CEI: il nome e il compito

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Nella mattinata di ieri, papa Francesco ha rapidamente confermato l’esito della votazione assembleare dei vescovi italiani nominando il card. Zuppi (primo della terna – gli altri due nomi il card. Lojudice e mons. Raspanti) a nuovo presidente della CEI.

Dopo il desiderata di Francesco, che in un’intervista con Il Corriere della Sera aveva espresso la sua preferenza per un cardinale, l’obbedienza dei vescovi italiani è stata immediata e quasi commovente: su tre nomi due cardinali (buttando dentro anche un vescovo perché non si sa mai…). Il tutto ha facilitato l’espressione di voto, togliendo dalle spalle dei nostri presuli il peso di dover realmente decidere. Ma ha anche fatto venire meno un effettivo processo di discernimento interno alla Chiesa italiana.

Dal giorno dell’intervista, l’interesse mediatico si è tutto concentrato sul nome dimenticando la premessa posta da papa Francesco: affinché si mettano in atto cambiamenti reali e concreti nella Chiesa italiana – che, da vescovo di Roma, egli sente anche la sua.

Sia l’indicazione papale, sia la votazione assembleare, si misureranno dunque sul compito/mandato che il nome dell’eletto è chiamato a realizzare in tempi brevi.

Zuppi offre sicuramente una leadership più visibile di quella di Bassetti, ma questo da sé non basta a garantire l’efficacia dell’agire attesa da Francesco.

Si conferma, inoltre, il peso accordato al sociale come perno della presenza della Chiesa italiana nella vita del paese: passando dalla rivisitazione del costituzionalismo politico di La Pira al tatticismo diplomatico di Sant’Egidio. E ci si avvia verso un primo ricambio generazionale, scegliendo una via di mezzo che dovrebbe congiungere la parte della CEI che ancora risente dell’epoca ruiniana con quella che ha iniziato a formarsi nell’orizzonte del pontificato di Bergoglio.

Se il processo sinodale della Chiesa italiana si è avviato, seppure con ritardo, alla nuova presidenza CEI tocca farsi carico in toto del modo di gestire un percorso di scavo e presa in carico corporativa degli abusi sessuali in ambito ecclesiale italiano.

Dalla presidenza Bassetti si eredita l’ipotesi di un doppio binario: la Chiesa italiana fornirà i dati relativi ai casi esaminati internamente alle varie istanze di giudizio; il governo avvierà autonomamente un’inchiesta nazionale sulla violenza verso i minori che coinvolgerà tutto lo spettro sociale e istituzionale del paese (tra cui anche la Chiesa). L’impianto regge se si avviano effettivamente e contemporaneamente entrambi i lati della sua architettura – cosa che con una legislatura a cui rimane un solo anno, e chiamata ad affrontare l’onda lunga della pandemia e la crisi multilaterale della guerra in Ucraina, potrebbe essere difficile.

Da più parti, con toni e profili diversi, emerge all’interno della Chiesa italiana la richiesta di avviare una commissione di indagine indipendente. I vescovi discuteranno la questione nel tempo che rimane prima della chiusura dell’Assemblea generale il 27 maggio. Su questo, la nomina di Zuppi garantisce alla Chiesa italiana una maggiore copertura in ambito mediatico e di comunicazione pubblica, come una più ampia consuetudine di interlocuzione istituzionale.

Ma la Chiesa italiana non può permettersi di limitarsi a un’operazione di facciata: oggi, con più di trent’anni di storia pregressa, la credibilità istituzionale dipende dall’originalità delle pratiche di trasparenza e di assunzione di responsabilità corporativa che la nostra Chiesa saprà mettere in campo.

Originalità che è richiesta anche a chi fa informazione religiosa e giornalismo di indagine in Italia – quali sponde di un processo virtuoso e costruttivo a favore di una giustizia che deve essere resa alle vittime di abusi e violenza nella Chiesa italiana.

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Un commento

  1. Fabio Cittadini 26 maggio 2022

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