“Evangelii Gaudium” promuove liturgia autentica

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Nell’economia del papato di Francesco, non lo si ripete mai abbastanza, la liturgia non appare per lo più come un “discorso diretto”, ma come una “pratica indiretta”, che risente della sua condizione di “figlio del Concilio”, che egli incarna con plastica e immediata evidenza. Così, a partire dalle messe a S. Marta, dalle udienze del mercoledì, dalle omelie domenicali, ma anche dai grandi discorsi o dai provvedimenti strettamente liturgici (come, ad es., la modifica della rubrica della Lavanda dei Piedi) appare evidente che Francesco celebra con la “gioia del vangelo”.

Ma questo non basta. Il suo testo “programmatico” – Evangelii Gaudium – delinea un profilo della tradizione ecclesiale dove la “chiesa in uscita” – come “campo profughi” e come “ospedale da campo” – sollecita una attenzione nuova al rapporto tra liturgia e vita, tra liturgia e cultura. Questo orizzonte si completa con il disegno, esplicito, con cui Francesco intende “decentrare” il potere curiale, affidando alle “regioni episcopali continentali” anche competenze di carattere dottrinale. Di grande impatto è stato, in EG, la previsione di un tale “decentramento” in alcuni settori della stessa “dottrina” e nell’esercizio del magistero.

Tutto questo contrasta in modo strutturale con ciò che in campo liturgico accade ormai da 15 anni, dal 2001, ossia da quando la V Istruzione sulla Riforma Liturgica – “Liturgiam authenticam” – ha di fatto bloccato a livello universale ogni percorso di autentica inculturazione della liturgia. Il disegno di rimodellare universalmente la liturgia sul prototipo – inevitabilmente statico, “chiuso” e senza “vie di uscita” – della “lingua latina”, dando privilegio ad una traduzione ostinatamente e scolasticamente letterale e addirittura pretendendo che le “lingue parlate” assumano la struttura stessa della lingua latina e le sue “figure retoriche”, si era dimostrato fin dall’inizio un progetto privo di solido fondamento non solo nella esperienza degli uomini, ma anche nella tradizione della Chiesa. Mai era stata tanto disprezzata la “lingua dei destinatari”. Come se le traduzioni dovessero richiedere, strutturalmente, la conoscenza del testo originale per essere comprese! Ma se una lingua che nessuna madre insegna più ai suoi figli diventa il criterio unico e decisivo per misurare le lingue vive, quanto potremo resistere alla prova di questa “arancia meccanica”? Chi può avere escogitato un “sistema autoreferenziale” tanto astruso? Se a “controllare il sistema” è una lingua “priva di futuro” – come il latino, che non ha alcuno spazio di vero rinnovamento e che per questo risulta per alcuni tanto rassicurante, proprio perché ormai è senza storia – quanto dovrà attendere la tradizione prima di ridursi ad un “museo delle cere”?

Dopo 15 anni di “tormentata carriera”, Liturgiam Authenticam è arrivata al capolinea. Non solo, fin dal suo apparire, aveva sollevato le legittime critiche di ampi settori della dottrina e della pastorale ecclesiale, ma di anno in anno ha dimostrato – con i fatti – non solo di essere “teoricamente fragilissima”, ma anche di risultare “praticamente inapplicabile”. E dove si è forzata la mano e si è fatto ciò che risultava teoricamente criticabile e praticamente invivibile, il risultato che ne è derivato ha preso la forma di documenti formalmente “corretti” – ossia coerenti con una norma sbagliata – e proprio per questo privi di qualsiasi relazione con il linguaggio vivo, con la vita autentica e con la fede vissuta dei soggetti che dovrebbero esservi implicati. Alla radice di tutto ciò non c’era e non c’è un difetto filologico, bensì teologico e antropologico: un concetto di tradizione irrigidito e la presunzione che la esperienza dei soggetti possa essere considerata un fattore irrilevante.

Oggi i vescovi, a livello universale, si sentono tra l’incudine e il martello: da un lato vogliono continuare ad “obbedire a Roma”, ovviamente; ma dall’altro vogliono e debbono servire la fede della loro gente. Ma sanno bene che se obbediscono a Roma produrranno testi inutilizzabili, mentre se vogliono puntare ad una crescita reale della loro Chiesa, devono discostarsi sensibilmente dai “criteri romani”. Pertanto la soluzione – l’unica possibile – sta nel “fermare tutto”. A Roma non si chiede più nulla, cosicché si blocca il distorto processo di controllo centrale, per paura che la evoluzione si trasformi in involuzione e che l’obbedienza a Roma generi sconcerto nei più e esalti soltanto gli spiriti più settari. Il radicalismo letteralistico della V Istruzione genera progressivamente divisione e scoramento, come era largamente prevedibile già 15 anni fa. Effettivamente, a ben vedere, è la paura a diventare, nei responsabili ecclesiali di molte conferenze episcopali in Europa e fuori Europa, il sentimento più diffuso. In 15 anni Liturgiam authenticam ha prodotto – almeno tra le gerarchie – un vero e proprio “angor liturgicus”, una inquietudine e una sofferenza ormai non più tollerabile. La “gioia del vangelo” non può convivere con la “paura della liturgia”. E se in liturgia noi cominciamo con “luctus et angor” – che doveva essere il titolo originario della Costituzione conciliare poi diventata Gaudium et spes – come possiamo davvero sintonizzarci su questa vera e grande ripresa del “gaudium” e della “spes” conciliare, che papa Francesco ha potentemente rilanciato nel suo testo finora più importante? Il testo di “Evangelii Gaudium” vuole una chiesa in uscita, capace di una liturgia autentica. Ma per avere una liturgia autentica dobbiamo necessariamente superare la impostazione asfittica e difensiva di “Liturgiam authenticam”, che genera una chiesa chiusa e sprangata solo nel proprio passato, dove la liturgia viene modellata sull’esempio del “museo diocesano”, con aria condizionata e teche antiproiettile.

Questa è oggi la “condicio sine qua non”: o si scrive una VI Istruzione sulla Riforma Liturgica, o saremo sempre più dominati dalla paura, dalla paralisi e dall’immobilismo. E i bravi funzionari romani, chiusi nei loro uffici, continueranno a sentenziare sulle singole parole, sui gesti di pace, sulle forme del canto, sui mancati calchi dal latino…con lo sguardo rivolto solo al passato, senza gioia, con una grande paura degli abusi, senza alcuna considerazione per gli usi e per la grande e inesauribile esperienza degli uomini e delle donne.Ma anche essi, i funzionari, stanno tra le vittime: è la V Istruzione a “costringerli” a lavorare così! Come è possibile che possano “aprire gli occhi” – e tirare il fiato – solo se ricevono una lettera del papa che chiede esplicitamente la riforma di una rubrica? Non dovrebbe essere – quello della Congregazione – anche un compito di stimolo, di apertura, di slancio. Come può, in una Chiesa che si dice “in uscita”, esserci una Congregazione specializzata solo in serrature e in sistemi di allarme? Credo che potremo riscoprire questa “vocazione alla gioia” in una Congregazione che si adoperasse ad applicare, finalmente, una “nuova Istruzione”. Troppe energie e troppi condizionamenti fino ad oggi sono stati impiegati solo per “non applicare” ancora una volta ciò che già da 15 anni risulta inapplicabile, perché male impostato, tanto sul piano teorico quanto sul piano pratico.

Questa nostra fase storica ha bisogno non di “lamentazioni sul culto”, ma di “inni alla gioia”. Credo che un buon numero di esperti europei, teologi e pastori, sarebbero immediatamente pronti a collaborare per delineare il profilo di una Istruzione che traduca “Evangelii Gaudium” in un campo così fondamentale come quello della liturgia. Abbiamo bisogno, in definitiva, di un testo che metta a tema il “Sacrae Liturgiae Gaudium”! E che la faccia finita con queste contorsioni disciplinari e istituzionali, che generano solo paralisi e tempo perso e che non derivano da gioia ma da timore, non da speranza ma da rassegnazione.

Anziché creare “irrealtà”, come lingue artificiali ricalcate sul latino, che non esistono e non potranno mai esistere, nemmeno per decreto di una Congregazione, ascoltiamo l’invito a dare il primato alla realtà, ad uscire davvero dai muri che ci siamo costruiti attorno, a respirare aria pura, a parlare lingue vive, a stare in mezzo ai fratelli, fino a prenderne l’odore: scriviamo, subito, una nuova Istruzione. Un poco di buon senso può ritornare solo così.


Pubblicato il 5 febbraio 2016 nel blog di Andrea Grillo: Come se non

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