Albania : 38 martiri verso gli altari

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Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a rendere noto il decreto riguardante il martirio dei servi di Dio. Vincenzo Prennushi, un frate francescano minore, arcivescovo di Durazzo, un genio delle scienze umanistiche e fine drammaturgo, una strepitosa conoscenza delle lingue. Saliranno all’onore degli altari un altro vescovo, mons. Fran Gjini, due missionari tedeschi, nove francescani, tre gesuiti, tra i quali l’italiano Giovanni Fausti, quattro laici e diciotto sacerdoti diocesani: 38 martiri uccisi tra il 1945 e il 1974.

Il vescovo Prennushi preferì il carcere e l tortura piuttosto di cedere alle lusinghe del dittatore Enver Hoxha, che voleva una Chiesa autonoma dalla Santa Sede. Nell’aprile del 1985 moriva il mitico e leggendario Enver Hoxha. Il successore, Ramiz Alia, continuò la sua opera. Il piano quinquennale (1986-1990) tendeva a consolidare e a perfezionare la struttura dell’economia, dando priorità all’industria e sviluppando rapidamente l’agricoltura, ad elevare l’efficienza della produzione, ad accrescere il benessere e il livello delle classi lavoratrici e la capacità di difesa del paese. In quegli anni, nei ranghi del partito militavano circa 147 mila comunisti. Il partito aveva bisogno di gente votata alla causa del comunismo, di rivoluzionari pronti a qualsiasi sacrificio. Ramiz Alia condusse una lotta accanita contro il «sentimentalismo e il soggettivismo». Diceva che il paese doveva essere libero da ogni asservimento «sociale, economico e spirituale. (…) La dottrina marxista-leninista è la base teorica sulla quale si costruisce, si sviluppa e trionfa il socialismo. (…) Il marxismo serve alla nostra gente come arma efficace per interpretare correttamente i fenomeni e risolvere i numerosi problemi che sorgono nel corso del processo di edificazione socialista del paese».

Chi era Henver Hoxha? Nel novembre 1944 assume i pieni poteri come capo di stato e di governo, legando l’Albania alla Iugoslavia in una unione monetaria e doganale. Nel gennaio 1946 viene proclamata la Repubblica popolare d’Albania. Nel 1948 Hoxha rompe i legami con la Iugoslavia in seguito alla rottura di Tito con Stalin. Si rivolge all’Unione Sovietica e ne diventa un satellite ortodosso fino alla morte di Stalin (1953). Rompe anche con Mosca nel 1961 e si affianca alla politica di Mao. Nel 1962 esce dal Comecon e nel 1968, in seguito all’invasione della Cecoslovacchia, esce anche dal Patto di Varsavia. Ma anche la Cina scontenta Tirana e l’Albania rompe nel 1978 quando Hoxha si pronuncia a favore del Vietnam. Sono anni di terrore in Albania. Morti ed epurazioni vengono spiegate nel quadro di una presunta congiura internazionale americana, sovietica e iugoslava, volta ad abbattere il sanguinario potere con l’aiuto dei fuoriusciti albanesi.

La persecuzione religiosa incomincia con la morte del francescano Leke Luli a opera dei comunisti nel 1944. Con lui si apre un lungo elenco di vescovi, preti, religiosi, laici cattolici imprigionati, torturati, uccisi per annientare la religione cattolica nel Paese delle aquile.

Andato al potere, Hoxha inizia con il tentativo di costruire una Chiesa cattolica nazionale staccata da Roma. Nel 1945 viene espulso da Tirana il delegato apostolico, mons. Leone G.B. Nigris. All’arcivescovo di Durazzo, mons Vincent Prennushi, viene chiesto di separarsi da Roma. Si rifiuta e viene condannato a vent’anni di lavori forzati. Morirà in prigione nel 1949. Hoxha tenta con il vescovo di Tirana, mons. Fran Gjini, che si rifiuta. Anche per lui il carcere. Fra il 1955 e il 1965 vengono fucilati più di una dozzina di preti secolari e religiosi; altri vengono messi in carcere o mandati nei campi di lavoro forzato. Gli uffici parrocchiali e diocesani vengono manomessi; le funzioni religiose impedite o disturbate; i vescovi titolari e i loro vicari costretti a spazzare le strade con una scritta in fronte: «Ho peccato contro il popolo!».

Nel 1967 il Partito e il Governo dell’Albania la proclamano «il primo stato totalmente ateo del mondo». Viene spazzato via l’articolo 18 della Costituzione del 1946, che garantiva ad ogni cittadino la libertà di coscienza e di fede religiosa e la libertà delle comunità religiose di svolgere la loro missione.

Nel 1974 vengono incarcerati gli ultimi tre vescovi cattolici ufficiali con il pretesto di celebrazioni liturgiche in privato. Negli anni ’80 è un susseguirsi di detenzioni, tanto che Giovanni Paolo, alla fine di febbraio 1984, da Bari lancia un accorato appello alle autorità comuniste.

Nel luglio 1988 entro in Albania alla ricerca del vescovo Troshani, l’unico rimasto della gerarchia cattolica in clandestinità. Lo trovo a Lezhe e ricevo informazioni. Ho la conferma che la religione non è affatto scomparsa. Nonostante i messaggi del regime che della religione non c’è traccia, constato che si continua a praticarla nella più rigida clandestinità. La gente s’incontra nelle case, legge la Bibbia, trasmette il catechismo e si amministrano i battesimi. Ho la sensazione che il piccolo paese dei Balcani si stia lentamente aprendo. Ancora molta la venerazione per Hoxha, ma si guarda al di là del mare e delle montagne e si chiede ai paesi balcanici che intervengano presso le autorità comuniste perché rivedano la loro politica in fatto di religione, non soltanto la cristiana, cattolica e ortodossa, ma anche dell’islam. Sono ritornato altre volte. Ricordo quanto dettomi di recente da mons. Angelo Massafra, arcivescovo metropolita di Scutari-Pult, visitando il carcere di Scutari e i luoghi di morte. Mi ha ricordato le parole del vescovo Troshani nel 1994 nell’omelia di Pasqua, davanti a una grande folla, all’aperto: «Dove sei tu, Enver Hoxha? Tu hai decretato la morte di Dio, ti sei messo al posto di Dio, hai voluto eliminare il nome di Cristo e di Allah dall’Albania, ci hai torturati, ci hai uccisi e sepolti, dove sei? Cristo è risorto, noi siamo risorti, la fede ha vinto. Tu sei morto. Dio è vivo e noi in Cristo viviamo. Fratelli, godiamo ed esultiamo, alleluia».

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Un commento

  1. danilo sbrana 20 giugno 2016

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