Contro Magister

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nemici francesco

Francesco – per il quale la realtà è superiore all’idea – ci pone spesso a confronto con l’umano bisogno di ricorrere agli schemi, sovente ideologici.

Per effetto di tanto nostro irresistibile bisogno – forse – Francesco è stato di volta in volta definito “complice di Videla”, “comunista”, “turbo-globalista”, “finto rivoluzionario”, “eretico ed usurpatore”. Ora è senz’altro segno di contraddizione.

Gli spettri di Bergoglio

Da giornalista, sento il bisogno di fare un po’ di storia e di ordine, senza peraltro cedere alla tentazione di scorgere ovunque spettri: sarebbe il solito tentativo di silenziare ogni dissenso nel nome del complotto. Sono di fatto in corso tentativi di delegittimare Francesco, ma anche critiche – peraltro sempre necessarie – dalle quali affiorano molti problemi da decifrare, equivoci cattolici da chiarire e desideri di ambienti esterni alla Chiesa da interpretare. Dal variegato mondo di interessi propri proviene oggi la rappresentazione di un papa ostile al dialogo, per motivarne il rifiuto.

Il primo attacco è venuto dai tetragoni depositari di un’altra ortodossia. Il loro problema era in fondo costituito da un papa appartenente al sud del mondo, popolare e quindi attento ai poveri. È la tesi accreditata da Horacio Verbitsky, molto considerato a sinistra quale avversario del regime argentino, benché abbia collaborato a lungo alla stesura di un volume sulla storia dell’aviazione militare argentina dopo aver firmato un contratto all’epoca di Videla, nel marzo del 1981, con l’Instituto Argentino de Historia Aeronáutica Jorge Newbery, finanziato dalla Sociedad Militar Seguro de Vida.

Verbitsky, dall’Argentina, accusò Francesco – nei giorni successivi alla sua elezione – di complicità col regime. Benché Bergoglio – notoriamente – abbia rischiato la vita per salvare una perseguitata comunista: Esther. Il volume di Nello Scavo, La lista Bergoglio. I salvati da Francesco durante la dittatura, pubblicato pochi mesi dopo quell’attacco, ha affermato tutt’altra storia rispetto a quella sostenuta da Verbitsky.

Quel capitolo di delegittimazione si è dunque estinto poiché il volume di Nello ha rimesso un certo qual ordine, ma la quiete è durata poco. Nel corso degli anni successivi, sino ad ora, un filosofo “marxista”, quale Diego Fusaro, ha variamente alimentato – ancora da “sinistra” – l’accusa a Francesco di essere promotore di “turbo-globalismo” (e molto altro).

Nel 2015 si è aperto un altro fronte. Correvano le settimane dell’agitato sinodo sulla famiglia, conclusosi il 24 ottobre di quell’anno. Tre giorni prima, fu pubblicato uno scoop rivelatosi infondato: Francesco sarebbe stato affetto da una piccola macchia scura nel cervello, un “tumore curabile”.

Quello scoop fu accompagnato da un sotto-scoop, anch’esso falso: per curare il papa sarebbe stato chiamato in Vaticano in gran segreto il professor Fukushima. Fu pura coincidenza quella tra la data di divulgazione del falso scoop del tumore e il momento apicale del confronto sinodale? O può avere fondamento l’illazione che potesse maldestramente servire a diffondere l’idea di un “papa pazzo”?

Il sinodo sulla famiglia è entrato nella storia per la questione dei divorziati risposati. Molti hanno sostenuto che nessuna apertura nei loro confronti sarebbe stata possibile, perché la dottrina è intangibile. Strano: un altro papa, Giovanni Paolo II – ora proclamato santo – ha trasformato il codice di diritto canonico che rivestiva i divorziati risposati di pubblica infamia e nella Familiaris Consortio li ha riconosciuti nella comunione spirituale della Chiesa.

A mio avviso Amoris Laetitia si pone nello stesso solco, indicando la necessità di accompagnare, conoscere, discernere, poiché “il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi; le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi”.

AL contraria alla fede

Archiviato il sinodo sulla famiglia, non si è comunque sedata la turbolenza. L’Esortazione Apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, datata marzo 2016, è stata resa pubblica l’8 aprile successivo.  E nel giugno del 2016 un gruppo di 45 studiosi cattolici inviarono una lettera a tutti i cardinali nella quale si chiedeva che papa Francesco ripudiasse un “numero di elementi che possono essere intesi in maniera contraria alla fede ed alla morale cattolica”: i padri sinodali, le loro votazioni e la conseguente esortazione apostolica erano andati dunque contro la morale cristiano-cattolica?

Di lì a breve, quattro cardinali espressero i loro famosi dubbi. In questo modo si è cominciato a vociferare del “papa eretico”. Novità non assoluta: il 7 maggio 2001, Vittorio Messori scrisse, a riguardo dello stesso Giovanni Paolo II, sul Corriere della Sera: “Non ci sono più soltanto le schiere lefebvriane che lo accusano di modernismo, di eresia, di diffamazione blasfema della storia della Chiesa. Tra le Congregazioni, i Segretariati, gli Istituti della macchina cattolica crescono disagi e sospetti.” Quei sospetti di eresia derivavano dai mea culpa pronunciati da Giovanni Paolo II, nonostante tante contrarietà. Si sarebbe passati presto dal malessere all’esternazione manifesta dello stesso.

Uno dei quattro cardinali percorsi dai dubbi circa Amoris Laetitia, Walter Brandmüller, in un articolo apparso in Germania nell’estate del 2017 sostenne che Francesco avrebbe dovuto riesumare un’usanza medievale per cui, ogni anno, nell’anniversario della sua elezione, avrebbe dovuto pronunciare pubblicamente il Credo.

Non ho trovato altre menzioni di questa antica usanza, ma noto che in tali disquisizioni ricorrono sempre canoni e decreti, quasi mai il Vangelo. L’enciclica Sacra Verginitas di Pio XII definiva la vita virginale più “elevata” rispetto a quella coniugale. Mentre nel ciclo di udienze dedicate alla teologia del corpo da parte di Giovanni Paolo II si è affermato che i due modelli di vita sono di eguale valore.

Da giornalista, appunto, non da teologo, osservo che i tempi cambiano e possiamo tutti comprendere meglio quel che è stato mal compreso in precedenza.

McCarrick

Alla tempesta del 2016 – proseguita nel 2017 – ne è succeduta un’altra nell’anno successivo: il 26 agosto del 2018, mentre Francesco stava concludendo il suo viaggio nell’Irlanda martoriata dagli abusi, monsignor Carlo Maria Viganó, già nunzio apostolico negli Stati Uniti, ne chiese le dimissioni per il caso McCarrick.

Come nel precedente di Verbitsky, si può scorgere ancora una volta l’intenzione di delegittimare, del resto ben esplicitata dalla richiesta di dimissioni.  Quell’assalto intendeva annoverare Francesco tra gli insabbiatori degli abusi perpetrati dall’allora cardinale dimissionato da Francesco un mese prima dell’intervento di monsignor Viganò. Sottoposto segretamente a riduzioni delle sue pubbliche attività, McCarrick continuava comunque, nel mentre, ad intervenire in eventi pubblici, anche in compagnia dello stesso monsignor Viganò.

Proprio il 2018 è stato l’anno scelto da MicroMega, rivista che si definisce di “sinistra libertaria”, per la pubblicazione del numero dedicato a “la finta rivoluzione di Papa Francesco”. Il servizio ha sostenuto “il sospetto che quella messa in campo dal pontefice sulla vicenda McCarrick fosse una riuscitissima operazione mediatica, portata avanti, come spiega Cecilia M. Calamani, grazie alla complicità di tutti i mezzi di comunicazione ‘laici’ che, insieme ad altri fattori ben approfonditi nel suo saggio da Marco Marzano, avrebbero reso possibile la costruzione della star Francesco”. Ma il caso Viganò non è stato affatto “operazione mediatica” di un giorno solo, bensì è proseguito a lungo e con esternazioni quasi quotidiane.

Sono così fiorite le ipotesi più estreme, come quella del “papa usurpatore”. Per quanto ne so, il copyright della definizione spetta ad un attento lettore di monsignor Viganò, ossia Francesco Lamendola, per il quale, come fu di Bonifacio VIII, anche Francesco sarebbe un papa illegittimo, perché eletto dopo un complotto ordito ai danni di Benedetto XVI.

 Il 2019 è stato l’anno di un altro sinodo, quello sull’Amazzonia. Su La Nuova Bussola Quotidiana  Riccardo Cascioli scrisse: “papa: un linguaggio contraddittorio ma calcolato”. Parlava della necessità di ordinare “preti sposati” per portare l’eucarestia in un’Amazzonia senza ministri e aggiunse: “chiaro che siamo sempre al metodo di ‘iniziare i processi’ che è tanto caro (a Francesco).

Si comincia con le eccezioni: i posti lontani, i preti che visitano le comunità una volta l’anno (ma questo non è un problema nuovo, eppure non è mai stata presa in considerazione dai Papi l’eventualità dei preti sposati), poi le eccezioni diventano rapidamente la regola”. Va notato che il sinodo sull’Amazzonia aprì (e molto) su questo punto, ma non altrettanto Francesco.

Fraternità e proprietà

Ma è il 2020 a riportare in scena l’intento di delegittimazione di Francesco, in occasione dell’uscita dell’enciclica Fratelli tutti. Il papa è stato accusato di complicità con i militari argentini ed è diventato il “papa comunista”. Questa è la tesi di un fronte esterno alla Chiesa, ma dal versante opposto a quello che accreditò Verbitsky, quindi da “destra”. La questione è divenuta chiaramente politica: la proprietà privata!

Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa redatto già nel 2007 da Massimiliano Nastri, si afferma che “La tradizione cristiana mai ha riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto e intoccabile; essa è solo uno strumento per rispettare il principio della destinazione universale dei beni ed è un mezzo e non un fine in ultima analisi”.

Francesco nella sua enciclica ha affermato proprio questo: “Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati”. Il libro del professor Massimo Borghesi, Francesco, la Chiesa tra ideologia teocon e ospedale da campo aiuta a cogliere i termini della questione.

Il percorso che sto seguendo conduce diritto a questo 2021, nel quale è ritornata la critica al papa “contraddittorio”: si trova nell’articolo de L’Espresso del 20 marzo scorso a firma di Sandro Magister, intitolato “Francesco, il Papa che si auto-contraddice. Teoria e pratica di un pontificato non infallibile”. Vi troviamo, come sempre nei testi di Magister, punti importanti e graffianti. Ma questi, a mio parere, gioca su un equivoco.

Il piglio di Magister

Nella prima parte del suo testo Magister critica l’esercizio del potere da parte di Francesco, “in spregio delle norme e soprattutto dei più elementari diritti delle persone”: si va dal caso Becciu al riscontro alla Congregazione per la Dottrina della Fede circa l’opportunità di benedire o meno le coppie omosessuali conviventi.

Ha scritto Magister: “Francesco ha dato formalmente ‘il suo assenso alla pubblicazione’ del Responsum. Subito dopo, però, ha fatto trapelare la sua contrarietà. È bastato infatti che all’Angelus della domenica successiva egli deplorasse i legalismi,   i moralismi clericali  e le condanne prive di gesti d’amore, perché i fautori della benedizione delle coppie omosessuali si sentissero da lui autorizzati a procedere a loro piacimento. Senza che il papa facesse alcunché per fermarli”.

Bergoglio – si sa – fa riferimento al pensiero di un maestro del cattolicesimo contemporaneo, Romano Guardini e alla sua opera L’opposizione polare. Per Magister la distanza tra i due non potrebbe essere più “abissale”: “Il disordine del suo eloquio è pari a quello del suo pensiero. Quando parla o scrive Bergoglio non è mai lineare, sintetico, diretto, inequivocabile. È tutto l’opposto. Dice e non dice, disdice, si contraddice”.

È noto che Walt Whitman ha meritoriamente scritto: “Forse che mi contraddico?  Benissimo, allora vuol dire che sono vasto e contengo moltitudini”. Ma non è il contraddirsi di Whitman quel che qui risalta. Ma una questione culturale di enorme valore, come spiega il professor Massimo Borghesi che da anni ci aiuta a capire come la lezione di Guardini risulti profondamente nel pensiero di Bergoglio.

Per Magister la polarità teorizzata da Guardini è quella che “tiene uniti gli opposti senza annullarli, che concepisce la Chiesa come complexio oppositorum, fatta insieme di istituzione e di carisma, di mistero e di parola, di interiorità e di culto pubblico, di storia e di vita eterna. In Bergoglio, invece, questo fecondo equilibrio degli opposti scade in grossolane contraddizioni, nelle quali uno dei due poli stravince sull’altro oppure l’uno vale come il suo contrario”.

Ecco per me l’equivoco. Nelle righe precedenti all’enunciazione del principio “il tempo è superiore allo spazio” – insieme ad altre tre analoghe indicazioni altrettanto importanti di Evangelii gaudium -, Francesco ci avvisa con scrupolo: “vi sono quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale.

Derivano dai grandi postulati della Dottrina Sociale della Chiesa, i quali costituiscono il primo e fondamentale parametro di riferimento per l’interpretazione e la valutazione dei fenomeni sociali.  Alla luce di essi desidero ora proporre questi quattro principi che orientano specificamente lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzano all’interno di un progetto comune. Lo faccio nella convinzione che la loro applicazione può rappresentare un’autentica via verso la pace all’interno di ciascuna nazione e nel mondo intero”.

Francesco e il sociale

Francesco parla espressamente di fenomeni sociali. Intervistato da padre Antonio Spadaro, ha detto: “L’opposizione apre un cammino, una strada da percorrere. Parlando più in generale devo dire che amo le opposizioni. Romano Guardini mi ha aiutato con un suo libro per me importante, L’opposizione polare. Lui parlava di un’opposizione in cui i due opposti non si annullano. Non accade che un polo distrugga l’altro. Non c’è né contraddizione, né identità. Per lui l’opposizione si risolve in un piano superiore. In quella soluzione però rimane la tensione bipolare. La tensione rimane, non si annulla. I limiti vanno superati non negandoli. Le opposizioni aiutano. La vista umana è strutturata in forma oppositiva. Ed è quello che succede adesso anche nella Chiesa. Le tensioni non vanno necessariamente risolte e omologate, non sono come le contraddizioni”.

Non si tratta qui proprio del fecondo equilibrio degli opposti?  Decisiva è ancora la lettura di Evangelii Gaudium: “Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse, se ne lavano le mani per poter continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e così l’unità diventa impossibile.

Vi è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. In questo modo, si rende possibile sviluppare una comunione nelle differenze, che può essere favorita solo da quelle nobili persone che hanno il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale e considerano gli altri nella loro dignità più profonda. Per questo è necessario postulare un principio che è indispensabile per costruire l’amicizia sociale: l’unità è superiore al conflitto.

La solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida, diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto. Questo criterio evangelico ci ricorda che Cristo ha unificato tutto in Sé: cielo e terra, Dio e uomo, tempo ed eternità, carne e spirito, persona e società”.

Sì, per Francesco “la diversità è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una diversità riconciliata”.

Ecco perché l’inedito di Bergoglio pubblicato da La Civiltà Cattolica per me – diversamente da quanto coglie Magister – è decisivo. Perché mi libera dall’idea illusoria di conoscere una verità ab aeterno. Qui vale, in qualche modo, lad modum recipientis, ma al rovescio: ad modum develantis. Ogni realtà ha, in sé, il suo modo di svelarsi, da cui affiorano le potenzialità che le sono insite. La realtà si svela in consonanza con ciò che è! Ecco il no agli schemi semplificatori e alle ideologie: la realtà è superiore all’idea! Questo è il metodo di Bergoglio, fondamentale per vivere e per con-vivere in questo tempo liberato dalle ideologie.

Capirsi su questo potrebbe servire a individuare altri equivoci, a vedere i ritardi che bloccano segmenti dei mondi liberal oppure radical, a sciogliere il dilemma cattolico. Se con Giovanni Paolo II il livello di guardia è stato raggiunto a motivo dei mea culpa e con Francesco gli argini sembrano sotto pressione a ragione del sinodo sulla famiglia, un motivo evidentemente – secondo me – c’è: la Chiesa non è una realtà eterna, al di sopra e al di là della storia, ovvero la Chiesa “cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta insieme al mondo la medesima sorte terrena” (Gaudium et spes).

Il vantaggio che tutti – credenti, dubbiosi e non credenti – possiamo trarre da Francesco è che lui – non essendo stato padre conciliare – ci aiuta davvero a passare dal tempo dell’interpretazione del Concilio a quello della sua attuazione, semplicemente chiedendoci di imparare a con-vivere da esseri umani. Veramente umani.

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Un commento

  1. Angela 5 maggio 2021

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