Il “caso Barbarin”: la sentenza

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Perché il card. Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, è stato condannato a sei mesi di prigione con la condizionale? Perché fa ricorso in appello? Perché presenta le sue dimissioni al papa?

Le tre domande solo connesse e, al di là dei semplici enunciati, manifestano una posizione coerente: la giustizia è stata fatta e i giudici non hanno tenuto conto della prescrizione dei fatti; più esattamente, hanno ritenuto che, se i fatti di pedofilia del prete incriminato non erano prescritti, non c’era stata da parte del cardinale un’azione di giustizia presso lo stato francese, perché aveva ricevuto dalle autorità romane un’indicazione riguardo a questo prete per atti di pedofilia, ma questa indicazione lo invitava alla discrezione.

Il cardinale ha seguito l’indicazione di Roma e non ha quindi avvertito le autorità giudiziarie francesi. In seguito, i fatti prescritti saranno resi pubblici e porteranno a una doppia condanna del prete tanto da parte della giustizia civile come da parte dei giudici ecclesiastici.

Scegliendo di condannare il cardinale a una pena di sei mesi con la condizionale, senza che questa fosse stata richiesta dal procuratore, i giudici hanno voluto ritenere “colpevole” la negligenza di non aver denunciato il prete per mantenere questo “silenzio” interno alla Chiesa, anche se già una sanzione ecclesiastica e un avvertimento c’erano stati all’interno. È questa “omertà” che non è più accettabile da parte della giustizia e dell’opinione pubblica.

Seguendo l’indicazione dei suoi avvocati, che l’hanno spinto a fare ricorso in appello, il cardinale e i suoi consiglieri cercano di verificare questa determinazione del diritto che condanna il silenzio dei responsabili che sanno e scelgono la copertura e fanno così correre rischi a possibili nuove vittime…

Presentando le sue dimissioni a papa Francesco, Philippe Barbarin agisce secondo la sua coscienza e la sua fede di cristiano. Accetta di riconoscersi peccatore, fa suo il silenzio anche se questo gli era stato consigliato dalle autorità romane.

Rimettendosi a papa Francesco, è coerente con la fede cristiana e con l’impegno del papa della tolleranza zero per gli atti di pedofilia che, nell’ordine della carità, non sono mai “prescritti”. «Quello che voi avete fatto a uno di questi piccoli che sono miei fratelli, l’avete fatto a me». È la forza esigente della “carità”, di cui dobbiamo, con la grazia di Dio, essere i testimoni.

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