Card. Kasper, cosa ne pensa?

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Il card. Walter Kasper, pur essendo emerito a motivo dell’età (86 anni), conserva ancora tutta la sua freschezza umana, spirituale e intellettuale. Non solo ama la Chiesa con una fede schietta e coerente, ma ne segue anche la vita e l’evolversi degli avvenimenti. Spesso interviene direttamente su alcuni problemi cruciali, per questo è molto ricercato dai media desiderosi di conoscere il suo parere. La lunga intervista concessa a Lucas Wiegelmann, che qui riprendiamo in estratto, è stata pubblicata dalla rivista Herder Korrespondenz (marzo 2019) dell’editrice Herder. Dopo una prima parte dedicata ad aspetti più personali, come il suo amore per la musica (ha suonato il violino, il pianoforte e l’organo) e i suoi rapporti con i tre pontefici che ha servito (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco), e con gli altri cardinali, risponde ad alcune domande di grande attualità, come il problema della mancanza di preti, la questione dei “viri probati”, il celibato ecclesiastico, la morale sessuale nella Chiesa, e gli scandali degli abusi, aggiungendo, infine, alcune osservazioni riguardanti la vita pastorale nella Chiesa tedesca. È la parte che qui abbiamo ripreso.


 

– Card. Kasper, durante il volo di ritorno dal suo viaggio a Panama, il papa ha affrontato il problema dei “viri probati” per far fronte alla mancanza di preti. Una buona idea?

A me è sempre stato chiaro che papa Francesco non vuole toccare il celibato. Il celibato dei preti rimarrà la regola nella Chiesa e io sono d’accordo. La situazione della Chiesa, anche e soprattutto in Germania, non diventerà più facile. Abbiamo infatti bisogno di sacerdoti che siano dediti totalmente a questa causa e dedichino ad essa l’intera loro esistenza. In questo senso, il celibato è realmente una ricchezza, come afferma il papa, ed è impellente ravvivarne la comprensione. Sento sempre come un’offesa sentirmi dire: “Tu vivi un celibato forzato” – io ho sempre avuto coscienza di ciò che facevo. Quando fui ordinato avevo 24 anni. È un’età ancora giovane, ma sapevo di che cosa si trattava, e nessuno mi ha costretto o spinto ad accettarla. Sono stato io a volerlo. Anche se poi, nel corso della vita a volte diventa difficile, è la cosa più normale del mondo – è una realtà che si riscontra anche nel matrimonio.

Per quanto riguarda i viri probati: Francesco ha detto che occorre riflettervi. Lo penso anch’io. Ma questa riflessione dovrebbe cominciare col definire che cosa vuol dire viri probati. Con quali criteri li sceglieremo? Non possiamo accogliere chiunque lo voglia. Quale formazione teologica dovrebbero possedere? Come dovrebbero essere utilizzati, come volontari o a tempo pieno? Si potranno trasferire in caso di bisogno o rimarranno là dove hanno già la loro casa e la loro famiglia? C’è tutta una serie di importanti interrogativi che prima è necessario chiarire. Io credo che noi, in Germania, alla fine avremo dei viri probati in casi singoli. Soltanto una cosa: questa non è la soluzione alla mancanza di preti.

– Quale sarebbe allora?

Io non ho nessuna ricetta risolutiva e nessuno ce l’ha. Non sarebbe certo quella di abolire il celibato. In ultima analisi, è un mistero di Dio la decisione in coscienza di una persona di sentirsi pronta ad accogliere la chiamata. Le ragioni della mancanza di preti sono molteplici e non possono essere ridotte soltanto al problema del celibato. Una di queste, mi sembra, è il fatto che la vita concreta del prete, così come è oggi, non attira più un giovane spiritualmente impegnato. I preti hanno sulle spalle un cumulo enorme di lavoro amministrativo, devono occuparsi di sei parrocchie e anche più, e Dio sa quante riunioni devono organizzare. Bisogna cominciare di qui. L’amministrazione e l’organizzazione devono essere affidate a dei laici capaci. Ciò consente ai preti di disporre di spazi per dedicare più tempo al lavoro pastorale, al dialogo spirituale con le persone, alla preghiera personale e anche al perfezionamento teologico, oggi irrinunciabile. Perché io ho voluto diventare prete? La vocazione l’ho avvertita interiormente molto presto. Era per così dire insita nel mio cuore. Inoltre a Wangen (luogo natale del card. Kasper nel distretto di Ravensburg, Algäu, ndr) avevamo dei cappellani che mi erano piaciuti. Ce n’era uno che avrebbe potuto giocare magnificamente a calcio. Di conseguenza gli abbiamo creduto anche nel resto.

– I vescovi della Germania vogliono ora costituire dei gruppi di lavoro per discutere nuovamente del sacerdozio e di altri temi di lunga durata, celibato, morale sessuale, clericalismo e via dicendo. Lei ha altri suggerimenti per la riforma?

Sollevare ancora questi problemi ben noti, celibato, morale sessuale e via dicendo, non porta a nulla Ne abbiamo già discusso in lungo e largo in Germania negli anni ’70, nel sinodo di Würzburg. In Germania è necessario in primo luogo un rinnovamento spirituale, che vada realmente in profondità. Pensare che si potrebbe iniziare con alcune riforme e che il resto verrà da sé – è sbagliato. Per esempio, le vocazioni al sacerdozio non si possono inventare. Io non posso reclutare dei preti come il personale di un’industria. Il primo passo da compiere consiste nel suscitare la gioia della fede, annunciare e vivere il Vangelo, far crescere la fede, la speranza e la carità. Soltanto quando è stato fatto questo si può pensare in maniera significativa alle altre cose.

– Quindi i vescovi dovrebbero parlare di meno di riforme e di strutture?

Devono parlare del Vangelo. E anche i parroci devono farlo ogni domenica nell’omelia. Per questo devono poter prendersi del tempo. Dobbiamo nuovamente chiederci: cosa facciamo in concreto per introdurre i bambini e i giovani alla fede? In Germania c’è una grande mancanza di catechesi. Mentre, per esempio, qui da noi la catechesi della cresima continua a ridursi, in Italia i giovani vengono preparati durante circa tre anni. Allora dobbiamo stare lì con le mani in mano? Che cosa si fa per preparare alla prima comunione, cosa si fa per preparare i genitori al battesimo, cosa si fa per preparare al matrimonio?

Nel sinodo sulla famiglia, a Roma, abbiamo a lungo discusso sulla preparazione al matrimonio, e quale è stato il risultato? In Germania si tratta di due o tre sere in cui vengono spiegate le formalità e lo svolgimento della cerimonia delle nozze e, in genere, questo è tutto. Qui a Roma, conosco delle comunità in cui il parroco si incontra almeno una decina di sere con i giovani. In questi incontri non si parla solo della cerimonia nuziale, non solo del matrimonio, ma anche di che cosa significhi essere veramente cristiano, far battezzare il proprio bambino e così via. In queste circostanze si sviluppano anche delle reti tra coetanei che a loro volta danno un’impronta alla comunità e la rafforzano. In Germania non vedo niente di tutto questo o molto poco. Si parla delle riforme della comunità o degli abusi. Ok, sono due temi importanti. Ma non sono il punto. Dobbiamo aiutare la gente a trovare il senso della loro vita! A partire da Cristo! Questo è il compito fondamentale. Se riusciamo a ravvivare il fuoco sotto la cenere, allora molte altre cose verranno da sé.

 – All’inizio dell’anno lei ha accennato in un’intervista alla televisione che ci sono delle forze nella Chiesa che strumentalizzano la scandalo degli abusi perché vogliono liberarsi di papa Francesco. Ha dichiarato che “vogliono mettere fine al più presto possibile al suo pontificato e propongono per così dire un nuovo conclave”. È qualcosa di realistico? Crede che il papa prima o poi si dimetterà?

Una volta gli ho chiesto: “Santo padre, mi addolora che lei sia oggetto di così tanti attacchi”. Mi ha risposto soltanto: “Lascia perdere; io non ho perso la mia pace”. Per un gesuita è molto importante la consolazione, la serenità interiore della coscienza e del cuore, poiché è un segno dello Spirito Santo. Ma ciò non significa che queste lotte non lo angustino. È anche mostruosa la slealtà che gli viene attribuita: cardinali che sono lì prima di tutto e soprattutto per aiutare il papa, che poi invece prendono pubblicamente posizione contro di lui. Inconcepibile è la lettera dell’arcivescovo Viganò (nunzio emerito in America), che rimproverava il papa di omissioni circa il caso di abuso di McCarrick. Ho chiesto ad un paio di diplomatici di altri paesi: “Voi potreste prendere pubblicamente posizione contro il vostro governo?”. Hanno risposto. “In nessun modo, ciò sarebbe assolutamente impensabile”. Se uno lo facesse, il giorno dopo verrebbe cacciato via.

– Recentemente il card. Gerhard Ludwig Müller ha pubblicato un “manifesto della fede” che è stato interpretato come una critica al papa nel senso che lì Francesco non figura. Lei ha reagito con una dichiarazione pubblica scrivendo che il “manifesto” semina confusione. Il card. Müller abita anch’egli qui, nel suo stesso palazzo, due piani sopra la sua abitazione. Lei ha parlato con lui di questo “manifesto”?

Il card. Müller attualmente non è a Roma; è stato concordato un colloquio. Il fatto che questo “manifesto” sia stato pubblicato contemporaneamente in varie lingue sta a indicare che si tratta di un’azione mirata. Certamente sono d’accordo con il cardinale Müller circa la sue dichiarazioni teologiche di fondo. Tuttavia, quando sono presentate in un linguaggio così tranciante senza le necessarie distinzioni, un testo del genere diventa motivo di divisione e, per molti, di confusione. Allora non è più cattolico, nel senso originario del termine. Serve a un gruppo determinato di cristiani inquieti, ma ne ferisce molti altri che si interrogano e cercano – e oggi sono tanti. Ciò fa sì che questi vengono distolti, anziché essere convinti o per lo meno essere invitati a riflettere. In fin dei conti, il card. Müller riferendosi all’anticristo ha usato un linguaggio che mi ha chiaramente ricordato Lutero e che – com’è noto – non ha favorito l’unità, ma ha portato alla divisione.

– Non vi capita mai di incontrarvi tra cardinali semplicemente davanti a un bicchiere di birra o di vino per discutere delle diversità di opinioni, anziché pubblicare delle dichiarazioni uno contro l’altro?

Sì, certo, avvengono questi scambi informali privati, ma purtroppo sono troppo pochi. Esiste un evidente deficit di comunicazione all’interno della curia. Per quanto riguarda il caso concreto: il “manifesto della fede” era già pubblico sulla scena internazionale. Perciò bisognava reagire anche pubblicamente. Le reazioni spontanee che io ho ricevuto indicano che molti sono stati riconoscenti per questa chiara presa di posizione.

– Per quanto riguarda l’ecumenismo, dopo vent’anni di impegno nel dicastero per l’unità, com’è ora la situazione?

L’ecumenismo non si può fare stando alla scrivania. Io ho dovuto andare a incontrare le persone, parlare con loro e anche mangiare con loro. A Mosca dagli ortodossi era sempre importante bere anche un po’ di vodka, cosa che io non potevo. È stato il mio sacrificio ecumenico. Bisogna costruire la fiducia, possibilmente anche l’amicizia, allora si può parlare insieme. Io penso che abbiamo già fatto molto. Soprattutto la Dichiarazione sulla giustificazione (Augsburg 1999). Ma naturalmente resta ancora molto da fare. La comunione al banchetto eucaristico non è ancora stata realizzata.

– Pensava di poterci riuscire?

No, era chiaro che non era ancora arrivato il tempo. Quando i cristiani evangelici domandano perché essi non possono andare alla comunione, rispondo sempre: “Ascoltate ciò che noi diciamo nella preghiera eucaristica e quale fede noi professiamo. In quella preghiera vengono nominati anche il vescovo e il papa, nel senso che noi celebriamo l’eucaristia in comunione con loro. Ora chiedetevi: volete questo? potete rispondere Amen a ciò?”.

Per ora non siamo ancora pronti ad invitare tutti. Vorrei aggiungere: ci sono anche molti cattolici che dovrebbero chiedersi: la mia fede e la mia vita sono coerenti con ciò che faccio nella comunione? Bene, un cattolico comune non conosce tutti i particolari teologici e non è necessario che li sappia. Se io avessi detto a mia madre: “credi anche alla transustanziazione?”, mi avrebbe risposto: “figlio mio, che cos’è?”. Ma lei conosceva evidentemente la sostanza del problema e vi credeva. Quando oggi i parenti vengono ad un funerale, molti forse da vari anni non hanno mai visto una chiesa, ma vanno alla comunione. Ci si può domandare se sono interiormente consapevoli. Al contrario, ci sono dei matrimoni interconfessionali in cui il partner evangelico alla domenica va insieme alla messa, e i bambini fanno da ministranti, egli si sente a casa sua e alla fine crede anche le stesse cose di sua moglie. Se egli dice sì a ciò che accade nella comunione, e ha un desiderio interiore di essa, perché dovrebbe separarsi dalla sua sposa, in un caso singolo, proprio davanti all’altare? Per i protestanti io non posso mettere l’asticella più alta rispetto ai cattolici […].

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