CEG: la sigla e l’istanza

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Capita raramente di assistere alla nascita di uno strumento teologico-pastorale. E, ancora meno frequentemente, succede che esso emerga non da un progetto scritto e da caselle di nomi e competenze, quanto dal dialogo che mette in comune pratiche e attese.

Venerdì 11 novembre, prima della presentazione pubblica a Loppiano, la cittadella del movimento dei Focolari, del «Centro di alta formazione Evangelii gaudium» (Ceg) otto persone si sono riunite in un ufficio: un paio di vescovi, tre teologi, un giornalista, esponenti del movimento ecclesiale. Dopo la presentazione, è partito un confronto su come tradurre nella pastorale ordinaria le indicazioni di papa Francesco nell’esortazione post-sinodale. Suggestioni in partenza timide e apparentemente scollegate, ma poi progressivamente integrate, pur provenendo da mondi diversi: Spagna, Italia, America Latina, con influenze tedesche. Era la prima riunione del comitato scientifico del Ceg.

Centro Evangelii gaudium

In realtà, la vicenda parte prima: dal discorso di papa Francesco al convegno ecclesiale italiano di Firenze (11 novembre 2015): «In ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, in ogni regione cercate di avviare in modo sinodale un approfondimento dell’Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avete individuato in questo convegno». Da lì si avviano un giro di telefonate e incontri che mettono a tema la “traduzione italiana” di Francesco. La ricerca si innesta, a sua volta, nei processi formativi già in atto nel movimento dei Focolari (relativi a preti, religiosi, giovani e laici) e nell’attività accademica dell’Istituto universitario Sophia (Ius).

«Il Ceg nasce con la missione di promuovere e sostenere la formazione, lo studio e la ricerca nell’ambito dell’ecclesiologia, della teologia pastorale e della missione, della teologia spirituale e della teologia dei carismi, nella vita di una Chiesa chiamata oggi all’uscita missionaria, in sintonia con il progetto formativo e il metodo accademico proprio dello Ius e con attenzione alla ricchezza dei diversi contesti socio-culturali ed ecclesiali». «Saranno peculiari obiettivi del Ceg in quest’ottica, promuovere e sostenere progetti e attività di formazione e ricerca nel solco tracciato dal magistero del concilio Vaticano II, facendo tesoro delle ispirazioni e delle esperienze di vita ecclesiale e di evangelizzazione suscitate dal carisma dell’unità in comunione con gli altri carismi nella Chiesa e nella prospettiva del dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale».

Si tratta di un laboratorio aperto a preti, religiosi e operatori pastorali laici per facilitare una conversione pastorale, un cambio di paradigma nella cultura e nella relazione tra comunità ecclesiale e società civile che il nostro tempo richiede e a cui la profezia di papa Francesco ci dice con forza di essere giunto il momento di porvi mano. Nel momento ufficiale della presentazione al pubblico l’unica relazione è stata quella di Tiziana Merletti, già superiora generale delle suore francescane dei poveri, sul tema della sinodalità.

Dentro e oltre

Per dare un’idea degli orientamenti di sviluppo dell’iniziativa posso accennare a tre elementi.

Il primo è relativo al “superamento” dell’orizzonte movimentista. Non c’è nessuna rimozione del patrimonio carismatico dei Focolari, né alcuna censura dei lavori formativi finora dati ai vari ambiti che ne definiscono l’identità, ma si tenta di allargare lo sguardo. Dopo il documento della Congregazione della dottrina della fede, Iuvenescit Ecclesia, che sintetizza e ordina il rapporto fra carismi e doni gerarchici con l’intenzione di favorire l’inserimento della vitalità dei movimenti nella sfida evangelizzante che la Chiesa sta affrontando, il “Centro Evangelii gaudium” vorrebbe dare organicità e gambe all’inserimento dei movimenti carismatici nella pastorale comune. C’è stata una stagione in cui alcuni movimenti ecclesiali si pensavano come l’“altra” risposta della testimonianza cristiana rispetto alle lentezze di quella dei cristiani comuni. Ora vi è lo spazio per un’accoglienza della fecondità carismatica (non solo dei movimenti, ma anche delle famiglie religiose) e una disponibilità a sostenere una pastorale comune investita delle istanze di riforma ecclesiale di papa Francesco. Né le strutture tradizionali, né le fondazioni nuove possono sottrarsi alla sfida evangelizzante, in particolare verso i poveri e gli umili. I modelli pratici sono per molti aspetti ancora da costruire, ma l’esigenza è chiara.

Il secondo elemento è quello della teologia e del dialogo con la cultura. L’originalità dell’Istituto universitario Sophia che, certo non da solo, persegue una teologia spirituale su un fondamento umanistico e nel dialogo con le culture e le religioni, si propone come l’ambito naturale di elaborazione e sperimentazione. Non si tratta di ignorare le specializzazioni teologiche, né di rincorrere le mille sfaccettature della ricerca scientifica nelle accademie, ma di far lievitare dentro il vissuto cristiano la capacità di comprensione, discernimento e operatività all’altezza delle attuali sfide culturali e civili. Di superare, cioè, lo scollamento fra ricerca teologica ed esperienza cristiana, come anche di evitare la tentazione del rifiuto della cultura in nome della pretesa purezza della fede.

Infine, la questione pastorale. Vi sono qua e là resistenze esplicite alle sollecitazioni del papa sulla riforma ecclesiale, ma il dato più preoccupante è lo scoraggiamento di molti, a partire dai presbiteri. Un senso di impotenza davanti alla consunzione degli strumenti tradizionali e alle difficoltà di rianimare le comunità credenti. Eppure, si avverte la possibilità di una stagione promettente, di nuove – seppur vaghe – domande spirituali. Può servire un riferimento nel passato e nel presente. L’esperienza fondativa della Caritas italiana negli anni ’60-’70 ha inciso sull’insieme della pastorale ecclesiale. L’attuale ricerca delle Unità pastorali avverte il bisogno di radicarsi non in un progetto di ingegneria pastorale, ma sul supporto di una fondazione spirituale e dei molti carismi attivi nella Chiesa. C’è un’opera di discernimento collettivo da avviare.

Il Ceg nasce in una forma molto discreta e modesta, eppure trova un’immediata attenzione sia da parte della CEI (il saluto di mons. Nunzio Galantino, segretario generale) e delle istituzioni vaticane (Congregazione dei religiosi, Congregazione per l’educazione cattolica, Congregazione per la dottrina della fede), come di preti, istituzioni e realtà locali. Il segnale c’è. Le connessioni sono da costruire.

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