Ecclesia semper purificanda

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Dopo gli apprezzati contributi sulla sinodalità nella Chiesa apparsi su SettimanaNews, ora il teologo modenese Massimo Nardello affronterà il tema, spesso discusso e controverso, della riforma della Chiesa. È necessaria? È impraticabile? È auspicabile? Cosa e perché riformare?

Uno dei temi teologici e pastorali che hanno animato il dibattito ecclesiale negli anni seguenti il Vaticano II è quello della riforma ecclesiale. Mossi dall’impeto dell’evento conciliare, ci si è interrogati sui cambiamenti che sarebbe stato necessario apportare alla forma della Chiesa, cioè alle sue strutture e organismi, alle sue norme e prassi, in modo da renderla più fedele al Vangelo.

Purificazione della Chiesa

Penitenza e rinnovamento

Questa istanza, anche se alimentata da un contesto culturale che ridimensionava fortemente il valore delle istituzioni, riecheggiava comunque LG 8, secondo cui «la Chiesa, che comprende nel suo seno peccatori ed è perciò santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento». È importante rilevare che in questo passaggio conciliare il rinnovamento auspicato non riguarda i singoli credenti, ma la Chiesa come soggetto collettivo. Insomma, non basta la conversione personale, ma è altrettanto necessaria quella dell’istituzione e della comunità ecclesiale.

Dietro a questa istanza, ribadita sia da Benedetto XVI che da Francesco, sia pure con sensibilità e accenti molto differenti, si celano complesse questioni teologiche e pastorali. Non è in discussione il fatto che tutti i credenti debbano convertirsi sempre più al Vangelo, ma è oggetto di disputa il livello di cambiamento che è possibile ipotizzare nell’organizzazione ecclesiale. Per qualcuno, infatti, tale cambiamento non è auspicabile né possibile, dal momento che le caratteristiche della Chiesa sono espressione della perfezione stessa di Dio che l’ha voluta esattamente nel modo in cui noi la conosciamo oggi. Per altri, più liberi interiormente di cogliere il progresso della Tradizione (cf. DV 8) e di guardare in faccia alla storia, vi sono sicuramente elementi costitutivi dell’identità ecclesiale che non possono essere aboliti ma solo ripensati, ma ve ne sono molti altri che non sono affatto intangibili e che devono essere mantenuti nella misura in cui sono funzionali alla sua missione.

Premesse necessarie

Senza entrare dettagliatamente in queste problematiche così complesse, il percorso che iniziamo si collocherà in questa seconda linea di pensiero, e cercherà di mettere a fuoco alcune premesse di tipo teologico e pastorale che sono necessarie perché la riforma della Chiesa sia ben compresa e possibilmente anche attuata.

Purificare la ChiesaQueste riflessioni prenderanno spunto da alcuni brevi passaggi di Vera e falsa riforma nella Chiesa, un’opera teologica scritta dal domenicano Yves Congar nel 1950, anche se noi faremo riferimento all’edizione successiva del 1968. Si tratta di un testo di particolare rilievo non solo per il prestigio del suo autore, considerato uno dei padri dell’ecclesiologia conciliare, ma anche perché rappresenta il primo saggio di teologia cattolica che dimostra, alla luce della storia della teologia e della riflessione sistematica, che esiste una riforma ecclesiale possibile ed auspicabile.

Una delle premesse teologiche di tale riforma è indicata dalle seguenti parole di Congar: «Tutta l’opera di Dio è una storia e uno sviluppo. Non solamente l’opera della creazione, ciò è evidente, ma l’opera della grazia e della salvezza. Dio non l’ha realizzata nel cielo atemporale delle idee, ma l’ha inserita nella nostra storia, nel nostro tempo, manifestando così che il tempo stesso aveva un senso e un valore. […] Tutto quanto, nel piano di Dio, comincia in embrione, si sviluppa in parecchie tappe e va verso il suo compimento» (Y. Congar, Vera e falsa riforma nella Chiesa, Milano 1972, 107).

Dio agisce in modo progressivo

In questo passaggio si afferma che l’azione salvifica di Dio non deve essere compresa in termini statici, come qualcosa di totalmente esplicitato e oggettivamente donato all’umanità e che la Chiesa dovrebbe comprendere sempre di più. Al contrario, secondo Congar l’azione divina avviene nella storia, e quindi non si dà in modo puntuale e definitivo, ma nella forma di un processo, di un percorso che si articola in diverse tappe. La stessa dinamica di crescita che si rileva nella natura è presente analogamente anche nella dimensione soprannaturale. In questo modo il tempo, il divenire che caratterizza la nostra esistenza umana e che fa sì che le cose si realizzino un po’ alla volta e in mezzo a mille difficoltà, non deve essere visto come negativo, ma come qualcosa che ha un senso e un valore, al punto che anche Dio sceglie di farlo proprio.

Ora, proprio in quanto il disegno divino si compie in modo progressivo la Chiesa non può pensare di averlo già compreso in via definitiva in tutti i suoi dettagli. Al contrario, essa deve stare al passo con questo disegno, tappa dopo tappa. Se in Gesù Cristo Dio si è rivelato personalmente in modo pieno e insuperabile, il rapporto del Signore risorto con la sua Chiesa, mediato dal suo Spirito, non ha la forma di una comunicazione di verità e di norme avvenuta una volta per tutte, ma quella di una vera e propria relazione, nella quale la Chiesa comprende in modo progressivo il mistero del Dio trinitario e la propria identità. Per questo essa non può limitarsi a dire la sua fede e a strutturarsi ricalcando le forme che ha assunto in passato, ma deve interrogarsi continuamente su ciò che il Signore le stia chiedendo di dire e di fare nel momento e nel contesto presente.

Purificare la Chiesa

Certo, esistono delle verità di fede e degli elementi strutturali che la comunità ecclesiale non potrà mai negare in quanto mediazioni certe e imprescindibili del dono della salvezza. A ben vedere, però, questi aspetti normativi non sono limitativi del progresso ecclesiale, ma semplici garanzie che esso proceda nella giusta direzione.

Ora, la riforma può essere presa sul serio solo se si pensa che la Chiesa debba comprendere continuamente la volontà di Dio a proprio riguardo, e non possa mai presumere di averla già formalizzata una volta per tutte in modo esaustivo. In caso contrario, la riforma verrebbe ridotta ad un rispolverare quelle convinzioni ovvie per tutti i cattolici che però non si sono vissute in modo esemplare. Un’operazione del genere non entusiasmerebbe nessuno.

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Un commento

  1. Giampaolo Centofanti 12 ottobre 2019

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