Canada: i bambini nativi morti

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genocidio culturale

Rappresentanti dei popoli autoctoni o nativi del Canada sono attesi in Vaticano per il dicembre prossimo per testimoniare una vicinanza che la recente scoperta di un migliaio di resti di bambini e fanciulli nelle aree adiacenti alle istituzioni formative rette da religiosi, ha incrinato.

Dopo alcuni mesi di acceso dibattito pubblico il 24 settembre i vescovi del paese hanno dichiarato le proprie scuse per l’accaduto. «Noi, vescovi cattolici del Canada, riuniti in questi giorni nell’assemblea plenaria, approfittiamo del momento per dichiarare ai popoli autoctoni del paese il nostro riconoscimento della sofferenza vissuta nei collegi indiani del Canada. Numerose comunità religiose e diocesi cattoliche hanno operato in questo sistema che ha condotto alla soppressione delle lingue (originali), della cultura e della spiritualità autoctona, senza rispetto per la ricchezza storica, delle tradizioni e della sapienza dei popoli nativi.

Riconosciamo i gravi abusi commessi da alcuni membri della nostra comunità cattolica: fisici, psicologici, emozionali, spirituali, culturali e sessuali. Riconosciamo con tristezza anche il trauma storico e permanente come l’eredità sofferta e la sfida ancora aperta per i popoli autoctoni. Assieme alle istituzioni cattoliche direttamente implicate nel funzionamento dei collegi e che hanno già sinceramente presentato le loro scuse, come vescovi cattolici del Canada esprimiamo il nostro profondo rimorso e presentiamo scuse non equivoche».

Il programma di ingegneria sociale per l’assimilazione culturale dei popoli nativi che ha portato a forza in queste strutture scolastico-educative 150.000 bambini, un sesto della popolazione giovanile dei nativi, nell’arco di oltre un secolo (1831 – 1996) si è rivelato un genocidio culturale per le popolazioni originarie, meticce e inuit, lasciando dietro di sé il dramma di bambini e ragazzi che non sono sopravvissuti alle malattie e alla sofferenze.

Si parlava di 3.000 – 6.000 morti. Ora qualcuno ipotizza fino a 12.000 – 15.000. I 139 collegi o pensionati vennero decisi dallo stato e progressivamente affidati alle confessioni cristiane (anglicani, presbiteriani, protestanti e cattolici). La Chiesa cattolica copriva il 70% del fabbisogno e operava attraverso alcune diocesi e soprattutto grazie alle congregazioni religiose. In particolare Oblati di Maria e Servi di Maria. I religiosi condividevano in tutto la vita segregata dei nativi, comprese le restrizioni finanziarie, il sovraffollamento e il freddo.

Le sepolture anonime erano anche dovute al mancato sovvenzionamento dello stato del trasporto delle vittime alle famiglie di provenienza. Un inserimento e una vicinanza che in nessun caso giustificano le violenze, sessuali o meno, e la condivisione di un progetto genocidario che appare ora in tutta la sua violenza.

Reazioni violente

La macabra scoperta dei resti delle vittime a partire da maggio scorso ha acceso un’ondata di sdegno nel paese (cf. SettimanaNews: Genocidio culturale degli aborigeni; Genocidio culturale in Cananda: stato e Chiese; Canada: trauma dei popoli indigeni).

48 chiese sono state seriamente danneggiate (21 incendiate). Appartengono a cattolici, alla Chiesa unita del Canada (anglicani, presbiteriani e protestanti) ai copti cattolici e alla Chiesa dell’Alleanza vietnamita.

Non tutti furono ciechi. Il medico Peter Bryce denunciò nel 1907 le pessime condizioni sanitarie delle residenze e l’altissima mortalità. Solo nel 1996 fu nominata una commissione parlamentare d’inchiesta che diede una prima immagine complessiva della situazione, propiziando un accordo fra stato e Chiese a favore delle vittime nel 2006.

Due anni dopo l’intero Parlamento nazionale, convocato in sessione plenaria, chiese scusa della violenza complessiva del progetto educativo e degli abusi  fisici e sessuali. Nacque in questo contesto nel 2008 la Commissione verità e riconciliazione col compito positivo di favorire la purificazione della memoria e la valorizzazione della cultura indigena.

Una ricercatrice di archeologia medica, Kisha Supernant, che ha scoperto in età adulta di discendere da meticci, ha avviato la ricerca, attraverso radar geotermici, negli spazi adiacenti di un paio dei collegi, indicati dai ricordi dei sopravvissuti. A maggio ha reso noti i primi risultati: oltre un migliaio di resti umani. È piombata al centro del dibattito pubblico e è stata sommersa da richieste da parte delle popolazioni native. A tutti ha raccomandato di raccogliere le informazioni sui probabili siti e di mettere in atto sistemi di sostegno sociale ed emotivo per affrontare il trauma.

I passi della coscienza ecclesiale

La coscienza ecclesiale non ha anticipato le denunce, ma ha seguito la progressiva scoperta del «sistema educativo» e la crescente forza della consapevolezza delle popolazioni native.

Nel viaggio in Canada di Giovanni Paolo II, nel 1984, saltò a causa delle proibitive situazioni atmosferiche l’incontro con i nativi. Nel discorso a loro destinato vi è sì condivisione circa le ingiustizie compiute contro di loro dai nuovi arrivati, ma anche una sostanziale difesa dei missionari. «Per quante colpe e per quante imperfezioni essi abbiano avuto, per quanti errori essi abbiano commesso, per quanti danni involontariamente abbiano provocato, si danno ora pena di riparare. Ma accanto a questo arrivo impresso nella memoria della vostra storia, c’è la documentazione con infinite prove, del loro amore fraterno… I missionari rimangono fra i vostri migliori amici, dedicano la loro vita al vostro servizio, perché predicano la parola di Dio».

Nel 1991 gli Oblati di Maria Immacolata scrivevano: «Questi uomini e donne hanno creduto sinceramente che la loro vocazione e le loro azioni onoravano Dio e servivano ai migliori interessi dei popoli locali. La storia, in qualche misura, ha portato un giudizio crudele sui loro sforzi, malgrado la sincerità evidente e la generosità reale che li guidavano … Per questo, presentando le nostre scuse per gli effetti delle azioni di queste persone, vogliamo anche sottolineare la loro sincerità, le loro buone intenzioni e, in molti casi, la bontà delle loro azioni».

Benedetto XVI, nell’aprile del 2009, ha incontrato i responsabili dell’Assemblea delle nazioni autoctone del Canada esprimendo il proprio dispiacere per la «deplorevole condotta» di alcuni membri della Chiesa, esprimendo solidarietà ai nativi. Si augurò che tutti quelli colpiti «possano sperimentare un cammino di guarigione» incoraggiando le popolazioni indigene a continuare con rinnovata speranza.

Polemiche politiche

C’è stata una certa resistenza dei vescovi ad assumersi una responsabilità collettiva perché i contratti per la gestione delle strutture erano fatti dallo stato con alcune diocesi (16 su 70) e direttamente con le famiglie religiose. Non a tutti era chiaro il proprio, seppur indiretto, coinvolgimento. Superato solo ora. Nella discussione è emersa una sempre più esplicita richiesta di un intervento diretto del papa e una esplicita richiesta di perdono. Da parte dei rappresentanti dei popoli nativi, da parte dell’opinione pubblica e di alcuni ambienti cattolici.

Anche in questo caso le obiezioni frapposte erano quelle di non «saltare» la responsabilità prima dei vescovi e di non fornire copertura ad eventuali rivendicazioni economiche degli agguerriti studi di tradizione legale anglosassone, dove non risponde legalmente e penalmente, solo l’interessato, ma anche i suoi responsabili. È probabile che la situazione si chiarisca nel prossimo incontro a dicembre.

Un capitolo a parte è rappresentato dalla pressione del mondo politico sulla Chiesa e, in particolare, del primo ministro Justin Trudeau. Dopo aver chiesto scusa a nome dello stato, ha invitato i vescovi ad esercitare una reale leadership, superando le questioni delle responsabilità dirette e ha chiesto le scuse del papa invitandolo a visitare il paese.

Mons. Richard Gagnon, presidente della Conferenza episcopale ha risposto: «Per invitare il papa in un paese è necessario coinvolgere i vescovi. Non siamo stati coinvolti nelle richieste di J. Trudeau. Aveva certo buone intenzioni, ma non tutti i vescovi e non tutti i responsabili dei popoli nativi considerano le scuse alla stessa maniera e non tutti condividono la priorità di un viaggio del papa in Canada in questo momento».

Per alcuni si è trattato di una strategia diversiva: scaricare sulla Chiesa la responsabilità originaria dello stato. Lo storico J. Roullar ha fatto notare che la responsabilità ultima della politica assimilazionista e del finanziamento di queste istituzioni erano  in capo allo stato. Tanto più che l’appello i vescovi l’hanno letto sul The Guardian.

Al di là delle polemiche è auspicabile un percorso di corresponsabilità fra stato e Chiese. Anche sul versante dei contributi economici. La decisione dei vescovi, resa pubblica il 27 settembre, di destinare 30 milioni di dollari per sostenere le iniziative di riconciliazione coi sopravvissuti, le loro famiglie e comunità dovrebbe  attutire le polemiche circa i precedenti impegno economici presi dalla Chiesa cattolica che, a parere di alcuni, non sono stati integralmente versati, come hanno fatto le altre confessioni cristiane.

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