Polonia: l’attivismo dei vescovi

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L’episcopato polacco si è esposto in due iniziative internazionali. Il 14 febbraio ha scritto ai responsabili delle confessioni cristiane coinvolte nel dramma ucraino per invitare tutti alla preghiera.

Il 22 febbraio ha inviato una lunga lettera per ammonire l’episcopato e la Chiesa tedesca rispetto ai temi affrontati nel sinodo nazionale.

Iniziative anomale, coraggiose, ma non prive di ambiguità. E, finora, senza risultati. Per ambedue i casi c’è un precedente importante che giustifica il gesto.

Per l’invito alla confessioni cristiane slave il riferimento è al documento condiviso dalla Chiesa ortodossa russa e da quella polacca, firmato il 17 agosto 2012 dall’allora presidente dei vescovi, Jozef Michalik, in occasione della prima visita in Polonia di un patriarca russo (Cirillo).

Il secondo prende origine dalla famosa lettera dei vescovi polacchi in concilio. Rivolgendosi ai vescovi tedeschi nel 1965, offrirono e chiesero perdono per le disumanità esperimentate dai due popoli durante la seconda guerra mondiale.

Varsavia, Mosca e Kiev

Nel recente invito alla preghiera, sorretto dall’angosciosa passione e dall’urgenza di molti dei recenti appelli di figure religiose, il presidente dell’episcopato polacco, Stanislaw Gadecki, scrive: «La guerra tra Russia e Ucraina sarebbe resa ancora più drammatica dal fatto che si tratta di due nazioni cristiane e slave. Dal punto di vista umano e da quello di Dio queste due nazioni diverse dovrebbero unirsi molto e tendere non all’odio ma al rispetto e all’amicizia reciproci».

Fra Russia, Polonia e Ucraina «siamo legati da una storia comune e dalla santa fede cristiana» e quindi preghiamo insieme «con fervore Colui che è pace per scongiurare lo spettro di un’altra guerra nella nostra regione».

Pochi giorni dopo si è aperto il conflitto. La risposta evasiva del metropolita Hilarion ha suggerito a Gadecki di scrivere una nuova lettera a Cirillo per invitare Putin a «mettere fine alla lotta insensata con il popolo ucraino», facendo «appello ai soldati russi affinché non partecipino a questa guerra ingiusta».

Diverso il tono e il consenso nella piattaforma comune del 2012. L’urgenza del perdono e della comprensione reciproca, la condivisa esperienza della repressione del comunismo ateo, le sfide comuni (si ricordano le urgenze etiche dell’aborto, dell’eutanasia, delle unioni omosessuali, del consumismo, del rifiuto dei valori della tradizione), supportano la reciproca testimonianza per il Vangelo.

Il cenno molto rapido al tema pace-guerra si regge sulla consapevole diversità del rapporto con il potere statale delle due tradizioni: dialettico quello cattolico, armonico quello ortodosso.

L’impianto tradizionale dei valori (non negoziabili) sembra il vero legame dei due interlocutori, ambedue oppositori della liberalizzazione occidentale. Con l’esito della rimozione della questione dei diritti umani e dell’afasia sulla guerra (che allora sembrava fuori dell’orizzonte).

Varsavia – Bonn: fronti rovesciati

Assai ampia e argomentata la lettera «di fraterna sollecitudine» del presidente dei vescovi polacchi al presidente dei vescovi tedeschi, Georg Bätzing.

Dal 1965 funziona un gruppo di contatto fra i due episcopati e sono numerose le reciproche visite. In nome di questa consuetudine, mons. Gadecki esprime nella lettera la «profonda preoccupazione e turbamento per le informazioni provenienti di recente da alcuni ambienti della Chiesa cattolica in Germania».

In particolare delle discutibili tesi emerse e votate (ma non ancora definitive) dalle assemblee sinodali. Esse riguardano l’identità sessuale (omosessualità, convivenze ecc.), il complesso di inferiorità del credente rispetto alla cultura laica ambientale, la logica aziendale più che evangelica del corpo ecclesiale, la modifica del ruolo presbiterale (viri probati e donne preti), le benedizioni alle coppie omosessuali, l’autorità e la responsabilità della gerarchia (cf. SettimasnaNews, qui).

Sullo sfondo: la tentazione di “aggiornare” il Vangelo secondo l’ordine del giorno del mondo, di un consenso acritico a quanto è presentato nella forma “scientifica”, il cedimento alla forza della cultura mediale condivisa, la progressiva aderenza all’idea dell’indistinzione sessuale, l’assimilazione del popolo di Dio al popolo della democrazia. In altri termini, la svendita del Vangelo, della sua originalità e della sua profezia critica. «La crisi contemporanea della Chiesa in Europa è soprattutto una crisi di fede. Per parlare di Dio, dobbiamo prima parlare a Dio».

Se una voce episcopale come quella di W. Ipolt, vescovo di Görlitz, ha condiviso i richiami, molto più numerose le voci critiche. «Lo stile della lettera – ha annotato K. Pfeffer, vicario generale ad Essen – è caratterizzato da un antimodernismo prevedibile e fortemente clericale», incapace di valorizzare il cammino storico e scientifico, di prendere atto del peso degli abusi sessuali, nell’ingenua fiducia non tanto al Vangelo quanto ai principi non negoziabili e alla loro pretesa verità assoluta.

Più dirette le parole della presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (co-organizzatore sinodale assieme ai vescovi), Irme Stetter-Karp. Ha suggerito a mons. Gadecki di porre attenzione a quanti, e sono numerosi, nella Chiesa polacca condividono e apprezzano le posizione sviluppate dal sinodo tedesco. Situazione che suggerisce un atteggiamento di reciproca alimentazione nel confronto, nella ricerca e nella comprensione. Il dialogo proseguirà.

Sapersi ascoltare

La forza della lettera dei vescovi polacchi del 1965 era l’ancoraggio al vissuto conciliare del Vaticano II e l’anticipo profetico rispetto al cammino dei due popoli in un ethos di riconciliazione e di rispetto. Durissima e strumentale la reazione del governo polacco. Piena di ritrosia e prudenza quella dei vescovi tedeschi, non ancora pronti a riconoscere i confini geografici successivi alla seconda guerra mondiale.

Ora le situazioni sembrano rovesciate. I vescovi tedeschi, incalzati dalle conseguenze del dramma degli abusi e dei processi di secolarizzazione sociale, chiedono a sé stessi e alla propria Chiesa di affrontare nodi importanti per il futuro annuncio evangelico, mentre i vescovi polacchi appaiono abbarbicati ad un moderatismo ecclesiastico più rispettose di norme di pretesa assoluta che al vissuto del loro popolo e della loro Chiesa.

Questo non toglie che la buona consuetudine con la Chiesa ortodossa russa, da sollecitare in ordine a temi necessari come l’autonomia evangelica rispetto al regime e alle sue pazzie belliche, e la denuncia del narcisismo individualistico dell’Occidente, non abbiano ragioni per essere riconosciute.

Nella “resistenza” dei popoli e delle Chiese europee centro-orientali vi sono elementi da valorizzare. La generosità dei polacchi nell’accogliere i fuggitivi dall’Ucraina (in Polonia sono già oltre un milione quelli stabilizzati) mostra la generosità dell’ethos condiviso e la necessità di testimoni piuttosto che di inflessibili maestri.

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