Donna, per una Chiesa capace di futuro

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caravaggio

Quanti hanno avuto la fortuna di conoscere don Pietro Lombardini, prete e biblista reggiano, lo considerano a buon diritto una delle intelligenze più vive e originali del cattolicesimo postconciliare nazionale. Eppure, il suo nome è ancora oggi meno noto rispetto a quello di altri che hanno vissuto un cammino, ecclesiale e intellettuale, simile al suo; anche perché una serie di scelte di vita, una naturale modestia e, ho sempre ritenuto da parte mia, un rispetto profondo verso la pagina stampata, non l’hanno spinto a pubblicare alcun libro a proprio nome.

Dopo la sua dolorosa e prematura scomparsa, avvenuta nel 2007, sono uscite invece alcune raccolte di suoi interventi sparsi, a testimoniare una competenza rara e uno sguardo acuto soprattutto su temi di argomento biblico ed ebraico. Fra queste, ci sono due volumi dedicati al tema della donna, e ben curati da don Filippo Manini, che di Lombardini fu amico ma anche discepolo, sulla donna nella Bibbia e nel cristianesimo delle origini[1].

Pur se tratti da interventi orali non predisposti per la pubblicazione dall’autore, si tratta di testi che risultano preziosi per coloro che si occupano di simili tematiche. Essi ci mostrano come don Pietro sia in grado di comporre differenti prospettive di lettura, consentendoci di incontrare autori e autrici diversi: dal commento tradizionale all’esegesi storico-critica, dalla teologia alla filosofia fino alla letteratura.

Il convegno

È questo l’orizzonte che ha spinto la Fondazione a lui intitolata a dedicare il terzo convegno annuale, ospitato come gli altri da quella Fondazione San Carlo, a Modena[2], che lo vide a lungo responsabile del Centro Studi Religiosi, alla questione della donna nel Nuovo Testamento e nella storia delle Chiese.

L’evento, tenutosi il 16 novembre 2019, ha visto la partecipazione di Rosanna Virgili, biblista, docente all’Istituto Teologico Marchigiano, su «Silenzi amanti e voci narranti», Paolo Ricca, docente emerito della Facoltà Valdese di Roma, su «Donne e ministero cristiano», e Cristina Simonelli, teologa, docente all’Istituto Superiore di Scienze religiose San Pietro martire di Verona, su «Le donne nelle comunità cristiane». Il convegno, partendo dal senso delle presenze femminili nei Vangeli e nell’intero Nuovo Testamento, ha ripercorso i passaggi storici più significativi al riguardo, per chiudersi su una serie di aperture che attendono in larga parte ancora un riscontro fattivo nella vita quotidiana delle Chiese.

Infatti, il problema del posto che spetta alla donna nella Chiesa cattolica si è presentato sempre più spesso negli ultimi tempi – dal Sinodo sull’Amazzonia alle due commissioni volute da papa Francesco sulla possibilità di istituire delle diacone – e si può immaginare che sarà preso sempre più in considerazione in un prossimo avvenire[3].

Conseguenze inevitabili

È inevitabile, infatti, che l’emancipazione realizzata dalle donne nella società civile abbia finalmente le sue ripercussioni in ambito religioso. La legislazione ha consacrato progressivamente l’uguaglianza dei sessi: la conquista del diritto di voto e di una piena cittadinanza, lo sviluppo culturale, l’accesso sempre più numeroso agli studi superiori, la moltiplicazione dei compiti professionali esercitati dalle donne, mettono in luce attitudini femminili che erano state ignorate nei secoli precedenti.

Un panorama in progress che ci costringe a chiederci se tali attitudini siano state sufficientemente apprezzate e utilizzate finora nelle Chiese e se non si debba rivedere tutto l’ordinamento religioso della donna. Nella tradizione ebraica si dice che Dio raccoglie tutte le lacrime delle donne; Paolo di Tarso, in uno dei suoi passaggi più ispirati, proclama che grazie a Gesù sono scomparse tutte le differenze, compresa quella tra l’uomo e la donna. Allora, perché è così difficile per gli uomini non capire, ma sentire che maschio e femmina sono la stessa cosa, una duplice versione dell’unico Adam, dell’unico Terrestre?

Capaci di futuro

Nel riflettere su questi argomenti, mi torna in mente il paragrafo di un libro – uscito oltre quarant’anni – fa che ancora oggi non ha smarrito l’originale freschezza, intitolato I nomi dimenticati di Dio[4]. Per nomi dimenticati, Letty Russell intende quelli in cui Dio non viene presentato come maschio, osservando che in realtà – riflettendo sul proprio Signore Dio – l’antico Israele fece confluire su di lui caratteristiche tanto di divinità maschili, quanto di divinità femminili. Si trattò, a suo dire, di un’operazione teologico-culturale verosimilmente inconsapevole, ma anche quanto mai profonda.

Seguendo tale suggestione, credo sia lecito affermare che – per rispondere alla chiamata a essere Chiesa in riforma che papa Francesco ha lanciato sin dal suo esordio come vescovo di Roma (13-3-2013) – sarebbe necessario recuperare i nomi troppo spesso dimenticati delle donne. Come sostiene da tempo una teologa solida come Serena Noceti, che abbiamo avuto il piacere di ospitare in occasione della Lettura Lombardini dell’8 giugno 2019 a Reggio Emilia, sul tema Donne, Chiesa, Riforme, «grazie anche al riconoscimento di soggettività ministeriale delle donne possono dispiegarsi modelli di Chiesa capaci di futuro»[5].

Del resto, è noto che l’apporto di parola e di servizio che proviene dalle donne, già oggi, qualifica e rende possibile la vita delle Chiese in tutto il mondo: una parola capace di un pensiero teologico originale, di competenze nate dall’esperienza e dal vissuto, di carica profetica, riconosciute alla base nel quotidiano delle Chiese. Inoltre, lo studio via via sempre più approfondito dei modelli interpretativi del ministero ordinato succedutisi nella storia potrebbe aiutare a delineare quali trasformazioni siano oggi necessarie su questo piano, quanto alle figure portatrici di tale ministero.

Nel corso dei secoli si è sempre conservata la ragione teologica, ma sono mutate le figure; i cambiamenti nel ministero non sembrano peraltro mai delineati da princìpi, ma esigiti dalle trasformazioni culturali ed ecclesiali che le Chiese stavano affrontando.

Il nodo del ministero ordinato

La storia ci pone a confronto con una chiesa che ha avuto e ha la possibilità – e il dovere – di rimodellare le figure ministeriali ordinate, secondo il divenire ecclesiale e le necessità via via emergenti, per mantenersi fedele, nel divenire della storia umana, alla sua apostolicità fondativa.

Un mutamento strutturale e di forme di esercizio è quindi possibile sul piano teorico e potrà talora essere necessario perché sollecitato da nuove esigenze pastorali, per le quali si ritenga indispensabile promuovere nuove configurazioni delle relazioni istituzionalizzate nella Chiesa.

Il nostro odierno contesto culturale, sociale, ecclesiale presenta certo nuovi processi di definizione dell’identità di uomini e donne, e nuove necessità pastorali ed ecumeniche: fino a rendere doverosa la domanda su quale trasformazione possibile si sia fatta oggi non solo plausibile, ma – appunto – necessaria per una Chiesa che si va riscoprendo oggi, con inedita consapevolezza, come «comunione di uomini e donne, uno in Cristo» (Gal 3, 28).

Mi pare, in effetti, risultino oggi superate le logiche di subordinazione e di un androcentrismo indiscusso che hanno accompagnato l’interpretazione delle relazioni uomo-donna nelle Chiese per molti secoli, anche se l’appello alla complementarità di maschile e femminile rimane ancora per molti (e molte) punto di riferimento per pensare la vita ecclesiale; mentre persino quando l’espressione utilizzata è reciprocità, il modello sotteso vira più verso la complementarità di caratteristiche psicologiche e attitudini dell’uno o dell’altro sesso che non verso una partnership effettiva, segnata da corresponsabilità e autonomia riconosciute reciprocamente, di uomini maschi e donne.

Prospettive di genere

Eppure, persiste ancora uno spesso muro di vetro che predetermina i campi d’azione delle donne, limitando a pochissime l’accesso a ruoli e contesti decisionali. Si badi: non è qui in gioco una rivendicazione di poteri, bensì un’imprescindibile domanda sulla soggettività di parola che fa Chiesa, ed è in particolare la Chiesa cattolica che è chiamata a imparare a riconoscersi, come ogni altra istituzione umana, nel suo essere strutturata secondo prospettive di genere[6].

È infatti innegabile che la liturgia, la catechesi, la teologia[7], l’organizzazione ecclesiale nel suo complesso risentano a tutt’oggi di una cultura fortemente patriarcale e androcentrica: mentre il maschile non è pensato, la presenza delle donne – sempre maggioritaria, nonostante tutto[8] – è l’avvio indiscusso, mentre le conseguenze della femminilizzazione di alcuni settori pastorali (si pensi, ad esempio, alla catechesi, ma non solo) non sono mai dibattute.

In vista dell’auspicata riforma di cui si è accennato, si tratta di trovare il coraggio di riplasmare il linguaggio, i criteri di valutazione e di azione, l’approccio alla tradizione e le forme rituali in cui il corpo ecclesiale si esprime e si realizza. Fino a quando potremo permetterci di fare finta di niente?

Il testo è l’Introduzione al volume Paolo Ricca – Cristina Simonelli – Rosanna Virgili, Le donne nel Nuovo Testamento e nella Chiesa, EDB, Bologna 2020, di cui Brunetto Salvarani è curatore.

copertina


[1] P. Lombardini, Figure femminili nella Bibbia, a cura di F. Manini, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 2009; IDEM, Le donne nel cristianesimo delle origini, a cura di F. Manini, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 2011.

[2] Cf. B. Salvarani, a cura, I Cristiani e le Scritture di Israele, EDB, Bologna 2018; IDEM, a cura, Il Cristianesimo e l’idea di sacrificio, EDB, Bologna 2019.

[3] Cf., ad esempio, C. Simonelli – M. Scimmi, Donne diacono? La posta in gioco, EMP, Padova 2016 e S. Noceti (a cura), Diacone. Quale ministero per quale chiesa?, Queriniana, Brescia 2017.

[4] L.M. Russell, Teologia femminista, Queriniana, Brescia 1977, 1992².

[5] S. Noceti, «Nuovi ministeri per una riforma viva», in CredereOggi n. 4 (2019), pp.75-76.

[6] Ivi, pp.76-77.

[7] Rinvio al pregevole quadro offerto sulle teologie femministe da E.E. Green – C. Simonelli, Incontri. Memorie e prospettive della teologia femminista, San Paolo, Cinisello Balsamo 2019.

[8] Si veda infatti A. Matteo, La fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012. Secondo l’autore, noto già per la circostanziata denuncia lanciata nel suo La prima generazione incredula (Rubbettino, Soveria Mannelli 2010), per la generazione degli anni ‘70 – le quarantenni appunto – è molto difficile riconoscersi in una Chiesa il cui volto pubblico è «prettamente “maschile”, se non addirittura “episcopale”» (p. 73); un volto che «fatica a misurarsi con i cambiamenti reali del mondo e ad avere una percezione differenziata […] del nuovo ruolo e posto che la donna riveste nelle dinamiche familiari e sociali» (ivi).

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Un commento

  1. Barbara 30 settembre 2020

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