Budapest: sulle persecuzioni

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«Abbiamo 245 milioni di buone ragioni per essere qui. Tante quante sono le persone perseguitate ogni giorno per la loro fede cristiana». Sono le parole del segretario di stato ungherese per l’aiuto ai cristiani perseguitati, Tristan Azbej, in occasione della seconda conferenza internazionale sulla persecuzione anti-cristiana (la prima fu nel 2017). Si è svolta dal 26 al 28 novembre a Budapest con 650 presenze da 40 paesi diversi.

L’evento si è svolto in coincidenza con il “mercoledì rosso”, un’iniziativa internazionale che il 27 novembre ha illuminato 223 chiese e monumenti nel mondo per ricordare la persecuzione dei cristiani. Dal Regno Unito al Portogallo, dagli USA alla Germania, dalla Polonia all’Italia cattedrali e costruzioni di impatto simbolico hanno assunto il colore del sangue.

«Ci unisce la causa dei cristiani perseguitati in Medio Oriente» ha ricordato il patriarca della Chiesa assira dell’Est, Gewargis II nel suo intervento a Budapest.

Il vescovo di Erbil (Iraq), Bashar Warda, ha richiamato la scarsa coscienza del problema da parte dei leader europei, elogiando Ungheria e Polonia come esempi positivi.

Il patriarca Ignazio Aphrem II della Chiesa siro-ortodossa di Antiochia ha rievocato le opzioni concesse ai cristiani nella guerra del Daesh: «Convertirsi all’islam, pagare una tassa o andarsene. Altrimenti sarebbero stati uccisi. Molti hanno deciso di fuggire. Non si sono soltanto dislocati altrove nel paese, ma l’hanno abbandonato. Stimiamo che il 90% dei cristiani abbia lasciato l’Iraq e il 50% la Siria».

Fra gli esponenti cattolici, ortodossi e protestanti di vari paesi (siriani, iracheni, libanesi ecc.) si possono ricordare: il vescovo cattolico-caldeo di Mosul, Najeeb Michaeel, il pastore J. Kassab, il pastore A. Brunson, il vescovo ortodosso armeno di Damasco Armash Nalbandian, i vescovi cattolici nigeriani di Sokoto e Maiduguri. Presenti anche il card. G.L. Mueller e il nunzio apostolico in Etiopia A. Camilleri.

Fra i temi affrontati: Responsabilità e riconoscimento del genocidio; Governi e Parlamenti per la promozione della libertà religiosa; Ruolo delle organizzazioni nella difesa delle minoranze religiose.

Nel suo intervento, il card. di Budapest, Peter Erdö, ha reso la complessità del fenomeno collocando la persecuzione religiosa dentro il quadro della storia e delle reazioni anti-coloniali e anti-occidentali. «Chiunque ha la possibilità di alzare la voce a favore dei perseguitati ha il dovere di farlo».

Il ministro degli esteri libanese ha richiamato l’urgenza di non alimentare l’islamofobia che indebolirebbe gli esponenti dell’islam moderato, favorendo la radicalizzazione degli altri.

Il richiamo all’evidenza delle persecuzioni anticristiane (cf. Prezzi, Persecuzioni: la litania infinita) e la critica per la resistenza culturale della macchina burocratica – peraltro efficiente – dell’Unione Europea sono elementi condivisibili.

Ambiguità politiche

Più discutibile l’utilizzo politico del tema da parte del governo ungherese. Viktor Orban che, nel contesto di un sovranismo populista, richiama con insistenza la matrice cristiana dell’Europa se, da un lato, opera positivamente in sette paesi a sostegno delle locali comunità cristiane, dall’altro, critica in forma generica l’Unione. Per lui le persecuzioni non sono solo un attentato ai diritti umani, ma perseguono l’eliminazione della presenza cristiana e mirano all’eliminazione della cultura che informa l’Europa. Col conseguente diritto di difendere e proteggere la cultura e lo stile di vita europeo, chiudendo le frontiere e alimentando la xenofobia.

Gli Orientamenti dell’Unione Europea per la libertà di religione e di credo del 15 gennaio 2019, la nomina di un Inviato speciale per la promozione della libertà di pensiero, di coscienza e di religione nel 2016, la denuncia contro lo sterminio delle minoranze condotta da Daesh nel 2016 e i “piani di azione” del Consiglio d’Europa nel 2015 sono segnali che testimoniano il contrario (cf. Prezzi, Persecuzioni: le istituzioni europee all’opera).

La legittima critica ai ritardi e all’incomprensione delle tradizioni popolari dell’Est come dell’Ovest dell’Unione Europea non impedisce di vedere l’ambiguità di alleanze “politiche” discutibili, come quella con V. Putin, presentato a Budapest come il difensore dei cristiani (30 ottobre) e affidabile compagno nella critica anti-europea (cf. Prezzi, Putin: “defensor christianorum”?).

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