“Donne Chiesa Mondo”: più domande che risposte

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Come informare davanti ad eventi in cui tutti i protagonisti dello scontro mostrano di avere ragioni convincenti? È il caso delle dimissioni delle 11 collaboratrici al mensile Donne, Chiesa, Mondo che usciva (e uscirà) come supplemento a L’Osservatore romano, il 26 marzo scorso.

Difficile negare al nuovo direttore del giornale vaticano la responsabilità di un supplemento al quotidiano, improbabile un’aperta volontà di contrastare un’iniziativa editoriale capace di consensi e di crescenti attenzioni, prevedibile l’azione convergente della nuova “cupola” dei media (il prefetto, Paolo Ruffini; il direttore editoriale, Andrea Tornielli; il direttore ad interim della Sala stampa, Alessandro Gisotti; il direttore del quotidiano, Andrea Monda) su tutti gli strumenti comunicativi della Santa Sede (qui su Settimananews).

Dall’altra parte, le motivazioni alle dimissioni non sono meno convincenti. Un gruppo di donne “autoconvocate” che creano un originale strumento comunicativo possono accettare condizionamenti non condivisi? Possono sottrarsi a segnali di incomprensione in un contesto fortemente maschile come la curia vaticana? Come garantire la novità del prodotto (scritto da donne, per le donne e per la Chiesa) senza quell’autonomia che l’aveva fatto crescere?

Sorprendente originalità

Dopo una riunione di redazione convocata fuori dalla sede del giornale, Lucetta Scaraffia, l’anima e la “direttrice” del supplemento, fa esplodere la notizia delle dimissioni rendendo pubblici un editoriale e una lettera a papa Francesco. L’uno e l’altra sono a firma sua, ma le dimissioni sono comuni. Anche se si può intravvedere una diversa sensibilità pur nella convergente decisione. Fra le 11 collaboratrici, tutte di elevato profilo culturale, umanistico e scientifico, tre non sono credenti (una è ebrea) e tre sono consacrate.

Nell’editoriale si lamenta il mancato appoggio della nuova direzione de L’Osservatore romano, una selezione di collaboratrici “dall’alto” (più omogenee e più obbedienti), un’autoreferenzialità clericale. Nella lettera al papa si sottolinea il «clima di sfiducia e di delegittimazione progressiva», il costume «della scelta dall’alto, sotto il diretto controllo maschile, di donne ritenute affidabili», la forte critica alla scelta di denunciare gli abusi sulle suore («non siamo state noi a parlare per prime, come forse avremmo dovuto»).

L’avventura è cominciata nel 2012. Dapprima come pagine all’interno della fogliazione de L’Osservatore, poi come rivista autonoma in numeri monotematici. Il nucleo iniziale delle collaboratrici viene gradatamente allargato attraverso cooptazioni mirate. Il lavoro è gratuito, ma il clima è effervescente. Alcuni giorni all’anno sono dedicati alla preghiere e al confronto interno assieme ad alcune monache di Bose.

L’iniziativa sollecita un’attenzione (e critiche) crescente con il sostegno, esplicito in alcune occasioni, di papa Francesco e del segretario di stato, card. P. Parolin. Emergono tematiche nuove e modalità originali per affrontarle. È il caso delle donne nell’islam, delle violenze sessuali indicate come torture, della difesa della dignità delle suore e le loro storie sorprendenti in molti contesti mondiali. Si rilegge con occhi nuovi il femminismo, l’enciclica Humanae vitae, l’ideologia del gender.

L’idea si espande: Vida Nueva (Spagna) riprende l’inserto, così La Vie (Francia). La traduzione inglese in edizione digitale allarga l’utenza. Poi la corda si spezza e l’opinione pubblica anglosassone ed europea si schiera tutta a favore delle dimissionarie, rafforzando la lettura antifemminista tradizionale del contesto curiale romano. Più sfumata la reazione in Italia, dove emerge l’“irrituale” registro della Scaraffia nel supplemento e nel giornale, il riconoscimento crescente delle firme femminili ne L’Osservatore romano (il 1° aprile viene presentato un volume scritto da 17 teologhe), il peso delle ambizioni e dei caratteri degli interessati/e.

Virtù e sapienza

Alle collaboratrici del supplemento si imputa una non adeguata consapevolezza istituzionale, una deroga rispetto ai media vaticani difficilmente prorogabile, un’eccessiva sensibilità davanti alle critiche. In particolare, un limite di virtù e di accordo rispetto al compito decisivo di dare voce alle donne nella Chiesa.

Osservazioni che le interessate archiviano come conferma di un clima clericale e maschilista. Del tutto incapace di comprendere la sfida. L’“eccezione” istituzionale è necessaria per avviare un reale processo di innovazione in merito alle donne. Senza la rottura, tutto poteva rientrare nella consuetudine.

L’effetto umbratile degli eventi sull’opinione pubblica ecclesiale è caduto in un clima già teso e depresso per altre ragioni (abusi ecc.). Aggrava soprattutto il peso delle critiche al pontificato di papa Francesco. Come se i grandi spazi di libertà da lui aperti alimentassero più le spinte intransigenti che le volontà riformatrici. A meno di auspicabili smentite.

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