Diario del Sinodo panamazzonico /1

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Il teologo brasiliano José Oscar Beozzo, coordinatore del Centro servizi ecumenici per l’evangelizzazione e l’educazione popolare, si trova a Roma su invito di una ventina di vescovi con i quali ha lavorato in preparazione al Sinodo panamazzonico. Ci invierà i suoi interventi a mo’ di diario. Questi primi tre interventi li possiamo considerare introduttivi.

ROMA, 3 ottobre 2019

A causa degli ingorghi in città e sul lungomare di Tietê, sono arrivato in ritardo all’aeroporto di Guarulhos, per imbarcarmi per il Sinodo a Roma, via Lisbona. Aspettavo con ansia l’invio da parte della TAP (Compagnia aerea portoghese) o di Nelson Tyski della Verbo Filmes, di oltre 130 opuscoli dell’Ufficio dei martiri itineranti: Vite per la vita, Vite per il Regno, Vite per l’Amazzonia, giunti direttamente dalla tipografia all’aeroporto.

Nuovi percorsi per la Chiesa e per un’ecologia integrale

Sono stati stampati dalla Congregazione del Verbo Divino dopo essere stati amorevolmente preparati dal Mirim (P. Laudimiro Borges) della Rete Celebra, con l’aiuto di molte altre mani in Ecuador, Colombia, Venezuela, Bolivia, Italia e Brasile.

Diario del Sinodo

Ho dovuto metterli nella valigia di supporto che avevo con me e portarli alle celebrazioni dei martiri amazzonici nella tenda Amazzonia nostra casa comune, allestita nella chiesa di Santa Maria in Traspontina, in via della Conciliazione, tra Ponte Sant’Angelo e Piazza San Pietro.

Ogni giorno è previsto che si celebri in quello spazio un martire o una martire di uno dei nove paesi del bacino amazzonico presenti al Sinodo: Guyana francese, Suriname, Guyana, Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia e Brasile.

La prima ad essere celebrata sarà sr. Dorothy Stang assassinata freddamente ad Anapu, PA, il 12 febbraio 2005, da un killer assunto dai proprietari terrieri e dagli accaparratori di terra nella regione.

In passato, all’alba della colonizzazione, si uccideva per appropriarsi della terra, schiavizzare gli indigeni, per impossessarsi dell’oro e dell’argento. Più recentemente, furono uccisi coloro che insorgevano contro le ingiustizie sociali e la repressione politica di un intero popolo nelle dittature militari, come mons. Oscar Romero nel Salvador.

Ora si uccidono in Amazzonia e altrove coloro che difendono l’ambiente denunciando la deforestazione, l’inquinamento dei fiumi, l’invasione di terre indigene, lo sfratto violento delle popolazioni fluviali, dei quilomboli (comunità fondata da schiavi africani fuggiti dalle piantagioni in cui erano prigionieri nel Brasile all’epoca della schiavitù), per lo sfruttamento del legname, dei minerali, del petrolio, del gas e la realizzazione di grandi progetti idroelettrici, idrovie, ferrovie e autostrade.

Mentre mi affrettavo verso il cancello dell’imbarco, pensavo che in quel momento da molti torrenti e fiumi amazzonici stavano scendendo in barca rappresentanti di popolazioni indigene, missionari, diaconi, vescovi, laici e laiche verso Manaus in Amazzonia, Belém, a Pará, São Luís nel Maranhão, per prendere un volo per il Sinodo a Roma.

Facevano il viaggio inverso delle caravelle che erano partite dalle spiagge del Tago a Lisbona nei secoli XVI e XVII per colonizzare il nord-est, il sud e poi il nord di quella che fu chiamata Terra de Santa Cruz, Terra da Vera Cruz, Terra dei Pappagalli e infine Terra Brasilis. Veniva propugnato così il riconoscimento del suo inesorabile inserimento nel mercantilismo delle grandi navigazioni. La merce che divenne dominante nello scambio con gli indigeni, il pau-brasil (pianta di pernambuco), costrinse a cambiare il nome di Terra de Santa Cruz da parte di coloro che sognavano di espandere la fede, in Brasile, espressione del crudo realismo dell’economia e della fondazione dell’impero. Il pau-brasil, non la croce, veniva iscritto nell’atto di nascita e persino del battesimo da parte di una Chiesa che divenne strumento e alleato dello Stato, nel suo progetto di “espandere la fede e l’impero”.

Con mia sorpresa, la rivista di bordo della TAP di ottobre riproduceva un volto e un corpo immaginari con il colore del corpo degli indigeni e portava come titolo: Belém do Pará – Imbarco per l’Amazzonia.

Il reportage sottolineava che lì, dove si trova il piccolo centro storico, chiamato Santa Maria de Belém, fu costruita la prima struttura europea nella baia di Guajará, il forte del castello del Signore Santo Cristo del Presepio, punta di diamante della felice Lusitania. Occorre chiedersi sempre: felice per chi? Per le popolazioni indigene o per i coloni? La rivista aggiungeva: «Qui arrivarono nel 1616, meno di 200 uomini dal Maranhão per la conquista della foce del Rio delle Amazzoni. Costruirono questo forte per difendersi dagli indigeni, i guerrieri Tupinambás…».

Ciò che non si dice è che dovevano difendersi dai Tupinambás dopo aver occupato con la violenza le loro terre attorno alla baia, effettuando una pulizia etnica e stabilendo un’ampia cerchia di sicurezza, razziando i loro villaggi e massacrando circa trentamila indigeni, un fatto denunciato e fortemente condannato dai primi missionari francescani che arrivarono in questa zona.

Il forte, come catenaccio sulla sponda meridionale del Rio delle Amazzoni, servì in seguito a respingere i francesi che scendevano dalla Guyana francese fino alla foce dell’Amazzonia, dove furono accolti dal forte di Macapá sul braccio settentrionale del fiume.

Servì anche nel fallito tentativo di bloccare l’ingresso degli olandesi che erano riusciti a costruire un forte all’ingresso del fiume Tapajós. Fu comunque utile a prevenire l’assalto di corsari inglesi, francesi e olandesi all’emporio commerciale dell’intero bacino amazzonico in cui Belém si era trasformata.

Durante il volo e il cambio di aereo all’aeroporto di Lisbona, ho avuto nuovamente la sorpresa del mio primo contatto con il Portogallo nel 1965, di sentirmi come uno straniero nella mia lingua, trovando inusuali per noi brasiliani parole o espressioni comuni nel linguaggio quotidiano, come chiamare la stazione ferroviaria, la “stazione del convoglio”, il vagone “carrozza”, il sedile dell’aereo “sedia” e così via.

Per quanto riguarda la rapida inflessione portoghese, che mangia le vocali e il brasiliano che le allunga, attiro l’attenzione sulla straordinaria osservazione della celebre poetessa portoghese Sophia de Mello Breyner Andresen: «Mi piace ascoltare il portoghese brasiliano, dove le parole recuperano la loro sostanza totale, concrete come frutti, chiare come uccelli. Mi piace ascoltare le parole con tutte le loro sillabe, senza perdere nemmeno un quinto di vocale».

Da Lisbona, volando verso il sol levante, si potevano vedere i segni della crisi ambientale, uno dei temi centrali del Sinodo amazzonico, quando ci invita a cercare nuovi percorsi per un’ecologia integrale.

La prima minaccia è la crescente carenza di acqua dolce e il suo inquinamento. Dappertutto, il terreno piuttosto asciutto che stavamo sorvolando dal Portogallo e dalla Spagna, in direzione est, brillava di numerosi specchi d’acqua. Indicavano lo sforzo di raccogliere acqua da piccole sorgenti e corsi d’acqua, per abbeverare il bestiame e irrigare le colture agricole.

Si vedevano anche gli sforzi per spostare la fonte energetica dai combustibili fossili all’energia rinnovabile. Qua e là sorgevano le alte torri dei parchi eolici e anche grandi estensioni di terra coperti da pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica. Ho visto solo un complesso di alte ciminiere che emettevano fumo bianco che, se non era una fabbrica, poteva essere un residuo di centrali elettriche a carbone o diesel.

Poco dopo toccammo terra all’aeroporto romano di Fiumicino, per l’inizio della giornata del Sinodo panamazzonico, dal 6 al 27 ottobre.

ROMA, 4 ottobre 2019

Il 19 gennaio 2018, in Perù, a Puerto Maldonado, nel cuore della foresta amazzonica, in uno stadio occupato da delegazioni di oltre trenta popolazioni indigene della regione, papa Francesco iniziò il cammino verso il Sinodo dell’Amazzonia.

Voglio visitarvi e ascoltarvi

Il posto che scelse non era Roma, ma il Perù, uno dei nove paesi del bacino amazzonico. Non era Lima, la capitale del paese, ma un vicariato apostolico nella giungla, con grande sorpresa del giovane vescovo locale, un missionario domenicano spagnolo, David Martinez de Aguirre Guinea. Quest’area missionaria, creata il 5 gennaio 1900, come Prefettura Apostolica di Santo Domingo de Urubamba e affidata ai padri domenicani, fu separata dalla diocesi di Cuzco, ex capitale dell’impero Inca, la più antica diocesi del Sud America, eretta nel 1536.

Diario del Sinodo

Nel 1913 divenne Vicariato Apostolico di Urubamba e Madre de Dios e, infine, nel 1949, ottenne il nome attuale di Vicariato Apostolico di Puerto Maldonado.

Urubamba e Madre de Dios sono due affluenti del Rio delle Amazzoni, le cui acque scendono dalla Cordigliera delle Ande, ingrossate dallo scioglimento annuale della neve che copre le sue alte cime.

Papa Francesco fu ricevuto nello stadio della Madre de Dios con molta festa ed entusiasmo. Gli regalarono un copricapo di dignitario indigeno che si mise subito sul capo, assieme al suo zucchetto bianco da papa, con grande orgoglio e gioia, come segno del fraterno cammino sinodale che stavano iniziando insieme. La foto fece il giro del mondo e oggi si vede ovunque, quando si parla del Sinodo panamazzonico.

Dopo aver ascoltato i saluti e i desideri dei diversi popoli originari lì presenti disse loro: «Vedo che siete venuti dai diversi paesi dell’Amazzonia, tra gli altri: Harakbut, Esse-ejas, Matsiguenkas, Yines, Shipibos, Asháninkas, Yaneshas, Kakintes, Nahuas, Yaminahuas, JuniKuin, Madijá, Manchineris, Kukamas, Kandozi, Quichuas, Huitotos, Shawis, Achuar, Boras, Awajún, Wampis».

Francesco si rivolse loro dicendo: «Vedo anche che ci fanno compagnia popolazioni originarie delle Ande, giunte nella foresta e diventate amazzoniche. Ho molto desiderato questo incontro. Ho voluto iniziare da qui la visita in Perù. Grazie per la vostra presenza e per aiutarci a vedere più da vicino nei vostri volti il riflesso di questa terra. Un volto plurale di infinita varietà ed enorme ricchezza biologica, culturale e spirituale. Noi che non abitiamo in queste terre abbiamo bisogno della vostra sapienza, delle vostre conoscenze per poter penetrare – senza distruggerlo – il tesoro che racchiude questa regione, sentendo risuonare le parole del Signore a Mosè: “Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è luogo santo” (Es 3,5).

Lasciatemi dire ancora una volta: Lodato sii, Signore, per questa meravigliosa opera dei popoli amazzonici e per tutta la biodiversità che queste terre racchiudono!».

Aggiunse poi: «Ho voluto venire a visitarvi e ascoltarvi, per stare insieme nel cuore della Chiesa, solidarizzare con le vostre sfide e, con voi, riaffermare un’opzione sincera per la difesa della vita, la difesa della terra e la difesa delle culture. Probabilmente i popoli originari dell’Amazzonia non sono mai stati così minacciati nei loro territori come lo sono ora. L’Amazzonia è una terra contesa su vari fronti: da una parte, la nuova ideologia estrattiva e la forte pressione di grandi interessi economici la cui avidità si concentra su petrolio, gas, legno, oro e monocolture agroindustriali; dall’altra, la minaccia contro i vostri territori dalla perversione di certe politiche che promuovono la “conservazione” della natura senza tener conto dell’essere umano, vale a dire di voi fratelli amazzonici che la abitate».

Concluse con un appello: «Abbiamo bisogno che le popolazioni indigene plasmino culturalmente le Chiese locali amazzoniche. E, a proposito, mi ha riempito di gioia ascoltare uno dei testi di Laudato si’ letto da un diacono permanente della vostra cultura. Aiutate i vostri vescovi, aiutate i vostri missionari e le vostre missionarie ad essere una cosa sola con voi, e così, dialogando con tutti, potete modellare una Chiesa con un volto amazzonico e una Chiesa con un volto indigeno. Con questo spirito, ho convocato un Sinodo per l’Amazzonia nel 2019, la cui prima riunione del Consiglio pre-sinodale si terrà qui, oggi pomeriggio».

Il Sinodo era stato chiesto con una lettera firmata nel 2014 da tutti i vescovi dell’Amazzonia brasiliana, che ricevette una risposta concreta dal papa e la sua convocazione il 15 ottobre 2017.

ROMA, 5 ottobre 2019

L’invito alla preghiera al 37° giorno dei 40 di “navigazione” verso il Sinodo dell’Amazzonia ricorda un filo che percorre l’intera esperienza biblica: Dio si rivela nei piccoli e umili, suscitando stupore e incredulità o domande apparentemente senza risposta:

– «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46)

– «Non è costui il falegname, il figlio di Maria…?» (Mc 6,3)

Suscita anche la lode riconoscente di coloro che, come la giovane Maria, riconoscono le vie insolite scelte da Dio: «L’anima mia magnifica il Signore… perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,47-48).

Mettere la periferia al centro

«Sappiamo anche che il Sinodo dell’Amazzonia è un piccolo affluente di acqua viva che desidera servire questo obiettivo più grande. Anche nella sua piccolezza rispetto alla tradizionale visione ecclesiale, in cui il centro prevale, e forse proprio per questa ragione, questa periferia (che è anche immensa e maestosa come un territorio che esprime il mistero di Dio) vuole essere come un segno che illumina il centro. L’Amazzonia è e vuole essere un volto periferico che aiuta il centro ad attuare il suo processo di trasformazione, il suo ritorno all’origine nel Cristo vivente che incarna e trascende strutture, tempo e caratteristiche culturali. Un’espressione di Dio che abita la Chiesa e la apre alla novità».

Diario del Sinodo

Nulla di più eloquente del corteo che, a metà mattinata di questo 4 ottobre, festa di san Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, percorreva allegramente e orgogliosamente Via della Conciliazione fino a Piazza San Pietro.

La Conciliazione (Riconciliazione) è un grande viale che collega le sponde del fiume Tevere, all’altezza del ponte di Castel Sant’Angelo fino a Piazza San Pietro. Fu costruita da Mussolini per celebrare il Trattato del Laterano del 1929 che sancì la riconciliazione tra il Regno d’Italia e il Vaticano, dopo la ferita aperta dall’occupazione degli stati pontifici e della città di Roma dalle truppe di Garibaldi, il 20 settembre 1870, attraverso la “breccia” di Porta Pia. A questo scopo, furono demoliti i quartieri di Borgo Santo Spirito lasciando il posto agli edifici occupati oggi da diversi organismi della Santa Sede, librerie, caffè, bar, ambasciate e alcune chiese.

I turisti che affollavano la strada, prima si fermavano a chiedersi cosa stesse succedendo, mentre altri già correvano con i loro cellulari per scattare una foto dello strano gruppo che avanzava con passo fermo, senza badare a ciò che accadeva intorno a loro.

Erano indigeni venuti da vari fiumi, angoli e paesi del bacino amazzonico, in maggioranza donne, adornate con gli abbellimenti della loro gente. Non era un corteo di cardinali o di grandi dignitari del mondo, ma di persone umili, dal volto abbronzato dal sole, e segnate dal molto lavoro, da malattie e sofferenze, sopravvissute alla grande e secolare tribolazione dei loro popoli in Amazzonia.

Mettevano in mostra i loro badge di ospiti di papa Francesco per piantare insieme un albero nei Giardini Vaticani, per celebrare il Sinodo, la sua consacrazione a san Francesco d’Assisi e per indicare i nuovi cammini verso una Chiesa dal volto amazzonico e un’ecologia integrale.

Nel pomeriggio ho parlato con uno degli indigeni venuti dell’Amazzonia brasiliana, Francisco, del popolo Apurinã, sul fiume Purus, tutto contento col suo modesto copricapo di piume colorate.

Il Purus è un fiume dalle acque limpide che nasce in Perù e attraversa gli stati dell’Acre e dell’Amazzonia, l’ultimo grande affluente della riva destra del fiume Solimões, con i suoi imponenti tremila chilometri di lunghezza.

La parlata di Francisco appartiene al ceppo linguistico Maipure-Aruak. Oggi conta circa 4.000 persone. Furono fortemente segnate dalla violenza dei due cicli del caucciù in Amazzonia, il primo negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, e il secondo con l’invasione (1943-1945) dei “soldati del caucciù” durante la seconda guerra mondiale, in seguito all’accordo tra i presidenti Getúlio Vargas e Roosevelt per fornire di gomma lo sforzo bellico nordamericano, dopo che le grandi piantagioni di caucciù della Malesia, del Vietnam e di tutto il sud-est asiatico erano state occupate dagli eserciti del Giappone.

Oggi gli Apurinã lottano per la delimitazione delle loro terre non ancora riconosciute e poi invase dai taglialegna.

Francisco non stava in sé per essere lì a rappresentare il suo popolo, per chiamarsi con lo stesso nome del papa e per portare al Sinodo la voce e il grido della sua gente.

Abbiamo scattato una foto insieme sullo sfondo del tramonto sopra la cupola della Basilica di San Pietro, uno dei capolavori del genio di Michelangelo.

Durante l’intervista nella sala stampa della Santa Sede, in questo stesso pomeriggio, il vescovo portoghese, Tolentino Mendonça, poeta e letterato, nominato responsabile della Biblioteca vaticana ed elevato in questi giorni al cardinalato, ha risposto direttamente e con sicurezza a una domanda dei giornalisti sul significato del Sinodo: «Il papa Francesco con il sinodo per l’Amazzonia vuole mettere la periferia al centro della Chiesa».

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Un commento

  1. Giampaolo Centofanti 12 ottobre 2019

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