Cina, India, Sri Lanka ecc.), attraverso l’Africa e il Medio Oriente, fino ad alcuni paesi dell’America Latina. Una sorta di esondazione fra continenti.

Sottolineo alcune caratteristiche proprie dello studio dell’ACS: la centralità crescente dei paesi africani, lo slittamento dei diritti nell’area democratica, il ruolo di acceleratore della pandemia e delle leggi antiblasfeme, i segnali di resistenza e di tenuta, l’incubo di una saldatura fra tecnologie e illibertà, il ruolo positivo delle fedi e le sintesi.

Islamismo alla conquista dell’Africa

Quasi la metà dei paesi a maggior rischio sono nell’Africa sub-sahariana. I conflitti etnici, lo scontro fra agricoltori e nomadi, la frustrazione di generazioni che non vedono soluzione sono il combustibile di violenze di una ferocia inquietante.

«Negli ultimi due anni, i gruppi jihadisti hanno consolidato la loro presenza nell’area sub-sahariana e la regione è diventata un rifugio per oltre due dozzine di gruppi che operano attivamente – e sempre più in collaborazione fra loro – in 14 paesi e includono affiliati allo stato islamico di Al-Qaeda. Lo sviluppo di questi affiliati è avvenuto in un lasso di tempo allarmante, seguendo un modello familiare.

Gli attacchi delle bande criminali locali, incitati dai predicatori jihadisti salafiti, sono passati dall’essere sporadici e arbitrari a ideologici e mirati. In certi casi, le azioni di una banda sono culminate in una sinistra definizione, ovvero l’affiliazione a una provincia di un cosiddetto califfato di una rete islamista transazionale». Estremisti islamici, con l’esperienza delle guerre in Iraq e Siria, si sono spostati in paesi come Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Camerun, Ciad, Centrafrica, Repubblica del Congo, Somalia e Mozambico.

In due anni le vittime dei gruppi armati sono più che raddoppiate. Vengono colpiti autorità statali come civili e militari. In particolare sono perseguitati gli insegnanti (colpevoli di trasmettere una cultura considerata occidentale), i capi villaggio, e i credenti (sia islamici sia cristiani).

Per Olivier Hanne, islamologo francese: «Nei prossimi cinque anni l’espansione territoriale dei gruppi terroristici armati continuerà. Il traffico di droga diventerà più organizzato e aumenterà. Dopo avere esteso la loro presa sul Sahara musulmano, il prossimo obiettivo saranno i luoghi dove cristiani e musulmani vivono insieme… Nei prossimi cinque anni questi stati africani avranno bisogno del sostegno dell’Occidente se si vuole evitare la catastrofe».

Pandemia e “nuovi diritti”

Nei paesi di lunga tradizione democratica si percepisce un duplice slittamento: da un lato, la libertà religiosa perde di centralità ed è assimilata entro la libertà di espressione (passando da fondamento a conseguenza), dall’altro, l’emersione dei “nuovi diritti” (aborto, diritti riproduttivi, identità sessuale) non solo affiancano ma talvolta sostituiscono i “vecchi diritti” (della Carta ONU del 1948), presentandosi come non disciplinabili.

Non solo. La stessa obiezione di coscienza è posta in discussione. «All’interno della più ampia rete dei diritti umani, la libertà di religione e di credo ha un ruolo unico da svolgere. Rappresenta una dimensione cruciale della nostra umanità, ovvero il fatto che noi esseri umani possiamo adottare e nutrire convinzioni profonde che formano la nostra identità e che possono permeare tutti gli aspetti della nostra vita, sia in privato che in pubblico». Essa alimenta l’insieme dei diritti umani e la non discriminazione. Gioca un ruolo importante anche nella comprensione della laicità statuale per una sua declinazione aperta e inclusiva.

La pandemia in molti dei paesi a rischio ha ritardato o impedito il funzionamento dei tribunali, favorito l’aumento della vigilanza dei governi autoritari e provocato l’ulteriore penalizzazione delle minoranze nell’assistenza, negli aiuti come nei vaccini.

Se le Chiese storiche sono generalmente più capaci di farsi carico delle preoccupazioni statali rispetto alle confessioni più recenti, non sono mancati i conflitti. Dalla Francia al Regno Unito, dagli Stati Uniti al Quebec canadese, dalla Grecia a Cipro sono esplose tensioni significative.

Il testo ACS accenna solo di sfuggita al ruolo delle leggi antiblasfemia che ha già trattato in altri interventi. Sono un’ottantina i paesi che hanno adottato una legge punitiva per quanti mancano di rispetto (variamente interpretabile) alla religione o confessione prevalente e quasi un centinaio i paesi che puniscono il proselitismo (anche il semplice annuncio).

Positive attenzioni

Non mancano i segnali in controtendenza, sia nelle fedi come negli stati. Nel 2019 l’ONU istituisce una giornata mondiale per le vittime in nome della fede e pubblica un appello per la libertà religiosa. Nasce per iniziativa degli USA un’alleanza internazionale per la libertà religiosa. L’Ungheria crea un apposito segretariato di stato. Diversi paesi istituiscono o riattivano la carica di ambasciatore per la libertà religiosa: Danimarca, Paesi Bassi, Stati Uniti, Norvegia, Finlandia, Polonia, Germania e Regno Unito. Un contesto in cui stride vistosamente il mancato rinnovo da parte dell’Unione Europa dell’Inviato speciale UE per la libertà di religione o credo. Prima scomparso dall’organigramma, poi ripreso, ma della sua nomina non c’è notizia.

L’apprezzabile lavoro svolto da Jean Figel non ha successori, mettendo in evidenza l’incultura circa le fedi e il loro ruolo storico da parte della diplomazia dell’Unione.

È difficile capire l’incomprensibile “delega” in una materia tanto sensibile all’attivismo dei paesi di Visegrad (Polonia, Cechia, Ungheria, Slovacchia), peraltro accusati, non senza fondamento, di scarsa sensibilità democratica e di intesa con la Russia di Putin.

Sul versante delle fedi, il cambiamento più vistoso è l’interlocuzione della Chiesa cattolica col mondo musulmano. La firma ad Abu Dahbi (febbraio 2029) del documento Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune e l’incontro del papa con l’imam Al-Sistani nel viaggio in Iraq sono i vertici di un lavoro assai ampio nelle comunità nazionali. «Durante il periodo in esame, in diversi paesi la Chiesa cattolica ha svolto un importante ruolo sulla scena politica, sia da un punto di vista diplomatico che pastorale». In alcuni paesi ha avuto un ruolo attivo nel monitoraggio, nella mediazione e nella soluzione dei conflitti. È stata attore di democrazia e di pacificazione in Camerun, in Congo, in Burundi e in Sud Sudan.

Nei vertici delle comunità musulmane è in atto un processo di autocritica verso le derive disumane del fondamentalismo, anche se il lavoro di base sembra piuttosto scarso. A questo si aggiunga il permanere della frattura fra sciiti e sunniti e l’apparire dell’alleanza sunnita-israeliana (Accordi di Abramo) in contrasto con Iran, Siria, Iraq, Libano e Yemen.

L’incubo e le conclusioni

L’incubo è rappresentato dalla possibile saldatura dell’alta tecnologia con governi autoritari, nazionalistici e islamico-estremisti. In Cina sono già attive 626 milioni di telecamere di sicurezza. Si diffondono rapidamente quelle a riconoscimento facciale, sperimentate per il controllo delle popolazioni uigure. Nei principali passaggi pedonali del paese vi sono scanner che captano e raccolgono dagli smartphone dati personali. Nelle città principali si è avviato un sistema di credito sociale che determina un punteggio di affidabilità in ragione dei comportamenti, delle fedi e delle manifestazioni critiche al regime. La tecnologia di sorveglianza è già diffusa nei paesi vicini e disponibile per altri. «Forse l’unico scenario peggiore di una dittatura odiata è quello di un regime che gode di ampio consenso, legittimità e persino fedeltà».

Termino elencando i dieci risultati principali del rapporto:

  1. Le reti jihadiste transnazionali si diffondono lungo l’Equatore e aspirano ad essere “califfati transnazionali”.
  2. Il “cyber-califfato”, in espansione a livello globale, è ormai uno strumento consolidato per il reclutamento e la radicalizzazione on-line in Occidente.
  3. Le minoranze religiose sono incolpate della pandemia.
  4. I governi autoritari e i gruppi fondamentalisti hanno intensificato la persecuzione religiosa.
  5. Le violenze sessuali sono usate come arma contro le minoranze religiose.
  6. Le repressive tecnologie di sorveglianza prendono sempre più di mira i gruppi di fede.
  7. In Cina e in Myanmar 30,4 milioni di musulmani (inclusi uiguri e rohingya) subiscono gravi persecuzioni.
  8. L’Occidente ha abbandonato gli strumenti che riducono la radicalizzazione.
  9. Si avvia una “persecuzione educata” sostituendo nuovi diritti ai vecchi diritti.
  10. Il dialogo interreligioso conosce una nuova stagione positiva, grazie in particolare alla Santa Sede.
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