“Christus vivit”: una Chiesa “giovane”

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L’esortazione Christus vivit può apparire come un testo disomogeneo, che passa dal dialogo diretto verso i giovani, dandogli del “tu”, a riflessioni e raccomandazioni per chi opera nella Chiesa. L’uso dei due registri e l’equilibrio che si è cercato di trovare risulta, a volte, non molto efficace.

L’impressione che ne traggo è che nasconde, anche nelle parti che si presentano come lettera indirizzata ai giovani, un appello di cambiamento e conversione alla Chiesa. Per certi aspetti, l’intera esortazione può essere riletta come un accorato appello del papa alla Chiesa, invitandola ad esprimere la propria giovinezza e a non invecchiare.

©Francesca Cavalli

©Francesca Cavalli

Anche la parte centrale, di taglio kerygmatico, rappresenta un richiamo per nulla scontato a tornare ad abbeverarsi alla sua sorgente di giovinezza: «Essere giovani, più che un’età, è uno stato del cuore. Quindi, un’istituzione antica come la Chiesa può rinnovarsi e tornare ad essere giovane in diverse fasi della sua lunghissima storia. In realtà, nei suoi momenti più tragici, sente la chiamata a tornare all’essenziale del primo amore» (34).

Emerge una preoccupazione da parte del pontefice: quella di una Chiesa che si sta invecchiando, mondanizzandosi, preoccupata di preservare un’immagine di sé forte e distintiva, autoreferenziale. Potremmo commentare che tutto ciò non rappresenti nulla di nuovo, niente di non già denunciato in Evangelii gaudium e in molti suoi interventi in questi anni di pontificato. Ma l’aver usato la giovinezza non tanto come dimensione anagrafica ma come categoria o paradigma per rileggere la Chiesa e il suo agire nel mondo, ci fornisce delle riflessioni interessanti.

Questo articolo quindi non vuole trattare il tema di come la Chiesa si rapporta ai giovani, ma di come la categoria “giovane” sia una chiave di lettura per ripensare l’essere Chiesa oggi.

Perché la Chiesa sta invecchiando?

«Ciò che invecchia è ciò che ci separa dagli altri» (13). Questa separatezza, che potremmo definire nel nostro caso anche clericalismo, è alla radice di ciò che fa invecchiare la Chiesa. Per vecchia non intendiamo antica! L’essere antica le rende merito, rappresenta la sua solidità, consistenza, portatrice di un patrimonio di sapienza incommensurabile. Essere vecchia, secondo l’esortazione, vuol dire: non avere occhi in grado di aprirsi ad ampi orizzonti, di maturare grandi sogni per l’umanità; essere tentata di voler accomodare la realtà ai propri bisogni e aspettative; perdere in audacia e coraggio; l’incapacità di ripensarsi, ricominciare e rialzarsi di fronte agli errori e le cadute; non volere e non sapere ascoltare gli altri e lasciarsi istruire dalla vita.

La Chiesa invecchia perché cerca di bastare a se stessa! Si separa dalla realtà, dalle persone, dalla vita e soprattutto rischia di separarsi, nell’illusione di sopravvivere, anche dalla sua fonte vitale. La tentazione nasce proprio dal tentativo di sopravvivere, dalla paura di soccombere. È così che si dà la precedenza alle idee e ai modelli ideali sulla realtà, ai beni materiali e alle strutture sulle persone, alle procedure e alle norme sulla vita. Senza accorgercene, siamo dediti a costruire una trappola, una gabbia, dentro la quale invecchiare per poi morire per immobilismo.

Tornare alla fonte della giovinezza

«[La Chiesa] è giovane quando è sé stessa, quando riceve la forza sempre nuova della parola di Dio, dell’eucaristia, della presenza di Cristo e della forza del suo Spirito ogni giorno. È giovane quando è capace di ritornare continuamente alla sua fonte» (35). Se non siamo connessi alla fonte, l’idea, il sogno, la profezia si riducono a nominalismi, a idealismi, a modelli ideali e irraggiungibili, rigidi e normativi, mortificanti e non liberanti. L’annuncio si riduce a risposte preconfezionate, rassicuranti, paternalistiche e moralistiche. Il suo agire tende a distinguersi in modo esclusivo ed elitario, conflittuale, usando una lingua per i più insignificante.

Papa Francesco propone invece di essere diversi senza essere strani, esclusivi. È una diversità inclusiva, che attrae, perché non tocca argomenti o scelte per pochi, per un’élite, ma tocca gli aspetti più profondi dell’umano, che ascolta il grido dell’uomo e scende in suo soccorso.

carletti1La possibilità per la Chiesa di essere significativa per i giovani e non solo, non sta tanto nel costruire progetti, piani e strategie di annuncio, castelli ideali e lucenti, di usare un approccio più morbido e liquido, di farsi un lifting che copra le rughe.

Sta nel cercare di essere se stessa e, per fare questo, si tratta di essere sempre fedele a Cristo e quindi sempre nuova e rinnovata perché non separata dalla realtà, dalle persone, dalla vita. «Bisogna che la Chiesa non sia troppo concentrata su sé stessa, ma che rifletta soprattutto Gesù Cristo. Questo comporta che riconosca con umiltà che alcune cose concrete devono cambiare, e a tale scopo ha anche bisogno di raccogliere la visione e persino le critiche dei giovani» (39).

Ma cosa si intende in concreto con queste affermazioni? I seguenti paragrafi cercheranno di suggerire come la Chiesa può ri-configurarsi per evitare il rischio dell’invecchiamento, nel rispetto della duplice fedeltà a Dio e all’uomo.

Un’istituzione aperta: l’arte di fare carotaggi più che progetti

In concreto, si tratta della capacità della Chiesa di essere una realtà aperta! Lo abbiamo già detto che la vecchiaia nasce dalla separazione, dalla chiusura. Essere aperti vuol dire avere fiducia in sé e negli altri, essere disposti ad abitare l’incertezza, l’instabilità, porci in modo vulnerabile senza avere tutto sotto controllo. È quel principio per cui oggi siamo chiamati ad attivare processi più che ad occupare spazi.

Attivare processi richiama l’azione di chi effettua carotaggi, preleva campioni di sottosuolo per saggiare la consistenza di un terreno, la realtà su cui dovrà agire per costruire qualcosa, un ponte, un edificio.

Effettuare carotaggi è ciò che ci può permettere di non essere più separati, di uscire dalle bolle culturali, ideologiche, clericali, in cui è immerso l’agire pastorale. È mettere in atto delle azioni come strumento per mettersi prima di tutto in ascolto, rimettersi poi in discussione, valorizzando la diversità più che ciò che unisce e omologa. Senza avere l’ansia di istituzionalizzare subito ciò che si sperimenta o di giungere a dire che le sperimentazioni sono finite – quasi un atto contro natura nella dinamica propria dell’evangelizzazione – soprattutto in questo tempo mutevole e complesso.

Osservare per ricercare similitudini, punti di somiglianza, costanti, è proprio di chi cerca di assimilare l’altro, adattarlo, senza riconoscerne la sua profonda dignità e differenza. È la via per non apprendere, è restare chiusi nella propria zona di comfort e interpretare più che ascoltare. È il modo più facile per restare immobili e ripetersi, invecchiando come un soprammobile che resta a prendere polvere.

Operare carotaggi è far emergere la diversità, gli elementi distintivi, gli scostamenti dalla cosiddetta “curva normale”. È in questo spazio di disomogeneità che siamo chiamati ad abitare oggi. Nel riconoscerla senza paura, perché possiamo trovare forza e coraggio da quella fonte che il papa ci richiama: Dio è amore, Cristo vive e salva, lo Spirito dà vita. Senza portare con sé bisacce, un altro paio di sandali, denaro. Esporci senza incasellare ma incontrare veramente l’altro dentro un’azione e un’istituzione aperta.

La realtà che viviamo è un luogo complesso, il che significa che è colma di contraddizioni e di ambiguità. La complessità però arricchisce l’esperienza, l’essenzialità e la chiarezza la riducono. Scriveva il poeta e teologo Ruben Alves, che «la piena visibilità è totalitaria». È la diversità che dà vita alla socialità o a qualsiasi forma di interazione sociale.

Nella Politica Aristotele scriveva che «una città è composta da diversi tipi di uomini; le persone simili non possono dar vita a una città».

Un’istituzione chiusa, totalitaria, fa la seguente promessa, secondo il filosofo Popper: la vita può essere semplice, più chiara, più facile. Lo si fa oggi con la tecnologia alla quale, per comodità, si mettono a disposizione tutte le nostre informazioni personali limitando la nostra libertà. Infatti, ciò che si guadagna in chiarezza, si perde in libertà.

Sinodalità: lo strumento per fare carotaggi

Papa Francesco ci raccomanda quindi uno strumento per agire e operare carotaggi: una pastorale sinodale (203ss). Ecco la via che ha la Chiesa in questo millennio per restare giovane, connessa alla realtà e non separata da essa.

Quello che scrive a proposito della pastorale giovanile può quindi essere letto in modo più ampio rivolto alla pastorale in genere: la pastorale sinodale è quella capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri [della Chiesa], attraverso un dinamismo di corresponsabilità.

Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tra cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte (206).

Prosegue poi al numero successivo sottolineando che è proprio imparando gli uni dagli altri che si potrà riflettere meglio quel meraviglioso poliedro che dev’essere la Chiesa di Gesù Cristo. Essa può attrarre proprio perché non è un’unità monolitica, ma una rete di svariati doni che lo Spirito riversa incessantemente in essa, rendendola sempre nuova nonostante le sue miserie (207).

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