C’è bisogno di gente…

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Intervento di mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano, all’annuale Convegno Mondialità organizzato dalla diocesi in collaborazione con l’Unione Cattolica della Stampa Italiana, sul tema «La paura ci rende folli. Sicurezza e logica del Vangelo» (23 marzo).

«Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?» (Lc 12,20). «Ma quello, udite queste parole, divenne assai triste perché era molto ricco» (Lc 18,23). La stoltezza che Gesù rimprovera è l’accumulo delle molte ricchezze come proprietà irrinunciabili: la paura, le molte paure del futuro, degli imprevisti, delle annate di prodotti deludenti, induce a cercare sicurezza nelle ricchezze accumulate.

Il progetto della paura

Questa programmazione motivata dalla paura si rivela stolta perché ignora l’imprevisto radicale, la morte improvvisa, ignora la precarietà del possesso, «dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano» (Mt 6,19). Ma porre le propria sicurezza nelle ricchezze impedisce di accogliere la vocazione alla sequela di Gesù che chiede come condizione la rinuncia radicale; impedisce inoltre la compassione verso il povero.

bus dirottato

«Un povero di nome Lazzaro stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco, ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe» (Lc 16,20-21). La radice della stoltezza che induce a porre la propria sicurezza nelle ricchezze è in sostanza l’ateismo: «lo stolto pensa: Dio non c’è.  Son corrotti, fanno cose abominevoli, non c’è chi agisca bene» (Sal 14,1).

Il lavorio della sapienza

L’invito alla vigilanza e alla relativizzazione delle sicurezze precarie che ci si può procurare con le proprie iniziative è frutto di una sapienza che in alcune pagine della bibbia è espressa con la semplicità popolare dei proverbi e del buon senso.

Nei libri sapienziali si possono raccogliere molte espressioni che si riconducono a questa sapienza: «L’insonnia del ricco consuma il corpo, i suoi affari gli tolgono il sonno (…) un ricco fatica nell’accumulare ricchezze e se riposa è per darsi ai piaceri. (…) chi ama l’oro non sarà esente da colpa, chi insegue il denaro sarà fuorviato. Molti sono andati in rovina a causa dell’oro e la loro rovina era davanti a loro» (Sir 31,1ss).

«I beni del ricco sono la sua roccaforte, sono come un’alta muraglia nella sua immaginazione. Prima della caduta il cuore dell’uomo si esalta, prima della gloria c’è l’umiltà» (Prv 18,11s). Si tratta di considerazioni che si possono trovare in molti contesti diversi da quello biblico.

Sono una testimonianza di un percorso sapienziale che trova argomenti per un modo saggio di impostare la vita personale e sociale che è frutto di un pensiero libero e realista, a prescindere al Signore che si è rivelato nelle Scritture. C’è però una sapienza più alta: «La sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale, sincera» (Gc 3, 17).

Stoltezza del prendersi cura

Il buon senso e la sapienza ispirata sono percorsi che inducono a un comportamento saggio, capace di fare del bene, consapevole delle responsabilità verso gli altri e verso il mondo.

Ma c’è un percorso che trova necessario andare oltre, fino a pratiche che la meschinità del mondo giudica inopportune, perfino stolte e blasfeme. Del resto Gesù è stato giudicato «fuori di sé»: «Entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: ‘È fuori di sé’» (Mc 3,20-21).

«Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole. Molti di loro dicevano: ‘È indemoniato e fuori di sé; perché state ad ascoltarlo?’. Altri dicevano: ‘Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?’» (Gv 20,20).

Il giudizio, o piuttosto l’insulto e l’espressione di disprezzo, che squalificano il comportamento e le parole di Gesù si esprime nel vangelo come preclusione ad ascoltare la sua parola, in particolare la sua offerta di salvezza.

L’offerta di salvezza di Gesù è, in effetti sconcertante. Non si tratta di imparare una dottrina nuova e più alta o di praticare una legge nuova e più edificante proposta da un rabbì, un maestro che attinge a ispirazioni sorprendenti, visto che è il falegname, il figlio di Maria e appartiene a una famiglia che «è qui tra noi» (Mc 3,3-4: «che sapienza è quella che gli è stata data»).

L’offerta di salvezza non è nell’esercizio di un potere taumaturgico che offre segni entusiasmanti, che non ci si stanca di vedere: quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui nella tua patria (cf. Lc 4,23). Gesù per compiere la sua missione offre la sua vita, come uno che è padrone della vita: «per questo il Padre mi ama, perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo» (Gv 10,17-18).

Gesù infatti è la vita («io sono la via, la verità, la vita» – Gv 14,6).

Chi accoglie la salvezza che viene dall’offerta della vita di Gesù (questo è il mio corpo… questo è il mio sangue…) riceve il dono dello Spirito e così di diventare memoria di Gesù (fate questo in memoria di me).

Vivendo della vita ricevuta da Gesù ne imita le opere e perciò pratica una vita che si può giudicare folle (è fuori di sé), ma che è «una sapienza sì, ma di una sapienza che non è di questo mondo (…) l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono una follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito» (1Cor 2,6.14).

Forse si può descrivere la condizione spirituale di chi si lascia condurre dallo spirito come estasi. «Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: ‘ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto’» (Lc 19,8).

Lo spessore del gesto, il soffio dell’esternazione

Se dovessimo affrontare la domanda: come vincere la paura che rende folli? Come reagire a comportamenti e modi di esprimersi che sono sfoghi, espressioni di rabbia, di rancore, di emotività alterata, di slogan gridati?

dopo bus milano

La paura non è frutto di un ragionamento, non è la conclusione di una ricerca che raccoglie dati con l’intenzione di comprendere un fenomeno.

Pertanto dubito che ragionamenti e ricerche ben documentate possano essere la terapia adatta per curare una emotività disturbata.

Forse la via promettente è l’estasi, quell’accogliere in casa Gesù che riempie la casa di gioia: guarisce la paura, la rabbia, il rancore, il risentimento con la sua presenza e con la sua gioia e convince l’avido affarista alla generosità sproporzionata, il timido complessato allo slancio eroico, la vedova povera all’offerta di tutto quanto aveva per vivere.

Il principio dell’estasi non è in un ragionamento o in una interpretazione ben argomentata per ispirare la prassi più saggia e lungimirante, ma la presenza di Gesù e la pienezza di gioia che ne deriva («scese in fretta e lo accolse pieno di gioia» – Lc 19,6).

Uscire dalle mura sicure

Insomma in questo momento c’è bisogno di gente che sente ardere in cuore il fuoco di pentecoste, la potenza del Signore risorto e s’azzarda fuori dalle mura rassicuranti del cenacolo e dà testimonianza a Gesù, con parole e opere, a costo di sentirsi dire: «si sono ubriacati di vino dolce» (At 2,13).

DelacroixC’è bisogno di gente che vive nell’estasi per la presenza di Gesù in casa sua e si ispira a lui senza troppo dipendere dal giudizio altrui e dai frutti che ne potranno venire.

C’è bisogno di gente che di fronte allo sconosciuto massacrato dalla storia prova compassione e se ne fa carico, senza troppo indagare chi sia il colpevole e che cosa dovrebbero fare gli altri.

C’è bisogno di gente che non vive calcolando il dare e l’avere ma segue lo slancio della gioia e si affida al vento amico che spinge al largo.

C’è bisogno di gente che di fronte all’appello dei poveri si fa avanti per servirli, di fronte alle contese si mette di mezzo per seminare perdono e pace, di fronte ai problemi di dimensioni planetarie che insinuano la frustrazione dell’impotenza, invece di lasciarsi cadere le braccia pratica il gesto minimo che gli è possibile e si entusiasma nella persuasione di contribuire anche così ad aggiustare il mondo.

C’è bisogno di gente come voi. Alcuni forse diranno di voi: sono fuori di sé! Noi diciamo: sono discepoli di Gesù.

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