Disarmo: non lasciamo solo Francesco

di:
lettera pastorale

Air Force Nuclear Weapons Center

Il bagliore mortifero della bomba atomica e quello benefico della luce di Cristo. Sono le due immagini che avviano e chiudono la riflessione sul disarmo nucleare di mons. John C. Wester, arcivescovo di Santa Fe (USA). La lettera pastorale, pubblicata l’11 gennaio porta il titolo: Vivere alla luce della pace di Cristo.

In una visita a Hiroschima e Nagasaki (2017) la memoria dei bambini che accorrono alla finestra per vedere l’inspiegabile bagliore di quella mattina (6 agosto 1945) e la sua paura infantile nell’ottobre 1962, durante la crisi dei missili a Cuba, quando un falso allarme costrinse lui bambino e gli altri a fuggire a casa per il pericolo di un attacco nucleare russo, convergono per dare spessore di vita alla predicazione insistita di papa Francesco contro il riarmo nucleare in atto.

Magistero particolarmente rilevante per la diocesi statunitense del New Mexico che vede la presenza nel suo territorio di alcuni dei maggiori centri mondiali di armi nucleari: Los Alamos, Air Force Nuclear Weapons Center, Kirtland Air Force Base. L’approccio è bene indicato dal sottotitolo: un confronto sul disarmo nucleare.

Una parola dopo 40 anni di silenzio

L’interesse per il documento che si sviluppa in una cinquantina di pagine e in quattro parti (operatori di pace, gli insegnamenti del magistero; minaccia di distruzione nucleare; l’unica alternativa è il disarmo; suggerimenti per il dialogo e l’azione) è motivato dalla scarsità di riflessioni episcopali recenti in merito che lascia in solitaria il magistero di Francesco e dalla provenienza del documento da parte di un vescovo americano, erede di una delle più discusse e diffuse lettere pastorali, quella della conferenza episcopale americana dell’ottobre 1982 (La sfida della pace).

La diocesi di Santa Fe che ha tenuto viva quella memoria grazie ad alcune figure (il francescano Louis Vitale e la suora Megan Rice) e attraverso la pratica di pellegrinaggi, meeting e iniziative di preghiera ecumenica, ha percepito l’accelerazione avviata da papa Francesco.

La formula “guerra mondiale a pezzi” raccoglie la pluralità delle modalità belliche attuali: scontri etnici, fondamentalismo islamico, instabilità programmate, guerre congelate e riavviate, conflitti ibridi, armi autonome, guerre spaziali e cibernetiche. Il documento di Abu Dhabi (Fratellanza umana, 2019) rafforza la rimozione delle motivazioni religiose alla violenza. Il riarmo atomico obbliga alla condanna della minaccia di usare le bombe atomiche, ma anche del loro possesso. La dottrina della deterrenza risulta sempre meno convincente.

Un potere distruttivo e incontrollabile

L’ormai lunga storia dell’opposizione all’armamento nucleare avviata dalla Pacem in terris (1963) e dalla costituzione conciliare Gaudium et spes (1965) ha conosciuto un significativo sviluppo nel magistero pontificio (interventi all’ONU di Paolo VI e Giovanni Paolo II), nei messaggi per la giornata della pace (ad es. quello di Benedetto XVI nel 2006) e nelle lettere episcopali di vari paesi negli anni ‘80.

Quella americana, già segnalata, ha avuto una ripresa, seppur in tono minore, nel 1993 e nel 2020. Francesco ha fatto propria la dottrina della non violenza (messaggio sulla pace del 2017) e nell’enciclica Fratelli tutti (2020) ha scritto: «La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuovo tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo e incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti. In verità, mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che l’utilizzerà bene.

Dunque, non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare  di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra» (n. 258). Il vescovo  John C. Wester non manca di citare l’insegnamento di Martin Luther King, figura di riferimento per il pacifismo americano: «Il comando di amare i nemici è un’assoluta necessità per la nostra sopravvivenza. L’amore ai nemici è la soluzione dei problemi del nostro mondo».

Le narrazioni e i “miti”

Di fatto l’ex Unione Sovietica (oggi Russia) e gli Stati Uniti, con gli altri paesi che possiedono l’atomica, hanno sempre declinato la deterrenza con la capacità positiva di combattere una guerra nucleare. Un indirizzo che accomuna tutte le successive amministrazioni americane, fino ad Obama e Trump. L’esigenza di competitività sta spingendo enormi programmi di modernizzazione. Gli USA prevedono di spendere nei prossimi decenni, 1,7 trilioni di dollari.

L’ambiguità segna la storia nucleare fin dal principio. Molti storici ritengono che la resa del Giappone fosse programmata per il 15 giugno 1945 e diverse personalità dell’amministrazione Truman erano contrari all’atomica. Il loro utilizzo rispondeva all’opportunità di dimostrare all’Unione Sovietica la superiorità militare americana. Solo all’inizio degli anni ‘50 si è diffuso il “mito” di una bomba atomica che avrebbe salvato un milione di vittime fra i soldati americani. Nella recente tensione Nato – Russia a proposito dell’Ucraina un senatore ha detto che la guerra nucleare non era esclusa.

Sono 13.000 le testate nucleari nel mondo. Gli USA ne possiedono 3.750. Basterebbero queste per distruggere molte volte il pianeta. I nuovi impianti di produzione saranno operativi fino al 2075. Ogni anno vengono dismesse 75 bombe, ma si costruiscono 80 nuclei di “bombe a fossa” di plutonio. Solo per Los Alamos si prevedono per il 2022 4 miliardi di dollari, per il 72% destinati al nucleare. Da parte sua, Putin ha annunciato un importante programma di modernizzazione nucleare in grado di dare scacco agli Stati Uniti. La Cina sta costruendo centinaia di silos rinforzati per la balistica intercontinentale.

La tensione su Taiwan potrebbe innestare la corsa allo sviluppo nucleare fra India, Cina e Pakistan. USA e Regno Unito hanno deciso di condividere con l’Australia il sottomarino nucleare. Israele non ha mai dato numeri sul possesso di armi nucleari. La Corea del nord ne ha 45. L’Iran sembra essere in grado di costruire una bomba atomica. Sono oltre 2.000 le testate nucleari (USA, Russia, Francia e Gran Bretagna) pronte all’uso.

Scommessa sul dialogo

Non è ancora risolto il tema della contaminazione delle scorie nucleari e si relativizzano i casi di una esplosione casuale: nel 1957 una bomba all’idrogeno, per fortuna non completamente attrezzata, è caduta nel New Mexico. Nel 1961 due bombe da 4 megatoni sono cadute con un bombardiere. Tre sistemi di sicurezza non hanno funzionato. Solo un quarto ha impedito la deflagrazione.

Fra il ‘79 e l’81 per quattro volte una simulazione di attacco sovietico è stato erroneamente inserito nella rete di allerta precoce americana. Nel 1983 la prontezza di spirito  di un colonnello sovietico ha impedito che due segnalazioni false diventassero una risposta vera. Così nel 1995, sempre in Russia. La crescita degli stati che possiedono l’atomica, le nuove tecniche informatiche che possono filtrare nei sistemi di controllo, il possibile uso da parte di ceppi malavitosi internazionali, fanno innalzare il pericolo giorno per giorno.

Il trattato di non proliferazione, firmato da 189 paesi ed entrato in vigore nel 1970, non è riuscito a impedire che stati “non nucleari” arrivassero alla bomba e che quelli che la possedevano alimentassero i loro arsenali. Il Trattato di proibizione del possesso di armi nucleari, entrato in funzione nel 2021, non è stato firmato da nessuna potenza nucleare.

Il vescovo  John C. Wester ricorda che nel territorio della diocesi sono stoccate 2.500 testate e centinaia di migliaia di metri cubi di rifiuti radioattivi e tossici. La presenza di una industria bellica di queste dimensioni non ha affatto giovato al territorio che, in 70 anni, è scivolato dal 37° al 49° posto del reddito fra gli stati federali. «Alla luce di questi dati e realtà, assieme a papa Francesco e a molti altri, credo sia giunto il momento di impegnarci a livello globale per una completa abolizione della armi nucleari.

Se cresce la consapevolezza di tutti è possibile avviare un processo di smantellamento e smaltimento, acquisendo nuove competenze lavorative e nuove opportunità di ricerca. Gli investimenti sull’energia pulita porterebbero sul territorio 9.000 posti di lavoro. Il lavoro di consapevolezza, se si allargasse nel mondo in forma parallela ai pericolo che tutti corrono, mostrerebbe che investire sui programmi internazionali di risoluzione dei conflitti sia molto più produttivo che moltiplicare le ogive nucleari.

Il vescovo impegna i suoi fedeli in una azione di confronto «rispettoso, radicato nella preghiera e non violento». «Sono convinto che il dialogo di cui parla Francesco sia ciò che serve al nostro mondo odierno. La soluzione alle nostre divisioni e controversie non è la violenza e la guerra, ma gli sforzi onesti e sinceri di uomini e donne in dialoghi che portino alla pace. E il confronto sul disarmo nucleare è parte essenziale del percorso».

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