Una preghiera da cittadino, da cristiano, da umano

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La preghiera scritta dal critico d’arte Tomaso Montanari è stata letta la sera dello scorso 28 giugno a Firenze, nell’Abbazia di san Miniato al Monte, in occasione della presentazione della installazione «Eldorato – Nascita di una nazione» ideata dall’artista fiorentino Giovanni De Gara su invito dell’abate di San Miniato padre Bernardo Gianni. L’opera ha ricoperto per qualche giorno le porte dell’Abbazia con le coperte termiche dorate in cui vengono avvolti i migranti stremati dal viaggio in mare quando approdano in quella che speravano fosse la terra della loro salvezza, per dare così «un segnale di accoglienza e promuovere una riflessione sulle migrazioni, sulle terre promesse e brutalmente negate, sulla aspirazione a un mondo diverso, costruito oltre l’idea di confine e capace di essere nuovamente umano» (pubblicata sul sito web www.chiesadituttichiesadeipoveri.it).

eldorato

Coperte termiche come oro per l’Abbazia

La Porta d’Oro di Gerusalemme era quella attraverso cui si manifestava la presenza di Dio: le porte d’oro di Giovanni de Gara invocano la nostra umanità, la interpellano senza sosta perché torni a manifestarsi.

Questa venerabile Basilica, vecchia di mille anni, è la «porta del cielo»: così dice una iscrizione che accompagna la sua porta santa. Se questa iscrizione oggi torna a parlarci è perché Giovanni ha rivestito quella porta con il calore che gli straordinari volontari delle ONG offrono ai corpi di chi non ha più che il proprio corpo.

Ebbene, di fronte a queste porte d’oro – di fronte a quei corpi – io non vorrei fare lo storico dell’arte.

Non voglio avere alcun distacco, alcun giudizio critico.

Voglio prenderla sul serio, questa arte.

Perché quando vengono scosse le fondamenta stesse della nostra umanità, è allora che l’arte ci viene in soccorso. Perché l’arte dice cose e, apre porte, che nessuna parola, nessun concetto, nessuna idea astratta è capace di aprire.

Le porte d’oro di Giovanni hanno aperto quella porta del cielo. Vorrei allora provare a varcarla: condividendo con voi una preghiera: da cittadino, da cristiano, da umano.

Vorrei rivolgermi, secondo un’antichissima tradizione, ai santi. Cioè a coloro che ci hanno preceduto nella lotta per la giustizia. Santi canonici: ma anche no.

San Miniato,

re dell’Armenia, che sei venuto da così lontano a dormire per sempre su questo colle insegnando ai fiorentini a guardare fuori dell’uscio di casa,

ricordaci che l’Italia è una nazione meticcia. Costruita per via di cultura. E dunque aperta a tutti coloro che vengono in pace.

Ricordarci che l’identità è cambiamento.

Ricordaci che a integrarci dobbiamo essere anche noi: gli italiani. Che non dobbiamo essere «prima», ma «insieme».

Ricordaci che, tra altri mille anni, l’identità italiana sarà multiculturale. O non sarà.

San Giovanni Battista,

patrono di Firenze e di Giovanni de Gara, tu hai conosciuto il potere che controlla i corpi.

Il potere di chi minaccia, espone, umilia il corpo del dissenziente.

Hai conosciuto la spada di un re, Erode, che non sopportava il dissenso e la libertà del tuo giudizio: un re che ti ha fatto staccare la testa, in un giorno di agosto.

Lo sapevi, che sarebbe finita così: ma non hai messo un freno alla tua lingua libera. Ricordaci di non smettere di parlare.

Per chi non ha voce, per chi non sa la nostra lingua, per chi non ha il potere delle parole.

Don Lorenzo Milani,

ebreo, cristiano, prete fiorentino. Santo delle scuole e delle fabbriche, non degli altari. Maestro impareggiabile, strada sicura.

Una volta hai detto: «Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri».

Ricordaci di continuare a scegliere, a schierarci, a prendere parte, a essere partigiani.

San Gennaro,

che – come il mese di gennaio, porta dell’anno – prendi il nome dalla porta (che in latino si dice ianua), ricordaci che quando si nasce si varca una porta.

E che quando si muore se ne varca un’altra.

Ricordaci che, se le porte sono chiuse, non c’è vita, e non c’è resurrezione.

Ricordaci che «porto» viene dalla stessa radice di «porta»: e che se i porti sono chiusi non c’è giustizia e non c’è futuro.

Ricordaci che il porto della tua Napoli – povera, violenta, con mille problemi – si è subito aperto alla nave Aquarius. Perché mettere i poveri contro i poveri è la più imperdonabile delle ingiustizie.

Ricordaci che il tuo omonimo Giano, dio romano delle porte, aveva una faccia per la pace e una per la guerra. E che sta a noi scegliere quale faccia avere.

Alessandro Leogrande,

santo laico che te ne sei andato troppo presto, ricordaci di leggere il tuo libro straordinario, La frontiera. Frontiera: che è un altro modo per dire porta.

Un libro che comincia così:

«Adagiato a quaranta metri di profondità, al largo dell’isola di Lampedusa, il peschereccio sembra in secca, incuneato nella sabbia chiarissima del fondale. I tre sub, le bombole sulle spalle, calcano il ponte della piccola imbarcazione ed entrano da una porta laterale. Passa qualche secondo, ed estraggono il corpo di una donna. Nella terza cabina c’è un uomo seduto, la bocca aperta e il corpo immobile, il taglio degli occhi sottile, le mani su un tavolino, come se fosse lì ad aspettare da mesi quell’incontro. È un lavoro lentissimo. I sommozzatori tirano fuori i corpi di un ragazzo e una ragazza, poi quello di un’altra ragazza, dalle strette cabine in cui, anche se tutto è sottosopra, regna una strana calma. Il silenzio assoluto rallenta ogni gesto. Ora i corpi sono raccolti sulla sabbia accanto al relitto. Giacciono in fila, mentre gli uomini della Guardia costiera ne aggiungono altri e altri ancora. Sono decine, centinaia. Compongono una fila lunghissima. Ci sono quelli con la faccia riversa, quelli con gli occhi sgranati, quelli con le braccia alzate, quelli con le mani raccolte sotto il capo, come se dormissero. Quelli che giacciono vicini, quasi abbracciati. Quelli che indossano ancora i giubbotti, i pantaloni, i maglioni. Quelli che hanno provato a liberarsi dei vestiti. Quelli con le scarpe e quelli scalzi. Quelli impassibili e quelli stropicciati da uno strano sorriso.

Sono tutti neri, tutti giovani»

San Tomaso Moro,

brillante avvocato alla City di Londra, membro a 27 anni del Parlamento di cui divenisti lo speaker, amico di Erasmo da Rotterdam e di Hans Holbein, Lord Cancelliere del Regno. Decapitato dal tuo re perché hai preferito la verità al potere.

Santo patrono dei politici e dei governanti, ti sei rifiutato di obbedire al tuo re, perché la tua coscienza te lo vietava.

Scrivesti, in una lettera dalla Torre di Londra in cui eri rinchiuso: «E come non è certo mia intenzione interferire nelle scelte degli altri, così reclamo per me il diritto di agire secondo la mia coscienza».

Ricordaci che la disobbedienza civile e nonviolenta è un nostro diritto.

Ricordaci che obbedire alla nostra coscienza è un nostro dovere, quando chi dovrebbe essere servo della Costituzione (perché ministro, in latino, vuol dire servo) diventa il padrone della paura.

Aiutaci a disobbedire, san Tomaso Moro.

E tu, che hai conservato il tuo umorismo inglese fino alla fine – quando hai chiesto di essere aiutato a salire sul patibolo assicurando che, per scendere, te la saresti cavata da solo – aiutaci a disobbedire conservando il sorriso, l’ironia, l’autoironia.

Giuseppe Dossetti,

politico, padre costituente, monaco.

Il 21 novembre 1946 proponesti all’Assemblea Costituente di scrivere nella Costituzione della Repubblica questo articolo: «La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione è diritto e dovere di ogni cittadino».

Ricordaci questo articolo.

Ricordarci di attuarlo.

Ricordaci di fare resistenza contro i poteri pubblici che sovvertono l’articolo 3 della Costituzione, per cui «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali… senza distinzione… di razza».

Hannah Arendt,

donna, ebrea, perseguitata, apostola laicissima della verità. Ricordaci – sono le tue parole – «che il male non può mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possiede né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. È una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale».

Ci hai ricordato che «La prima battaglia culturale è stare di guardia ai fatti»: ricordaci di dire e di documentare perché non c’è nessuna invasione di migranti, in Italia.

Ricordaci di dire e documentare perché l’unica invasione di cui dobbiamo avere paura è quella dei razzisti e dei fascisti.

Ricordaci di dire e di argomentare perché non c’è e non ci sarà alcun rapporto tra il numero di migranti fermato, respinto, affogato e il numero di italiani che potranno migliorare la loro vita.

Ricordaci – sono ancora parole tue – che «la verità, anche se priva di potere, e sempre sconfitta nel caso di uno scontro frontale con l’autorità costituita, possiede una forza intrinseca: qualsiasi cosa possano escogitare coloro che sono al potere, essi sono incapaci di scoprire o inventare un suo valido sostituto. Persuasione e violenza possono distruggere la verità, ma non possono rimpiazzarla».

Gesù di Nazareth,

vero Dio e vero uomo. Lampada al nostro cammino, maestro dei maestri, via maestra.

Tu hai detto: «Io sono la porta». Ricordaci che chi vuole chiudere le porte in nome dell’odio, anche se giura sul tuo Vangelo e stringe un rosario, è un falso profeta e, letteralmente, un anti-Cristo.

Tu hai detto di te stesso: «Ero straniero». E ci hai ricordato che saremo giudicati esattamente su questo: «Mi avete accolto» o «Non mi avete accolto».

Ricordaci che non possiamo dirci cristiani se non accogliamo lo straniero. Perché non c’è una ‘casa loro’ in cui aiutarli e una casa nostra da cui respingerli: c’è una sola famiglia umana.

Hai gridato: «Non abbiate paura» ai tuoi amici che stavano su una barca, su un mare in tempesta. Hai camminato sulle acque, li hai presi per mano.

Dacci la forza di tendere la mano a tutti coloro che, sulle barche del nostro Mediterraneo, fuggono dalle guerre, dalle povertà, dalle ingiustizie che in gran parte noi, ricchi e sicuri, abbiamo provocato, innescato, guidato.

E dai, a noi cristiani, la forza, l’intelligenza, l’amore per capire che non siamo noi ad aiutare loro: ma sono loro l’unica nostra speranza di diventare giusti, nonostante tutte le nostre disoneste ricchezze.

Tu hai detto, hai gridato: «Non abbiate paura!». Aiutaci a non cedere alla paura.

Ricordaci di non cedere a chi governa con la forza oscura della paura.

Ricordaci di essere giusti.

Ricordaci di essere umani. Amen.

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