Abusi: ascoltare le vittime

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Foto di Noah Sillman

Poco dopo l’insediamento di mons. Donald Bolen come arcivescovo di Regina, io e altre vittime lo abbiamo contattato chiedendogli un incontro. Abbiamo scoperto che non era a conoscenza della profonda eredità di abusi sessuali del clero nella zona.

Nel corso dell’incontro iniziale e di quelli successivi, è venuto a conoscenza della profonda eredità di abusi e del processo doloroso, ritraumatizzante e sconnesso, che io e altre vittime abbiamo subito quando ci siamo rivolti alla Chiesa per denunciare gli abusi. Quelle conversazioni iniziali hanno portato alla comprensione e alla volontà da parte sua di camminare e lavorare con le vittime.

Nei cinque anni successivi, attraverso conversazioni difficili ma collaborative con tutte le parti, abbiamo fatto cambiamenti significativi sia per prevenire futuri abusi che per accompagnare le vittime. Continuiamo a fare passi in avanti per aiutare l’istituzione ad ascoltare, imparare e camminare con le vittime e i sopravvissuti agli abusi sessuali del clero.

Crimini senza attenuanti

All’epoca, l’arcidiocesi di Regina, come altre diocesi, non aveva una posizione dedicata a lavorare con le vittime di abusi sessuali del clero, ed era evidente che ce n’era un disperato bisogno. Nel gennaio 2021, è stata creata la posizione di “Victim Services and Advocacy”, affidata a me.

L’attenzione principale era rivolta alle vittime, compreso il patrocinio delle vittime, l’accompagnamento delle stesse e l’assistenza alla diocesi nel lavoro proattivo ed educativo per rendere la Chiesa il luogo più sicuro possibile.

Mentre gli abusi sessuali del clero si sono verificati in tutta la storia della Chiesa, sono stati veramente denunciati negli ultimi 100 anni solo in Canada. Fino a poco tempo fa, la Chiesa spesso inventava scuse secondo cui gli autori di abusi sessuali avevano semplicemente sofferto di una mancanza morale, e alcuni colpevoli cercavano di sostenere che nessuno era stato realmente ferito dai loro abusi.

Per esempio, la descrizione di un perpetratore nel rapporto del gran giurì della Pennsylvania del 2018 sugli abusi sessuali nella Chiesa cattolica affermava che “in sostanza, se non fosse stato preso avrebbe continuato a comportarsi in maniera abusiva senza pensare davvero che non fosse [sic] poi così peccaminoso”. La società ora sa che l’abuso sessuale non è solo una mancanza morale; è un male che ha conseguenze devastanti, con conseguenti traumi per tutta la vita. Ma le domande rimangono: Perché l’abuso sessuale clericale si verifica ancora? Perché le vittime vengono ancora giudicate? Perché ci sono ancora sacerdoti colpevoli nel ministero? Perché le vittime vengono ancora messe a tacere?

Le vittime minorenni di abusi sessuali da parte del clero – e tutte le persone che hanno subito abusi sessuali da parte di esso – portano con sé ferite profonde. Le vittime sono comunemente biasimate, emarginate, stigmatizzate e infine messe a tacere per nessun’altra ragione se non quella di aver detto la loro verità.

Molti cattolici non vogliono sentire quella verità; preferirebbero nascondere la testa sotto la sabbia piuttosto che alzarsi e schierarsi con quelle voci. Troppo spesso, quando i sopravvissuti parlano dei loro abusi, questo porta alla rivittimizzazione e alla ritraumatizzazione. Storicamente, quando le vittime hanno parlato, sono state considerate sleali verso la Chiesa.

La vergogna, la colpa, il dolore e l’agitazione che ne derivavano, quando parlavano, erano troppo spesso inquadrati come un’ingiustizia verso la Chiesa e il clero, in una narrazione controllata da coloro che erano considerati leali a essa. Anche se molte vittime non hanno mai pensato che il dolore potesse peggiorare, ferite ancora più profonde sono state inflitte quando si sono fatte avanti.

Un trauma sconfinato

Non è solo chi subisce un abuso sessuale ad affrontare tali impatti. Anche il dolore e la sofferenza delle famiglie delle vittime e delle loro comunità sono fin troppo reali. Come un sasso gettato in acque tranquille, l’effetto a increspatura continua a crescere fino a quando non si riesce più a vedere fino a dove arrivano gli anelli.

Provate a immaginare cosa succede quando un bambino piccolo subisce un abuso. Il trauma che ne deriva è così enorme che nessun adulto, figuriamoci un bambino, sa come affrontarlo. L’effetto cambia la vita e dura tutta la vita, non solo per la persona abusata ma anche per gli altri intorno a lei, a partire dal momento in cui l’abuso si verifica per la prima volta.

Naturalmente, nessuno soffre quanto la vittima primaria. Ma non c’è dubbio che un effetto a catena si fa sentire nelle famiglie dei sopravvissuti e si trasmette alle generazioni future. Allo stesso modo, le comunità parrocchiali in cui l’abuso ha avuto luogo possono iniziare ad andare avanti nel tempo dopo la scoperta dell’abuso, ma la verità non detta rimane con un convitato di pietra. Per questo motivo, qualsiasi tentativo di minimizzare il danno causato dagli abusi del clero colpevole è fuorviante.

Il cambiamento strutturale e istituzionale per affrontare l’abuso sessuale rimane difficile da raggiungere nella Chiesa. Certo, documenti e norme sono stati creati e propagandati come migliori pratiche, come quelli trovati in “Dal dolore alla speranza” (rapporto del 1992 della Conferenza canadese dei vescovi cattolici sugli abusi sessuali sui bambini).

Eppure, quando le vittime hanno cercato di forzare l’attuazione di tali politiche, è stato detto loro che queste migliori pratiche non erano altro che linee guida. Non c’era modo di chiedere conto a chi aveva il potere.

Negli ultimi decenni, le vittime di abusi sessuali nella Chiesa sono diventate più rumorose, nonostante i tentativi di metterle a tacere e il fatto che siano spesso minacciate, scartate e biasimate. Purtroppo, poche diocesi nel mondo si sono mosse nella direzione di processi olistici e pastorali nell’affrontare gli abusi sessuali.

È giunto il momento di avere conversazioni difficili e necessarie sul perché, per così tanto tempo, sono state le vittime a essere indagate (vedi pg. 20-29 del rapporto del gran giurì della Pennsylvania del 2018), invece del clero che abusava di loro. È tempo di rendersi conto che tali pratiche hanno inflitto ferite più profonde e hanno violato ulteriormente la fiducia delle vittime. Ogni segno che continuano è un segno che la Chiesa non sta seguendo il vangelo di Gesù.

Il cambiamento è assolutamente necessario, ed è qui che la trasparenza e la responsabilità diventano elementi decisivi. I passi verso la trasparenza e la responsabilità richiederanno molto coraggio, e ogni vescovo, prete e membro della Chiesa deve venire a patti con la vera ampiezza e portata dell’eredità degli abusi in ogni diocesi e in ogni Chiesa locale.

Trasparenza e responsabilità

È tempo di vedere attraverso la cortina fumogena della negazione e della minimizzazione delle vittime. Se non si fa nulla, l’eredità degli abusi continuerà a vivere; la tortura delle vittime/sopravvissuti andrà avanti attraverso atti intenzionali di silenzio.

Negli ultimi anni, abbiamo sentito inviti a ritenere la Chiesa “responsabile” facendo i nomi dei chierici che hanno abusato, incoraggiando le vittime a rivolgersi alla polizia e chiedendo che venga istituito un processo per gestire qualsiasi denuncia di abuso. Ma la responsabilità è riducibile a queste cose? In alcuni luoghi, coloro che chiedono queste azioni non sono effettivamente vittime. Né hanno una solida comprensione del costo che questi passi possono avere per una vittima. Non c’è un vero processo per assicurare che le azioni di cui sopra non causino ulteriori danni.

Non dobbiamo chiedere a coloro che hanno già ferite profonde di assumersi altri fardelli. Per quelle vittime/sopravvissuti che vanno alla polizia, si tratta di una loro scelta personale. Per coloro che vogliono fare il nome dell’abusatore, anche questa è una scelta personale. Quelli che sono stati abusati hanno avuto già le loro voci e le loro scelte strappate via da loro.

Ora è il momento per gli altri di ascoltare apertamente e onestamente le vittime. Ora è il momento di onorare i sopravvissuti per il coraggio che ci vuole per dire le loro verità, invece di porre loro richieste irrealistiche.

La responsabilità può assumere molte forme. Per alcuni può essere un’ammissione da parte della Chiesa che i preti che hanno abusato e che quelli che non hanno fatto nulla per fermarli non sono stati all’altezza degli insegnamenti di Gesù. Per altri, può essere il riconoscimento che la Chiesa si è preoccupata più della sua reputazione che delle persone che sono state abusate. Altri diranno che significa accettare la dolorosa realtà che le vite dei bambini sono state distrutte. Tutte queste cose sono importanti, ma non sono sufficienti.

Ascoltare le vittime, camminare con loro

Le vittime stanno dicendo che è tempo di camminare con noi, di ascoltarci, di includerci, di essere con noi, di smettere di negare la nostra esistenza, di smettere di dire che tutto questo appartiene al passato, di fermare il ciclo di dolore in cui le vittime si trovano così spesso intrappolate.

Non è più possibile che i colleghi del clero e i vescovi dicano che non sapevano che l’abuso ha causato ferite e danni gravissimi. Non è più possibile che coloro che siedono nei banchi delle nostre chiese dicano di non sapere.

È ora di smettere di minimizzare l’abuso come “solo alcuni casi” e accettare la realtà che le vittime/sopravvissuti vivono con il dolore dell’abuso dal momento in cui sono state toccate per la prima volta fino al giorno in cui esalano il loro ultimo respiro. Una volta che le persone accettano questa realtà, inizia il processo di responsabilità.

Che aspetto ha la responsabilità nella Chiesa? Si tratta di politiche chiare, strutture e vie di ricorso. Si tratta di basare tali politiche sulle migliori pratiche che saranno usate in modo positivo e vivificante per le vittime, le loro famiglie e la più ampia comunità della Chiesa.

Si tratta di assicurare che le strutture della Chiesa siano basate sui principi fondamentali del vangelo di Gesù: principi di accoglienza e di ricerca delle persone profondamente ferite, camminando con loro invece di cercare di metterle a tacere. Si tratta di entrare in dialogo, non importa quanto doloroso, per trovare un ricorso appropriato e la giustizia per tutti coloro che sono stati colpiti dagli abusi sessuali del clero. Soprattutto, significa anche non fare nessuno di questi passi senza l’input diretto dei sopravvissuti, al fine di guidare e dirigere la Chiesa in tutte le questioni relative agli abusi sessuali del clero.

Processi pastorali

Responsabilità significa capire che le vittime non hanno bisogno di un processo legale attraverso la Chiesa, ma di un processo pastorale che sia radicato nella cura, nella compassione, nell’attenzione e nella comprensione per coloro che si fanno avanti.

Significa usare una prospettiva olistica e informata sui traumi per permettere alle persone che si fanno avanti di condividere ciò che è successo loro in un processo aperto, onesto e senza giudizi. Significa evitare che il clericalismo entri nel processo di definizione, comprensione e valutazione delle dichiarazioni riguardanti l’abuso.

Significa anche capire che il clero detiene un’incredibile quantità di potere e che l’abuso sessuale del clero non riguarda solo un’attività sessuale profondamente inappropriata, ma una manifestazione devastante dell’abuso di quel potere.

Responsabilità significa imparare a camminare con le vittime. A volte questo significa semplicemente sedersi con noi in silenzio, o essere con noi in un momento molto buio. Si tratta di capire l’incredibile dolore e il tormento con cui le vittime lottano per farsi avanti, e sostenerle in modo positivo attraverso il processo, compreso il supporto a lungo termine che inizia nel momento in cui una persona presenta una denuncia.

Significa non dire più a una vittima che “abbiamo stabilito che dovresti essere in grado di guarire in un certo numero di sessioni di consulenza”, ma chiedere invece di cosa hanno bisogno le vittime e sostenerle emotivamente, spiritualmente, fisicamente e psicologicamente per guarire il più possibile.

Alla fine, la responsabilità riguarda ciò che molti cattolici credono sia la vita: vivere il vangelo di Gesù e la missione della Chiesa, cercando i feriti e camminando con loro nella loro ferita. Noi cattolici, siamo chiamati a fare non  meno di questo.

  • Pubblicato sulla rivista dei gesuiti statunitensi America.
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