Assemblea CEI: digitare populismo

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L’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (CEI, Roma 21-24 maggio) si è avviata, come è ormai d’abitudine, con l’incontro con papa Francesco (cf. «Francesco alla CEI: tre preoccupazioni», Settimananews.it, 21 maggio). Tre le emergenze da lui sottolineate: la crisi delle vocazioni (con il suggerimento di mettere a disposizioni preti per le aree più disagiate), la gestione dei beni della Chiesa (ad evitare scandali difficilmente superabili) e la riduzione delle diocesi (226), riprendendo un’osservazione da lui fatta fin dal 2013 (“Ridurre le diocesi. Perché?”, Settimananews.it, 24 maggio).

Nell’ampio dibattito che ne è seguito, a porte chiuse, è stato il tema delle diocesi ad avere la meglio. Molti gli inviti alla cautela. Troppo forte il legame col territorio e la storia per decisioni amministrative non comprensibili per la gente. Oltre alle difficoltà tecniche e formali si aprirebbero contenziosi non facilmente gestibili. Il lavoro già compiuto dalle conferenze episcopali regionali si è arenato su questi punti.

Anche se il nunzio, mons. Emil Paul Tscherrig, spinge per una decisione in merito, la preoccupazione più diffusa è quella di non ferire la prossimità dei pastori, di non sprecare il senso di appartenenza alla Chiesa che è caratteristico delle piccole diocesi.

Alla fine il papa non ha insistito e anche i suoi collaboratori più vicini sembrano orientati ad attendere che siano le diocesi interessate stesse a chiedere maggiori collaborazioni o a indicare l’accorpamento più condiviso.

Fra le questioni sollevate (una ventina) dai vescovi, il richiamo alla mafia (i mafiosi sono fuori dalla comunione ecclesiale) e agli abusi.

La percezione del papa è che si passerà dall’accusa sulla pedofilia e quella più generica di omosessualità. Consigliando particolare prudenza nell’accettare in seminario ragazzi di questa tendenza. Un clima molto sereno e diretto per un incontro coi 223 vescovi (oltre ai 39 emeriti) che è durato circa tre ore.

Più domande che risposte

La relazione del presidente, card. Gualtiero Bassetti, ha citato, come sempre, i nuovi arrivati, gli emeriti e i vescovi morti nell’anno, enunciando il tema delle giornate: “Quale presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo”.

La parte più corposa del suo intervento si è concentrata sui cambiamenti politici e civili in atto nel paese. La forma delle domande ha superato di gran lunga quella delle affermazioni, a conferma di uno “spiazzamento” che l’episcopato condivide con gran parte del ceto dirigente di questo paese di fronte al trionfo delle tendenze populiste. Una crisi economica decennale tamponata, ma non risolta, ha avuto «effetti pesanti anche in politica, effetti visibili nella situazione di stallo e di confusione di ruoli che ha segnato l’avvio di questa legislatura».

«Ma non credete, cari confratelli, che anche nel contesto attuale ci siano ragioni fondate per dire che la partita non è persa? Non credete che le radici siano buone e il paese più sano di come spesso lo si dipinga?» E allora «perché il dibattito tra noi è così stentato? Di che cosa abbiamo timore?».

Il richiamo alla tradizione del cattolicesimo politico di Luigi Sturzo a cent’anni dall’Appello ai Liberi e Forti e a testimonianze straordinarie come quella di Giuseppe Toniolo dovrebbe aiutare le nostre Chiese a capire perché vecchi partiti si sono sgretolati e nuovi soggetti sono venuti alla scena, mettendo a frutto una tradizione e rinnovando l’azione educativa della Chiesa.

«Credo che, con lo spirito critico di sempre, sia giunto il momento di cogliere la sfida del nuovo che avanza nella politica italiana per fare un esame di coscienza e, soprattutto, per rinnovare la nostra pedagogia politica e aiutare coloro che sentono che la loro fede, senza l’impegno pubblico, non è piena».

Il punto di riferimento istituzionale più apprezzato è la presidenza della Repubblica e l’orizzonte più convincente è quello europeo. Ha ricordato che l’Italia è cofondatrice dell’Europa unita. Aggiungendo un’attenzione al Mediterraneo e a quanto avviene nelle sue sponde a Sud. L’ipotesi di un Incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo ha convinto l’intera assemblea.

Nell’insieme, un quadro di riferimenti condivisi (storia – presidenza della Repubblica – Europa – Mediterraneo), senza entrare nel vivo delle questioni che i populismi vincenti pongono a quei riferimenti. In parte, per carenza di categorie interpretative (cf. l’intervento di M. Magatti su Avvenire del 24 maggio), in parte per evitare che all’interno stesso dei vescovi emergano quanto le idee populistiche e la mutazione antropologica in atto negli ultimi decenni manifestino la loro potenza divisiva.

Un piccolo segnale è arrivato dall’aggiornamento richiesto dal nuovo regolamento dell’Unione Europa in materia di protezione dei dati personali. Sia la presentazione che i primi interventi hanno fatto scattare il pregiudizio anti-Bruxelles, prima che qualcuno ricordasse l’avvenuta recezione di tutte le conferenze episcopali interessate e della Santa Sede. Non si tratta di disciplina vessatoria, ma della collocazione di singoli e istituzioni nel nuovo contesto informativo.

L’approccio polemico e ideologico del Consiglio della Conferenze episcopali europee (CCEE), sovente ricordato dal suo attuale presidente, card. Angelo Bagnasco, è più immediatamente condiviso rispetto all’appoggio istituzionalmente e culturalmente più avvertito della Comece (Commissione degli episcopati dell’Unione Europea) che non trova spazi adeguati di informazione nelle riunioni episcopali.

Da strumenti ad ambiente

Il tema principale dell’assemblea ha riguardato la presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo.

Lo sforzo sia della preziosa relazione introduttiva di Pier Cesare Rivoltella, sia del lavoro di preparazione dell’Ufficio comunicazioni, sia degli animatori dei gruppi (giornalisti operanti nei media di riferimento della CEI) era volto a produrre uno scatto fondamentale. Non si tratta più di rafforzare, secondo un’ottica strumentale, i propri media di riferimento e, tantomeno, di demonizzare l’informazione religiosa prodotta dai media laici, ma di capire l’attuale scena della comunicazione in cui la società dell’informazione diventa società informazionale. Dove il digitale non solo la caratterizza, ma la costituisce. E come questo passaggio suggerisca di usare le nuove tecnologie non per dividere e isolare le persone, ma per fare il contrario, per costruire le comunità, grazie al Vangelo e ai suoi valori.

Una pastorale di questo livello conduce a pensare i media non più come strumenti, ma come tessuto connettivo. «I media diventano opportunità di legami, nuovi o da riannodare», la «comunicazione diventa orizzonte, disintermediata», i laici son chiamati «a un nuovo senso di responsabilità» (Rivoltella).

I lavori di gruppo, come spesso in questi casi, hanno la funzione di creare un linguaggio comune, un’attenzione condivisa, un invito a superare le resistenze psicologiche e della propria tradizione culturale.

La relazione finale di mons. Giovanni D’Ercole ha avuto un tono conciliante e pedagogico, facendo emergere quanto i nuovi tempi richiedano e come la preparazione in merito non possa più essere semplicemente delegata. «Tra le proposte emerse – si dice nel comunicato finale – l’investimento in una formazione progressiva, sostenuta con la realizzazione di contenuti digitali di qualità e materiale didattico. Un’ipotesi percorribile concerne l’opportunità di valorizzare, integrandolo saggiamente, il direttorio Comunicazione e missione». «In sintesi, dai vescovi è emersa la necessità e la fiducia di saper individuare in questo contesto nuove prospettive per essere comunità cristiana viva e attrattiva».

Cambiamento veloce

Una prospettiva esigente sia per quanti lavorano nei media di proprietà ecclesiale, sia per il cambiamento di mentalità che tutto ciò richiede. Sul primo aspetto rimando a quanto papa Francesco ha detto ai dipendenti di Avvenire il 1° maggio: «Certamente, nella vostra “cassetta degli attrezzi” oggi ci sono strumenti tecnologici che hanno modificato profondamente la professione, e anche il modo stesso di sentire e pensare, di vivere e comunicare, di interpretarsi e relazionarsi. La cultura digitale vi ha chiesto una riorganizzazione del lavoro, insieme con una disponibilità ancora maggiore a collaborare tra voi e ad armonizzarvi con le altre testate che fanno capo alla Conferenza episcopale italiana: l’agenzia Sir, Tv2000 e il circuito radiofonico InBlu. Analogamente a quanto sta avvenendo nel settore comunicazione della Santa Sede… Questa trasformazione richiede percorsi formativi e aggiornamento, nella consapevolezza che l’attaccamento al passato potrebbe rivelarsi una tentazione perniciosa».

Per il cambiamento di mentalità rimando ad una nota di don I. Maffeis ai direttori degli uffici diocesani delle comunicazioni sociali quando indica le attenzioni necessarie. «Innanzitutto, sviluppando senso critico, necessario per una ricerca sincera della verità… La verità ha a che fare con la vita intera, è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere, per cui “l’uomo scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in se stesso come fedeltà e affidabiltà di chi lo ama” (papa Francesco). Di qui la nostra cura per le relazioni. Il contesto di forte socialità della Rete ci trova tutti a condividere in tempo reale le nostre biografie individuali… Infine, la disponibilità e fiducia a educare ancora. Rispetto all’orizzontalità a cui la Rete ci consegna, non ci sentiamo detronizzati, né impotenti o rassegnati, ma pronti a riconoscerci partecipi del percorso di crescita delle persone che la vita ha affidato alla nostra responsabilità».

All’assemblea è stato ufficialmente resa nota la nascita del nuovo portale www.ceinews.it (10 maggio) che nasce «soprattutto per rispondere all’esigenza di approfondire la posizione della Chiesa italiana su tematiche legate al dibattito publico, quali la vita, la famiglia, il lavoro. L’obiettivo è quello di partire dalla notizia per andare oltre la notizia e offrire percorsi di senso, aggregando contenuti in base a una linea editoriale».

È stata anche resa pubblica la ripartizione delle somme derivanti dall’otto per mille (anno 2018): esigenze di culto e pastorale 335.473 (in migliaia di euro); interventi caritativi 275.000; sostentamento del clero 367.500.

Infine, due nomine di rilievo. Erio Castellucci, vescovo di Modena, diventa presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi; Domenico Pompili, vescovo di Rieti, presiederà la Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali.

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