Bosnia ed Erzegovina: la Chiesa locale e il paese

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Franjo KomarikaIntervista a mons. Franjo Komarika, vescovo di Banja Luka in Bosnia ed Erzegovina, a cura di Lorenzo Prezzi. Un’istantanea sulla condizione del paese; la sofferenza della comunità cattolica e il suo ruolo nel processo di riconciliazione; interessi internazionali più o meno occulti che spingono a mantenere una lacerazione civile tra i gruppi etnici della popolazione; la drammatica prospettiva di un nuovo conflitto balcanico e le responsabilità della comunità internazionale. Mons. Komarika offre una testimonianza degli eventi e delle prassi quotidiane, indicando l’impegno della sua diocesi e delle Chiese locali per generare processi di riconciliazione e pacificazione. Un cattolicesimo dimenticato dai più, radicato in una delle zone più instabili dello scacchiere mondiale, solo a poche ore di macchina dal confine italiano…

 – Nel contesto bosniaco e nei paesi vicini è in atto un complicato gioco geopolitico e religioso. L’interesse della Russia, d’intesa con la Chiesa ortodossa, da un lato e dall’altro quello dei paesi islamici (in particolare Turchia e paesi del Golfo), spingono per una purificazione etnico-religiosa dei territori, mettendo in difficoltà le minoranze, fra cui quella cattolica. Potrebbe spiegare questo complicato intreccio?

In primo luogo, vorrei ringraziare SettimanaNews per questo interesse che mostra per noi in Bosnia ed Erzegovina.

Da quando è stato firmato l’Accordo di Pace di Dayton (21 aprile 1995), i membri della Conferenza episcopale della Bosnia ed Erzegovina hanno rivolto numerosi appelli e avvertimenti ai rappresentanti politici internazionali, a quelli della Chiesa cattolica in Europa e ai politici locali. La sostanza di questi interventi riguarda il fatale ed egoistico errore che venne compiuto allora, con la conseguenza di uno sradicamento dei cattolici in Bosnia ed Erzegovina. Questa condizione non rende attualmente possibile un futuro umanamente degno e stabile per gli abitanti della Bosnia ed Erzegovina.

Popolazione cattolica: impedita a tornare

Innumerevoli volte i singoli vescovi, qui e all’estero, hanno lanciato chiari segnali per denunciare una situazione in Bosnia ed Erzegovina nella quale, dopo la guerra degli anni ’90, in molti casi i criminali di guerra sono stati premiati e le loro vittime punite nuovamente.

Accordop Dayton

Firma dell’accordo di Dayton

I rappresentanti internazionali presenti sul territorio del paese vanno avanti secondo il motto «tanto peggio, tanto meglio»: tanto peggiora la situazione per le persone private dei loro diritti, tanto meglio va per questi rappresentanti.

Per questo la situazione nel paese, dal punto di vista politico e sociale, è oggi peggiore e più pericolosa di quella vissuta negli anni immediatamente seguenti la guerra.

Particolarmente precaria è la condizione in cui si trova la popolazione cattolica locale. Questo perché nell’entità Repubblica Srpska, a causa della pulizia etnica durante la guerra, da un lato, e, dall’altro, della permanente ostruzione a un suo ritorno permanente da parte dei politici (organizzata ad arte, facendo mancare le condizioni politiche, giuridiche e materiali per molti dei cattolici privati dei loro diritti), vive attualmente solo il 5% dei cattolici che vi erano presenti prima della guerra. Questo nonostante il fatto che essi formalmente facciano parte della costituente popolazione croata. Due terzi della mia diocesi, che si trovano all’interno di questa entità, sono praticamente divenuti un «reliquiae reliquiarum».

In Bosnia ed Erzegovina, l’altra entità risultata dagli accordi di Dayton, a livello complessivo di entità il potere è in mano ai bosniaci (musulmani). I croati locali (cattolici) sono al potere in coalizione con altri soggetti politici in tre cantoni e alcuni comuni.

A causa di un’ingiusta distribuzione del potere politico, che mina le condizioni di sicurezza giuridica per tutti e un’effettiva eguaglianza costituzionale tra tutti i cittadini, molti abitanti lasciano il paese. Tra di essi vi sono molti croati (cattolici) che provengono dalla Federazione di Bosnia ed Erzegovina. Per quanto riguarda la Repubblica Srpska, gran parte dei pochi cattolici rimasti sono vecchi e anziani.

Due entità, uno stato

Per quanto riguarda il rapporto tra le due entità, si può dire che i serbi con la loro entità della Repubblica Srpska e i bosniaci della Federazione di Bosnia ed Erzegovina coltivano tra di loro relazioni caratterizzate da un equilibrio della paura.

È a questo livello che vi sono ancora risorse economiche, gestite da ciascuno dei due governi delle entità. Il Consiglio dei ministri, invece, che opera a livello statale, non ha a disposizione fondi finanziari se non per l’esercito. Quindi, anche in questa dimensione politico-economica i croati rimangono senza possibilità e prospettive – questo anche a causa di quell’equilibrio della paura di cui parlavo prima.

bosnia-erzegovinaLe forze internazionali non volevano, e non vogliono tuttora, fare della Bosnia ed Erzegovina un modello statale ben funzionante (secondo un quadro confederativo ben chiaro, come quello della Svizzera ad esempio). Piuttosto, vogliono mettere addosso a questo stato internazionalmente riconosciuto una sorta di «camicia di forza» (Alto Rappresentante W. Petrisch).

Non mi ha sorpreso, quindi, quando nell’estate dello scorso anno in un incontro all’Ambasciata americana presso la Santa Sede mi è stata rivolta la seguente domanda: «Sotto chi volete vivere voi in Bosnia ed Erzegovina come cattolici? Meglio Putin o Erdogan?».

Come già accaduto, si prendono delle decisioni senza chiedere prima a noi quale sia la misura della realtà.

Cattolici in condizione di minoranza: il ruolo della Caritas

Lo Stato della Bosnia ed Erzegovina è una sedia con tre gambe; con questo voglio dire che senza i croati locali (cattolici) non si può dare consistenza a questo stato. E questo esito è proprio quello che non vogliono, egoisticamente, alcune potenze mondiali (preferendo favorire questa perdurante instabilità dello stato facendo leva sull’accolitato di funzionari politici locali)

– Per la condizione di minoranza, ma soprattutto per l’ampia azione educativa e caritativa, la Chiesa cattolica locale vuole salvaguardare il carattere interreligioso e inter-entico del paese attraverso un considerevole aiuto della carità. Potrebbe indicarne alcune forme? Come perseguire la riconciliazione delle memorie? Potrebbe raccontare alcuni percorsi personali di riconciliazione?

Ogni progetto della nostra Caritas prende in considerazione gli appartenenti a tutti i gruppi di popolazione locale e a tutte le religioni. Con questi progetti ci eravamo riproposti sia di aiutare le persone in situazioni di bisogno e difficoltà, sia di mitigare l’odio e di collaborare così alla riconciliazione e alla coesistenza pacifica.

Gli aiuti che porta la nostra Caritas si rivolgono ai bisogni concreti delle persone e delle famiglie, chiunque esse siano. In merito, voglio ricordare che possiamo fare questo grazie al prezioso sostegno della Caritas Italiana e delle Caritas di alcune diocesi italiane.

Si tratta di attività caritative molto ampie, che vanno dai primi aiuti per la nuda sopravvivenza ai tempi della guerra e immediatamente dopo la sua fine, e arrivano fino a oggi (ad esempio distribuzione mobile di pasti, cura quotidiana sulla vita degli anziani, attenzione alle persone sole, e così via). Ma non ci fermiamo qui. Siamo attenti e ci facciamo carico di famiglie povere, con molti bambini – per i bambini più poveri abbiamo programmi di adozione a distanza dall’estero, ad esempio.

Un altro problema sono i disoccupati, e qui cerchiamo di offrire attività di formazione all’apprendimento di altre attività lavorative. Insomma, siamo qui per tutti: per i vecchi e i malati, per i bambini poveri (preoccupandoci della loro formazione scolastica e offrendo loro anche luoghi educativi).

Nella casa della nostra Caritas che accoglie persone anziane la maggior parte degli ospiti non sono cattolici. Anche i collaboratori e dipendenti della Caritas appartengono a diversi gruppi della popolazione e sono di religioni diverse. Tra di loro vi è una buona atmosfera di fiducia reciproca, disponibilità all’aiuto vicendevole e rapporti di amicizia.

Costruire ponti

Tutto questo, insieme ad altre nostre iniziative in ambito educativo e pedagogico anch’esse interetniche e interreligiose, mostra che le persone che vivono qui possono vivere e collaborare in pace quando la loro dignità umana e i loro diritti umani vengono rispettati; insomma, quando si assicurano i presupposti necessari per la vita.

La nostra esperienza è che sono proprio i «piccoli», la gente comune, a trovare in fretta una strada verso gli altri (a prescindere da appartenenze etniche e religiose), mostrando così la loro espressa volontà di voler vivere in pace.

Ma abbiamo anche esperienze dei tempi della guerra e dell’immediato dopo-guerra dove politici e mezzi pubblici di comunicazione si sono opposti a queste forme riconciliate di coesistenza, e hanno usato ogni occasione possibile per mostrare che la pace e il vivere-insieme tra i vari gruppi della popolazione non sono possibili.

Questi soggetti mettono in campo strategie per indottrinare la maggioranza della popolazione; e, poiché hanno il potere necessario per farlo, avvelenano l’atmosfera della coesistenza tra gruppi diversi della popolazione impedendo lo sbocciare dei semi positivi presenti nella nostra società – soprattutto fra le generazioni più giovani.

Il peso del passato

– A causa della guerra e delle emigrazioni la comunità cattolica della sua diocesi è fortemente diminuita. Eppure, la sua storia è molto antica. Può esserci un futuro della Bosnia senza la presenza cattolica?

guerra civile 1991-1999Manca un’elaborazione del passato, la disponibilità a riconoscere i misfatti e crimini compiuti – questo tra i politici, tra i perpetratori e anche in ampi settori della popolazione.

Le ragioni sono molteplici: la permanente ingiusta suddivisione del paese; poi il fatto che non vi è una volontà di indagare obiettivamente e di percepire in quanto tali gli spietati crimini contro l’umanità e contro i diritti umani che sono stati compiuti (per non parlare di giungere a delle sanzioni giudiziarie). Questo vale soprattutto per i due schieramenti nemici tra i gruppi della popolazione, ossia serbi e bosniaci.

Per questa ragione gli sforzi messi in campo finora per raggiungere una vera riconciliazione hanno preso le mosse, in primo luogo, dai cattolici. Senza grande successo, purtroppo. La maggioranza dei cattolici, fin dal tempo della loro prima educazione, sono stati sempre molto più aperti verso il perdono e la riconciliazione con i loro vicini. Questo lavoro di riconciliazione, però, non è stato voluto da coloro che detenevano il potere e che, al tempo stesso, hanno impedito nel corso degli anni il ritorno dei cattolici ben disposti a rapporti pacificati.

Non ci si può attendere un futuro sicuro a lungo termine per la Bosnia ed Erzegovina come stato senza i cattolici; a meno che non si voglia sottomettere l’intero paese al dominio di una grande potenza (Turchia o Russia).

In sintesi: al posto di un’area di pace durevole si vuole fare della Bosnia ed Erzegovina, anche da parte dei politici europei, una polveriera sempre pronta a esplodere. Questo a danno incalcolabile per le popolazioni locali e a discredito dei politici (internazionali e nazionali) negli ultimi decenni.

– Cosa è rimasto del periodo del regime comunista?

Quello che è rimasto è soprattutto una forma di pensiero chiusa in se stessa, che estromette gli altri, da parte dei politici locali. Siamo passati dall’unico esclusivo partito comunista a una serie di partiti esclusivi del tutto similari – che si preoccupano solo dei propri iscritti, favorendoli soprattutto quando si tratta di posti di lavoro anche se, per questi medesimi posti, ci sarebbero persone ben più competenti di quelle fedeli a questo o quel partito.

architettura comunista

Per quanto riguarda noi cattolici, il comportamento di alcuni politici è del tutto simile a quello dei peggiori periodi dell’era comunista. Proseguono le espropriazioni dei beni e delle istituzioni ecclesiali (anche chiese e conventi completamente distrutti). Contro la legge, da decenni non ci viene dato il permesso per ricostruire le chiese parrocchiali distrutte dalla violenza comunista (ad esempio la parrocchia di Drvar). Altri politici non vogliono restituirci i beni espropriati alla Chiesa cattolica durante il comunismo.

Questi stessi governi locali hanno, invece, già riconsegnato da lungo tempo alla comunità islamica e alla Chiesa serbo-ortodossa i beni che erano stati loro espropriati sotto il comunismo.

La propria storia e i profughi

– La Bosnia è uno dei passaggi privilegiati dei migranti che dal Medio ed Estremo Oriente puntano all’Europa, dopo essere passati dalla Turchia. Come affrontate la questione?

La gente in Bosnia ed Erzegovina ha vissuto sulla propria pelle cosa vuol dire essere espulsi, cacciati, dalla propria patria e dover vivere conseguentemente come profughi. I migranti e i profughi di oggi abbandonano i loro paesi di origine prevalentemente non perché desiderano farlo, ma perché sono costretti o obbligati ad andarsene.

A causa della guerra, del non rispetto dei diritti umani, per ingiustizia, a causa della povertà e delle condizioni di vita inumane.

A partire dalla nostra esperienza, sappiamo bene che i responsabili per il caos della guerra nei loro paesi e per le condizioni di vita disumane (simili a quelle vissute in Bosnia ed Erzegovina) sono sia i politici locali che la comunità internazionale – e, in particolare, alcuni stati particolarmente influenti sullo scacchiere mondiale. Questi responsabili perseguono solo i propri interessi egoistici e portano avanti una politica distruttiva in diverse parti del mondo.

Il primo e più urgente compito per tutte le forze positive e le istituzioni sarebbe quello di ripristinare una pace giusta e di creare le condizioni necessarie che consentano un ritorno dei profughi nei loro paesi di origine permettendo di tornare a vivere in essi in modo sicuro e degno.

Coloro che da mesi o anni sono in fuga da condizioni di vita inumane e alla ricerca della pace e di condizioni di vita migliori devono essere aiutati e soccorsi: sia da parte delle autorità civili, sia da parte delle nostre comunità ecclesiali e dalle organizzazioni della nostra Chiesa.

Come stato, la Bosnia ed Erzegovina è rimasta sostanzialmente sorpresa e impreparata davanti alle recenti ondate di profughi – sebbene questo fatto fosse abbastanza prevedibile nei suoi contorni di massima. Abbiamo dovuto assistere a un triste spettacolo. L’irresponsabilità nella maniera di procedere da parte degli organi civili competenti in merito. Uno scaricabarile continuo della responsabilità su altri, da un livello all’altro del potere amministrativo ed esecutivo. Spostamenti continui di profughi e migranti da una parte all’altra del paese. Insomma, la dismissione della propria responsabilità davanti ai profughi e ai migranti.

Le Caritas diocesane in Bosnia ed Erzegovina si sono attivate con impegno in diversi modi per sostenere e aiutare i profughi. Per esempio, la Caritas di Banja Luka nella scorsa estate, con l’aiuto di partner esteri, ha realizzato e aperto una grande lavanderia nel centro di raccolta profughi e migranti che si trova nella città di Bihac. Stiamo progettando altre forme di intervento e sostegno.

In ogni caso, è importante vedere in questi migranti e profughi, che per la maggior parte vogliono raggiungere l’Europa occidentale, degli esseri umani e non dei singoli sospetti o individui importuni. Sono persone, storie, e non generalmente gruppi di stranieri ed estranei o, peggio ancora, forze lavoro a basso prezzo.

La possibilità di una nuova guerra nei Balcani

– Le spinte alla pulizia etnica, gli interessi divergenti degli stati viciniori e delle potenze straniere, la difficile riconciliazione sociale: sono tutti elementi di grande pericolo. È possibile un nuovo conflitto nei Balcani?

A mio parere, questo viene intenzionalmente perseguito da parte di alcuni gruppi internazionali e dai loro associati locali. Si vuole incutere timore e generare paura nella popolazione locale, e spingere così il maggior numero di persone ad abbandonare il paese. Si creerebbe in tal modo uno spazio per la prossima grande migrazione di popoli interi dal Medio Oriente e dall’Africa, diretti verso l’Europa.

Molte volte, in ogni occasione nel corso di colloqui con politici e diplomatici sia europei che statunitensi, ho messo in guardia davanti al fatto che con la loro prassi inumana stanno gettando (consapevolmente) le fondamenta per un nuovo conflitto balcanico. Sovente ho l’impressione che siano non solo consapevoli ma anche, da ultimo, consenzienti.

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