Una Chiesa tutta sinodale

di:

L’idea-madre di Francesco

1. La Chiesa, un popolo verticale e orizzontale. L’invito a camminare insieme è l’invito ad essere Chiesa perché il camminare è il suo destino, è la sua dinamica postura. Invitare a camminare significa invitare a entrare nella Chiesa pellegrina che s’accompagna alla grande carovana degli uomini, tutti nati in avanti, e perciò viandanti verso l’Oltre e verso l’Altrove.

Questa è la Chiesa sinodale fondata da Gesù: essa è un “popolo di figli” e, di conseguenza, un “popolo di fratelli e di sorelle”. Questo popolo verticale, che nasce dall’Alto, diventa popolo orizzontale proprio per essere una Chiesa pellegrina sulla via della bellezza, perché tale è la via tracciata da un pastore “bello e buono”, qual è Gesù, che vuole radunare i figli di Dio dispersi e condurli al Regno.

2. L’eco di un discorso storico. La sinodalità è l’“idea madre” dell’insegnamento di papa Francesco sulla Chiesa e sulla missione. Egli, il 17 ottobre 2015, chiudendo la commemorazione del 50° dell’istituzione del sinodo dei vescovi da parte del beato Paolo VI – organizzato dal card. Lorenzo Baldisseri, segretario generale della Segreteria del sinodo, dal sottosegretario mons. Fabio Fabene e dai suoi valorosi collaboratori – ha pronunciato un Discorso memorabile (= Discorso)[1] sulla riforma della Chiesa, che è apparso subito storico: da esso la luminosità del principio sinodale ha scintillato con luce forte e tenue. Questo suo importante intervento magisteriale, pastorale e di governo è un alto e deciso annuncio della riforma della Chiesa, che non vuole attestarsi ad aspetti marginali o periferici di essa, perché si propone d’incidere in tutti i suoi spazi vitali.

Questo Discorso del papa argentino è il più impegnativo e coraggioso ascoltato in questi primi anni del suo pontificato. Si tratta di un intervento magisteriale unitario e articolato ad un tempo. Esso si presenta fortemente coeso, ma anche aperto a stella in tante direzioni: la sinodalità diffusa,[2] il decentramento, la riforma dell’esercizio del ministero petrino, la natura e il fine di servizio dell’autorità, lo spirito e lo stile sinodali…

Sinodalità, parola antica e nuova

1. Dinanzi ad una parola antica. “Sinodalità” è idea (ma anche parola) che ha tutti gli anni della Chiesa. La storia del cattolicesimo è percorsa dall’esperienza sinodale e non ha insidiato l’autorità della Chiesa di Roma. Ad esempio, dal III al IV secolo i sinodi si concluderanno informando il vescovo di Roma circa le deliberazioni prese, così come l’autorità romana si riservava il diritto di rifiutare conclusioni in contrasto con un concilio (cf. Giulio I: 336-352 versus il Sinodo di Tiro: 335). Come si dirà, la sinodalità è stata come annidata nella secolare conciliarità della Chiesa[3] e nella sua comunionalità, alla quale la Chiesa è rimasta sostanzialmente fedele anche quando han dominato ecclesiologie giuridiche e poco misteriche.

2. L’incontro con una parola sempre nuova. Qui non ci si limita a glossare l’importante Discorso di papa Bergoglio, ma, partendo da esso, si vuole riflettere sull’idea di sinodalità, sulla sua necessità, sulle virtù umane e cristiane che essa richiede. Vi sono sviluppati anche tratteggi di giustificazione teologica e pastorale di questa antica e profetica parola – sinodalità – che è ormai uno dei nomi più significativi al pontificato di Francesco e segna un tracciato di vita cristiana ed ecclesiale che può portare davvero assai lontano. Dopo esserci a lungo annodati intorno a temi ecclesiali e pastorali che si sono logorati nella ruggine dell’enfasi retorica e della ripetizione, finalmente è spuntata, dal soffio dello Spirito, la parola di un vero segno dei tempi: sinodalità.

Sinodalità, parola-fonte per la Chiesa

1. Sinodalità, parola interdisciplinare. La sinodalità – parola antropologica, pedagogica, teologica, pastorale, metodologica, spirituale (e altro ancora…) – è il paradigma comportamentale più lucido ed esigente che si va presentando dinanzi agli occhi credenti dei singoli cristiani, delle Chiese locali e della Chiesa universale. La grandiosità di questa parola non deve affatto intimidire poiché alla sua imitazione, alla sua assunzione a livello di principio, al suo compito di dare un nome alla speranza ecclesiale, in vista di un futuro non databile, si accede gradualmente, con pazienza, senza la fregola del tutto e subito, sebbene anche con passo deciso.

In più, matureremo una vasta sinodalità solo con esperienze sinodali piccole ma significative e vissute a tutti i livelli: dalla parrocchia alle foranie, alle zone pastorali, alla vita diocesana, stimoli partecipativi debbono sprigionarsi e animare ogni giorno la vita delle persone. Solo così può venire, in termini sinodali, il di più e il grande… resto, che da tanto si spera, che cioè tutta la Chiesa diventi Chiesa di tutti e per tutti.[4]

2. Sinodalità, parola di missione. Fermandosi a riflettere sul camminare dei cristiani, papa Francesco afferma: «Penso che questa sia veramente l’esperienza più bella che viviamo: far parte di un popolo in cammino, in cammino nella storia, insieme con il suo Signore, che cammina in mezzo a noi!». Egli insiste sul fatto che il popolo di Dio deve camminare sempre insieme alla comunità famiglia di Adamo, in mezzo alla quale si è presi e alla quale si è mandati.[5] Così la sinodalità diventa il nome della vita della Chiesa e della sua missione. Ci consola sapere che il cammino sinodale è animato e consolato dallo Spirito, sotto la cui ala e nella cui forza, la Chiesa pellegrina avanza cercando il Regno «nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo» (Liturgia della messa).

Sinodalità, parola da millennio

Proprio sì. È questa la forma di Chiesa che il concilio va delineando da cinquant’anni, come se l’avesse in incubazione dentro l’alveo di due sue parole che portava invece iscritte sulla fronte: conciliarità e comunione. Si può dire che il concilio, benché non abbia parlato esplicitamente di sinodalità, di essa sia il più autorevole e il più prossimo suggeritore.

Sinodalità non è la solita parolina stagionale che si inventa per rilanciare le pastorali depresse che hanno perso il cuore e l’anima. Questo accade in modo ritornante nella Chiesa quando sulle parole-progetto della pastorale e della missione scendono i tarli della retorica e del loro uso vuoto e senza frutto, ma soprattutto quando sono aggredite dalla tignola del tempo che le usura e le distrugge. Ma la sinodalità non è chiamata a riparare a questo.

Sinodalità è parola che germoglia dalla stessa vita del Dio trinitario, che vive un’infinita comunione interpersonale e si fa soggetto delle missioni salvifiche dell’incarnazione e della pentecoste, sante matrici del “popolo di Dio” e di ogni dinamismo sinodale che esso attiva dentro e fuori di sé.

Sinodalità è parola che resta perché è radicata sulla rivelazione intramontabile di Dio (specie sul vangelo della risurrezione), è fondata sulla roccia incrollabile di Cristo e, in particolare, è piantata sulla pietra rovesciata del suo sepolcro. La sinodalità perciò ha la stoffa teologica per essere una parola da Millennio.

Sinodalità è parola di missione che dice la Chiesa in uscita, che va verso la comunità degli uomini, verso le plaghe tristi della povertà e quelle ugualmente doloranti della divisione, oltre che verso ogni sponda della creazione. Una Chiesa sinodale è di per sé missionaria e reca perciò con sé i simboli dell’itineranza: la “pellegrina” che le ricorda le intemperie della storia da cui difendersi, mentre è anche simbolo dell’umanità di Cristo nella quale avvolgersi. Porta con sé la “scarsella”, simbolo dell’elemosina, per ricordare che il cammino sinodale non è un tour di piacere per gaudenti e vitaioli, ma un viaggio di pellegrini poveri. Porta, infine, con sé il “bordone” fiorito che le rammenta qual è il suo sostegno maggiore: è la santa Trinità quale “terzo piede” cui appoggiarsi da sempre a sempre.

Sinodalità è parola planetaria, che allude alla sterminata carovana umana che traversa la storia in vista dell’Oltre e dell’Altrove e dentro la quale accade il particolare cammino sinodale che la Chiesa pellegrina compie ispirando intorno a sé il senso di Dio, cercando… i cercatori di Dio, dialogando… con i negatori di Dio, affiancandosi… ai compagni di fede e di Credo per cercare di salire, insieme, fino al monte santo di Dio, meta d’ogni cammino sinodale.

Sinodalità è parola che dice filialità: rammenta che siamo nati allo stesso fertile fonte battesimale e che questa filialità originale crea una unità di destino sinodale che non deve mai spezzarsi, pena la contraddizione con la comune origine dei pellegrini dell’Assoluto. La filialità battesimale, che provoca inevitabilmente fraternità e sororità, compone il soggetto unico e multiplo della sinodalità. Il soggetto del cammino sinodale non è un’accolta di estranei, ma un popolo di figli, anche se per i cristiani non ci sono forestieri e “accolte di estranei”, dal momento che tutti si abita dentro la stessa “tenda planetaria”, una casa mobile e dunque una casa sinodale.

Sinodalità è, infine, parola di memoria e di speranza: possiede una potente tenacia memoriale (raduna in sé tutti gli acta Dei e rende presente – mediante il “viatico” eucaristico – tutto quello che il Dio trinitario ha già compiuto per gli uomini). Sinodalità ha anche una forte fibra profetica: insegna che, per non disperare mai, bisogna uscire, trovare compagni di vita e di fede e incamminarsi con loro dove chiama lo Spirito e dove porta il cuore…

Per tutte queste ragioni il sogno di papa Francesco è che la Chiesa diventi sinodale.


[1] Francesco, Discorso per la commemorazione del 50° dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi (17.10.2015), in L’Osservatore Romano, 18.10.2015, p. 5.
[2] Cf. M.G. Masciarelli, «Il sogno di papa Francesco: una Chiesa e una Curia romana nel segno della sinodalità», in Kairós 3 (2013/1-2) 21-46.
[3] Il teologo cattolico inglese, Paul McPartlan, tratta le due parole (e forse i due concetti) come interscambiabli: Un nuovo esercizio del papato, Qiqajon, Magnano (BI) 2015, p. 8.
[4] Cf. G. Frosini, Una Chiesa di tutti. Sinodalità, partecipazione e corresponsabilità, Dehoniane, Bologna 2015.
[5] Papa Francesco, Esort. ap. Evangelii gaudium (24.11.2013), n. 268.

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