Coccopalmerio: nuovi esercizi di primato

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È possibile un diverso esercizio del primato petrino in conformità alle domande poste da Giovanni Paolo II nell’Ut unum sint e alla pratica sinodale di Francesco? Il card. Coccopalmerio, ex presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, ipotizza due proposte che formula così:

«il papa potrebbe impegnarsi a non compiere mai atti di magistero particolarmente rilevanti o atti di governo particolarmente importanti, come soggetto singolo e, di conseguenza, possa impegnarsi a chiamare sempre il collegio dei vescovi a compiere tali atti come soggetto comunionale;

nel caso in cui il papa avesse motivi in coscienza, cioè davanti a Dio, che gli impedissero di aggiungere il proprio voto concorde a quelli espressi dalla maggioranza degli altri vescovi, potrebbe impegnarsi a non procedere mai come soggetto singolo e a rimandare sempre la decisione a un esame più maturo, quindi a un tempo successivo, cioè fino a quando il papa e gli altri vescovi possano trovare una visione condivisa così che possano compiere un atto di munus supremo come soggetto comunionale».

Giovanni Paolo II, in data 25 maggio 1995, ha pubblicato la lettera enciclica Ut unum sint, nella quale il santo pontefice ha dedicato la sua attenzione appassionata all’impegno ecumenico.

Nell’ormai giustamente famoso n. 95, il papa così afferma: «Quale vescovo di Roma so bene… che la comunione piena e visibile di tutte le comunità… è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle comunità cristiane e ascoltare la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova».

Primato petrino e nuove situazioni

Lei, card. Coccopalmerio, ha dedicato a questo delicato problema due suoi studi, il primo dal titolo “Il primato del romano pontefice nel Codice di diritto canonico” pubblicato in Oecumenica civitas (CEDOMEI, Livorno), IV/1(2004) 3-46, e il secondo “Verso possibili, nuove forme di esercizio del primato” pubblicato in Periodica, Pontificia Università Gregoriana, Roma, 108(2019)381-408. Si tratta di contributi molto interessanti, ma particolarmente specialistici e perciò presentano una certa difficoltà per i non addetti ai lavori. Potrebbe essere utile illustrare il suo pensiero in modo più diretto colloquiando con i nostri lettori. Di qui una serie di domande.

Sempre congiunto

Da dove prende origine la sua riflessione sull’argomento?

Come lei sa, sono da molti anni studioso di diritto canonico e, compiendo l’esegesi dei cann. 330-341, mi è parso di trovarvi una certa risposta all’importante domanda sopra riportata. Mi è sembrato significativo, in modo del tutto speciale, il dettato del can. 333, § 2, che recita così: «Il Romano Pontefice, nell’adempimento dell’ufficio di supremo Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione con gli altri vescovi…» (can. 333, § 2).

esercizi primato petrino

Che cosa trova in questo testo di particolarmente interessante per il nostro argomento?

Mi piacerebbe rispondere subito. Prima, però, di dedicarci all’esegesi del nostro testo, è necessario premettere alcune nozioni elementari. Lo faccio con la seguente scaletta.

  1. Il collegio dei vescovi è composto da tutti i vescovi della Chiesa cattolica e dal vescovo di Roma, cioè dal papa, nella sua qualità di successore di Pietro.
  2. Il papa, nel collegio dei vescovi, in quanto successore di Pietro, è in posizione di capo ed è per tale motivo in posizione gerarchicamente superiore a quella degli altri vescovi membri dello stesso collegio.
  3. Il collegio dei vescovi, in quanto composto da tutti i vescovi della Chiesa cattolica e dal papa in posizione di capo, è un soggetto che a me piace denominare soggetto comunionale.
  4. Il soggetto comunionale è ovviamente un unum, però composto da più soggetti singoli, e agisce come un unum, però attraverso l’agire di più soggetti singoli.
  5. Agisce, pertanto, nel modo seguente: ciascuno dei singoli compie un atto di intelligenza e di volontà e manifesta tale atto mediante l’espressione di un voto, così che nell’unione dei voti e nella maggioranza numerica degli stessi consiste l’atto, cioè la deliberazione, del soggetto comunionale.
  6. E, tuttavia, poiché il papa è nel collegio dei vescovi in posizione gerarchicamente superiore, il voto del papa ha un valore superiore a quello degli altri vescovi.
  7. Da ciò, logicamente, deriva che la deliberazione del collegio dei vescovi consiste non soltanto nella maggioranza numerica dei voti concordi espressi dai vescovi, bensì nella suddetta maggioranza a cui però si aggiunge il voto concorde del papa, da lui espresso liberamente.
  8. Il collegio dei vescovi, come descritto nella sua composizione e nel suo modo di agire, compie atti di magistero e di normativa con ambito esteso alla Chiesa universale.
  9. Può compiere tali atti in due forme: o essendo i vescovi radunati nel concilio ecumenico (o anche nel sinodo dei vescovi) o restando i vescovi ciascuno nella propria sede e perciò sparsi nel mondo.
  10. Può essere interessante precisare con quali modalità avvenga tale votazione nella predetta duplice forma.

Nella forma del concilio ecumenico, la votazione del collegio dei vescovi consiste nell’espressione di un voto da parte di ciascun vescovo, a cui conseguono, in modo immediato, la raccolta dei voti, la conoscenza degli stessi e quindi la determinazione della maggioranza numerica dei voti concordi espressi dai vescovi.

Nella forma dei vescovi sparsi nel mondo, la votazione del collegio consiste nell’espressione di un voto da parte di ciascun vescovo e nell’invio del voto al papa, a cui conseguono, da parte del papa, la raccolta dei voti, la conoscenza degli stessi e, quindi, la determinazione della maggioranza numerica dei voti concordi espressi dai vescovi.

Però anche il papa, come soggetto singolo, può compiere gli stessi atti di magistero e di normativa, a sua scelta, libera e insindacabile.

Pastore supremo

A questo punto, possiamo dedicarci all’esegesi del passo che ci ha citato?

Molto volentieri. Poniamo di nuovo la nostra attenzione sulle parole essenziali: «Il Romano Pontefice, nell’adempimento dell’ufficio di supremo Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione con gli altri vescovi…».

Dobbiamo chiederci il significato di questo veloce testo e particolarmente delle parole «sempre» e «congiunto» (l’espressione «nella comunione» è un di più perché ciò si trova già nella parola «congiunto»), con la particolare avvertenza, peraltro evidente, che il significato di «congiunto» determina logicamente il significato di «sempre».

Possiamo, subito, dare di «congiunto» un significato ovvio, e cioè dire che il papa «è sempre congiunto» con gli altri vescovi per il semplice motivo che è il capo del collegio dei vescovi e, di conseguenza, «è sempre congiunto» con gli altri vescovi, perché è sempre capo del collegio dei vescovi. Allora, però, la specificazione «sempre» diventa assolutamente pleonastica e perciò del tutto inutile.

Se, tuttavia, diamo fiducia alla serietà del supremo legislatore, dobbiamo assolutamente presupporre che la precisazione «sempre» non sia pleonastica e non sia inutile. Dobbiamo, allora, considerare nuovamente l’espressione «congiunto» ed esaminare, nel contesto concreto, se tale espressione abbia un significato diverso da quello che abbiamo indicato.

Infatti, a ben vedere, il testo afferma che il papa «è sempre congiunto» con gli altri vescovi «nell’adempimento dell’ufficio di supremo Pastore della Chiesa» e, quindi, non solo e non genericamente nell’essere capo del collegio dei vescovi, bensì anche e specificatamente nell’adempimento del suo ufficio. E, pertanto, quando il papa compie e, precisamente, nel compiere gli atti di magistero e di normativa con ambito esteso alla Chiesa universale, «è sempre congiunto» con gli altri vescovi. La congiunzione tra il papa e gli altri vescovi è, dunque, una congiunzione operativa nel compiere atti di magistero e di normativa.

La mens e il voto

E, tuttavia, quando il papa compie atti di magistero e di normativa come soggetto singolo, gli altri vescovi non compiono tali atti insieme con il papa. Per tale motivo come ritenere che il papa «è sempre congiunto» con gli altri vescovi e ciò proprio nel compiere gli atti in questione?

Per dare una risposta, dobbiamo precisare cosa significhi compiere atti di magistero e di normativa. Compiere tali atti esige, almeno normalmente, un complesso iter previo e conosce una fase finale con l’approvazione di un certo oggetto, di una certa risoluzione, di un certo documento. E, pertanto, nella nostra ottica, del tutto limitata, però precisa, compiere atti di magistero o di normativa significa dare l’approvazione a un certo oggetto, a una certa risoluzione, a un certo documento.

È cosa normale che l’approvazione di cui sopra avvenga attraverso una votazione. E, pertanto, sempre nella nostra ottica, compiere atti di magistero o di normativa nella sua fase finale consiste nello svolgere una votazione. Per quanto detto, la congiunzione tra il papa e gli altri vescovi, e precisamente la congiunzione operativa, consiste nel votare insieme.

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– E, però, quando il papa compie atti di magistero e di normativa come soggetto singolo, gli altri vescovi non votano insieme con il papa. Per tale motivo, anche qui, come ritenere che il papa «è sempre congiunto» con gli altri vescovi e ciò proprio nel votare?

Anche qui, per dare una risposta, dobbiamo precisare cosa significhi “votare” e, perciò, dobbiamo esaminare la struttura del voto. In parole semplici, diciamo che il voto consiste in due elementi o, in altri termini, diciamo che chi vota compie due atti. Dapprima, nel suo interno, compie un atto di volontà, con il quale approva l’oggetto, la decisione, la stesura di un documento. Poi, al suo esterno, rende visibile, quindi conoscibile, la sua interna mens, la sua interna volontà mediante l’espressione di un voto. Partendo da quanto detto, ci dobbiamo chiedere ora in che cosa precisamente consista la congiunzione operativa nel votare. La risposta è scontata: consiste in una congiunzione nei due atti di cui sopra abbiamo trattato. Congiunzione, dapprima, nella mens favorevole a una certa risoluzione e perciò nell’atto di volontà che approva tale contenuto. Congiunzione, poi, nella manifestazione della suddetta approvazione mediante l’espressione di un voto.

Viene, allora, spontaneo chiedersi se, per agire insieme, e, quindi, per essere congiunti, non sia sufficiente il primo dei due elementi in cui consiste il voto, cioè quello della mens favorevole, quindi dell’approvazione di un certo oggetto. E la risposta appare positiva.

Per capire meglio, possiamo pensare a più persone che hanno tra loro una mens comune. Se, ora, tali persone esprimono mediante un voto tale mens comune, sono tra loro congiunte sia nell’avere una mens comune, sia nel compiere un’azione comune, quella, appunto, del votare insieme. Se, invece, non esprimono mediante un voto la loro mens comune, sono, tuttavia, ugualmente congiunte, non, però, nel compiere un’azione comune, bensì, certamente, nell’avere una mens comune.

Ora, nel caso specifico del papa con gli altri vescovi, possiamo perfettamente verificare quanto detto sopra. E, in effetti, pensiamo al caso in cui il papa e gli altri vescovi hanno tra loro una mens comune e prendiamo in considerazione il caso in cui il papa compie atti di magistero o di normativa come soggetto singolo e per tale evidente motivo non esprime un voto insieme con gli altri vescovi e quindi non compie un’azione comune con loro. Orbene, anche in questo caso, possiamo, e certamente con piena ragione, affermare che il papa «è sempre congiunto» con gli altri vescovi, non, però, nel compiere un’azione comune, bensì, certamente, nell’avere una mens comune».

Verificare il consenso

– Credo che quanto fin qui specificato sia la premessa per consentirci di offrire un contributo al desiderio del papa di trovare forme nuove per l’esercizio del primato.

Certo, a questo punto, dobbiamo finalmente dare concreta attuazione al nostro proposito e allora possiamo svolgere alcune riflessioni su due principali questioni: la decisione del papa di compiere atti di magistero o di normativa come soggetto singolo; la decisione del papa di costituire in modo definitivo la deliberazione del collegio dei vescovi con il proprio voto concorde.

Vediamo la prima questione.

L’esegesi del can. 333, § 2 ci ha permesso di affermare: quando il papa agisce come soggetto singolo, cioè agisce da solo e, per tale evidente motivo, non esprime un voto insieme con gli altri vescovi, anche in questo caso possiamo ugualmente, e con piena ragione, affermare che il papa, qualora abbia con gli altri vescovi una mens comune, «è sempre congiunto» per tale mens con loro, e lo è precisamente nell’agire, non, però, nel compiere un’azione comune, bensì, certamente, nell’avere una mens comune. Dunque la condizione essenziale per quanto detto sopra è che il papa e gli altri vescovi abbiano realmente una mens comune. Altrimenti come parlare di una congiunzione precisamente nell’agire?

Ma, a questo punto, dobbiamo onestamente chiederci: la predetta mens comune esiste in modo necessario nel papa e negli altri vescovi o deve essere ricercata e cioè essere verificata nella sua effettiva esistenza?

È esattamente questo il punto centrale della questione. E, in effetti, qualora il papa avesse l’intenzione di compiere atti di magistero o di normativa come soggetto singolo, dovrebbe sapere previamente se c’è o no un pensiero comune, una volontà comune, una mens comune con gli altri vescovi. Il papa potrebbe allora: a) presupporre l’esistenza di una mens comune tra sé e gli altri vescovi e, per questo motivo, ritenere di non avere bisogno di verificare la suddetta presupposizione; b) verificare la reale esistenza di tale mens comune.

La decisione a) può lasciare perplessi; la decisione b) resta l’unica praticabile, perché solo così il papa ha la possibilità di conoscere la mens dei vescovi. A meno di pensare che, ogni qualvolta che il papa compie atti di magistero o di normativa con ambito esteso alla Chiesa universale, «è sempre congiunto» con gli altri vescovi per il motivo che non potrebbe (soprattutto per gli atti di magistero) dire qualcosa di contrario alla mens degli altri vescovi, e ciò per l’assistenza dello Spirito Santo. A me, però, parrebbe qualcosa di sapore magico. Il papa, quindi, deve verificare l’effettiva esistenza di una mens comune con gli altri vescovi».

Confronto e dibattito

Come procedere a tale verifica?

Mi pare presto detto: il papa dovrebbe chiedere a ciascun vescovo di esprimere a lui il proprio parere, ponendo alcune domande, che siano molto semplici o comunque molto precise, e chiedendo risposte semplici, anche soltanto sì o no. In modo tale che il papa, raccogliendo i vari pareri, possa effettivamente verificare la mens degli altri vescovi.

Ritengo del tutto insufficiente chiedere un parere collettivo, per esempio a livello di conferenza episcopale. Ritengo invece assolutamente necessario che ciascun vescovo esprima la propria mens e compia tale impegno – come detto sopra – rispondendo a domande precise.

Possiamo comunque notare – cosa per altro evidente – che il discorso fin qui svolto pecca di grande schematizzazione. Abbiamo, infatti, detto che il papa verificherebbe l’esistenza di un pensiero o di una volontà comuni fra sé e gli altri vescovi mediante la posizione di alcune domande a cui i vescovi sarebbero chiamati a rispondere puntualmente. Ma è del tutto evidente che il senso di tali quesiti non risulta immediatamente comprensibile. Pertanto la suddetta interrogazione dovrebbe essere preceduta da ampio e lungo dibattito, anche, per esempio, con l’apposita celebrazione di un sinodo dei vescovi, con convegni, con pubblicazioni. Ma il discorso da noi svolto prescinde da tale iter – anche se lo presuppone assolutamente – perché vuole indicare solo la struttura essenziale.

Mai solo

Esperita la consultazione e constatata l’esistenza di una mens concorde, il papa potrebbe procedere come soggetto singolo?

Lo potrebbe certamente. Questa, però, non ci sembra una risposta soddisfacente. E, in effetti, se è vero che il papa deve, quasi necessariamente, ricorrere al meccanismo di consultazione appena sopra indicato, non sarebbe meglio che il papa scegliesse sempre, o almeno normalmente, di chiamare il collegio dei vescovi a compiere atti di governo, cioè di magistero o di normativa, come soggetto comunionale e per tale motivo evitare di compiere tali atti come soggetto singolo?

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La forma da scegliersi per l’atto collegiale non sarebbe necessariamente quella del concilio ecumenico, anche per la difficoltà di organizzare un simile solenne evento, ma sarebbe facilmente quella dell’atto di deliberazione dei vescovi sparsi nel mondo. Ciò avverrebbe – come detto – con la posizione di alcune domande, nelle quali ciascun vescovo esprimerebbe il proprio voto e quindi lo invierebbe al papa. Questi, poi, aggiungendo liberamente il proprio voto concorde alla maggioranza dei voti espressi dagli altri vescovi, farebbe sì che il collegio compisse un atto collegiale.

Ma, allora, il papa non potrebbe più compiere atti di governo come soggetto singolo?

Possiamo, certo, riconoscere che quanto detto sopra vale per gli atti di governo particolarmente importanti o decisivi, specie per quelli di magistero. Non neghiamo, però, che, nel caso ci fosse urgenza di compiere un certo atto e ci fosse al contempo la sicurezza (da presupporre comunque con serietà) di una mens comune con gli altri vescovi, il papa potrebbe agire come soggetto singolo. È, tuttavia, realisticamente credibile che si verifichi davvero questa urgenza? Un’urgenza tale per cui non ci sarebbe il tempo per attuare una consultazione dei vescovi, specialmente per gli atti di magistero solenne, i cui effetti sono destinati a durare per sempre?

E quindi, su questo punto, cosa possiamo concludere?

Con quanto detto, siamo giunti a una prima proposta per una nuova forma di esercizio del primato. Ritengo che il papa possa impegnarsi a non compiere mai atti di magistero particolarmente rilevante o atti di normativa particolarmente importante come soggetto singolo e, di conseguenza, possa impegnarsi a chiamare sempre il collegio dei vescovi a compiere tali atti come soggetto comunionale. Tale impegno sarebbe, da una parte, del tutto consentaneo con il contenuto dogmatico del primato del papa perché sarebbe una scelta libera del papa stesso. Sarebbe, dall’altra, una nuova forma di esercizio del primato, nuova non certamente nel senso generico e ovvio del compimento del munus supremo del papa con gli altri vescovi, bensì nuova nel senso specifico dell’impegno preso dal papa di procedere sempre in questo modo».

Possibile dissenso

La seconda questione da lei proposta sarebbe la decisione del papa di costituire in modo definitivo la deliberazione del collegio dei vescovi con il proprio voto concorde.

Ricordiamo brevemente quanto detto nelle risposte precedenti: a) la deliberazione del collegio dei vescovi consiste non soltanto nella maggioranza dei voti espressi dai vescovi, bensì nella suddetta maggioranza a cui però si aggiunge il voto concorde del papa; b) il papa è libero di aggiungere il proprio voto alla maggioranza dei voti degli altri vescovi. Se, dunque, il papa è libero nel senso detto, ciò significa che il papa potrebbe avere motivi che gli impedirebbero di aggiungere il proprio voto alla maggioranza dei voti degli altri vescovi.

Quali potrebbero essere i motivi che determinerebbero il papa a non poter aderire ai voti degli altri vescovi?

Ritengo che tali motivi debbano essere adeguati all’importanza e alla gravità della situazione. Diciamo in sostanza così: il papa potrebbe dissentire dalla maggioranza degli altri vescovi qualora giudicasse nella sua coscienza, cioè davanti a Dio, che la loro posizione non è giusta, non è, cioè, secondo il pensiero del Signore. Per dissentire dalla posizione dei vescovi non sarebbe sufficiente, né potrebbe esserlo, che il papa giudicasse la loro posizione come in contrasto con una visione teologica che il papa potrebbe preferire in quanto studioso privato.

Sarebbe invece necessario – come dicevamo sopra – che il papa giudicasse la posizione dei vescovi come in contrasto con il pensiero del Signore, che egli interpreta in quanto titolare del munus di Pietro, e cioè del primato. Ma ci chiediamo ancora: è realisticamente ipotizzabile che ciò avvenga? È ipotizzabile che, soprattutto negli atti di magistero, si possa verificare una grave differenza di convinzione tra la maggioranza dei vescovi e il papa? Comunque l’ipotesi deve ritenersi come possibile.

Primato e cristianesimo

Qualora il papa giudicasse in coscienza, coram Domino, di avere motivi per non poter aggiungere il proprio voto concorde alla maggioranza dei voti espressi dagli altri vescovi, che dovrebbe fare?

Il papa, ugualmente, potrebbe compiere come soggetto singolo un atto di magistero o di normativa, anche un atto di magistero definitorio, e questo atto sarebbe valido e non esigerebbe la ratifica di nessuno.

esercizi primato petrinoRicorda, infatti, il concilio: «Perciò le sue definizioni giustamente sono dette irreformabili per se stesse e non per il consenso della Chiesa, perché sono pronunciate con l’assistenza dello Spirito Santo, promessagli nel beato Pietro…» (Lumen gentium, n. 25,3).

Ma si potrebbe dire che il papa compirebbe un atto secondo il can. 333, § 2? Quale congiunzione ci sarebbe tra il papa e gli altri vescovi? Il papa, allora, potrebbe astenersi dal compiere un atto di magistero o di normativa, e ciò proprio per essere congiunto con gli altri vescovi, sempre secondo il can. 333, § 2. Il papa potrebbe, in questo caso, rimandare la decisione a un tempo successivo, proporre cioè che la questione sia considerata di nuovo e valutata in modo più maturo, cosicché sia possibile, probabilmente in un futuro non lontano, trovare una visione condivisa.

E, perciò, cosa concludiamo?

C’è, qui, una seconda proposta per una nuova forma di esercizio del primato. E, in effetti, nel caso in cui si verificasse un dissenso dalla maggioranza dei voti espressi dagli altri vescovi, ritengo che il papa potrebbe impegnarsi a non compiere mai atti di magistero particolarmente rilevante o atti di normativa particolarmente importante come soggetto singolo, bensì possa impegnarsi a rimandare sempre la decisione a un esame più maturo, quindi a un tempo successivo, cioè fino a quando il papa e gli altri vescovi possano trovare una visione condivisa così che possano compiere un atto di munus supremo come soggetto comunionale.

E anche in questo caso possiamo tranquillamente affermare che tale impegno sarebbe, da una parte, del tutto consentaneo con il primato del papa perché sarebbe una scelta libera del papa stesso. E sarebbe, dall’altra, una nuova forma di esercizio del primato, nel senso, anche qui, dell’impegno preso dal papa di procedere sempre in questo modo.

Possiamo, dunque, presentare le due precedenti proposte?

Per quanto detto, come risposta a Ut unum sint, n. 95 al fine «di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova», i nostri suggerimenti potrebbero essere così formulati:

  1. il papa potrebbe impegnarsi a non compiere mai atti di magistero particolarmente rilevanti o atti di governo particolarmente importanti, come soggetto singolo e, di conseguenza, possa impegnarsi a chiamare sempre il collegio dei vescovi a compiere tali atti come soggetto comunionale;
  2. nel caso in cui il papa avesse motivi in coscienza, cioè davanti a Dio, che gli impedissero di aggiungere il proprio voto concorde a quelli espressi dalla maggioranza degli altri vescovi, potrebbe impegnarsi a non procedere mai come soggetto singolo e a rimandare sempre la decisione a un esame più maturo, quindi a un tempo successivo, cioè fino a quando il papa e gli altri vescovi possano trovare una visione condivisa così che possano compiere un atto di munus supremo come soggetto comunionale».
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Un commento

  1. Giampa 7 gennaio 2020

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