Giovani cristiani in Terra Santa

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Dal 13 al 18 gennaio scorso, una delegazione internazionale di 14 vescovi delle 12 conferenze episcopali europee e nord americane si è recata in Terra Santa per il suo 19° incontro annuale. Il viaggio si proponeva di incontrare i giovani cristiani, conoscere le loro attuali condizioni e offrire ad essi sostegno e solidarietà. Per questa visita era stato scelto il tema “Cristiani in Israele: sfide e possibilità”.

Nel programma era previsto di analizzare la ragione del continuo esodo dei cristiani arabi dalla Terra Santa e il fenomeno dell’immigrazione simultanea di migranti cattolici originari soprattutto dalle regioni asiatiche. Era fissato anche un incontro con l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme e con i rappresentanti dell’ebraismo, dell’islam, dei drusi e con gli aderenti alla religione Bahai. Tra i vari scopi figurava anche il problema della coesistenza della vita cristiana con le altre religioni.

La situazione attuale

Attualmente vivono in Terra Santa circa 225.000 cristiani, di cui 170.000 in Israele e 50.000 nei territori palestinesi. I cristiani palestinesi in Israele costituiscono circa il 20% della minoranza araba. Una percentuale più piccola, ma in crescita, comprende i migranti lavoratori che, con la loro presenza, contribuiscono a imprimere una diversità culturale alla Chiesa cattolica locale. Di questi e di altri cattolici prevalentemente di lingua ebraica, dal punto di vista pastorale, si occupa il patriarcato latino.

La delegazione ha avuto occasione di parlare anche con il parroco Rafic Nahra dei cristiani di lingua ebraica sulla situazione delle sue comunità e con i membri delle comunità provenienti dalla Russia o dalle Filippine.

La situazione politica nei territori palestinesi e in Israele continua a costituire una sfida per la popolazione cristiana. Il vescovo di Treviri, Stephan Ackermann, membro della delegazione tedesca, ha definito la loro situazione “erschreckend” (= spaventosa) e ha affermato che la situazione ha lasciato in lui «più interrogativi che risposte». Mons. Ackermann ha rivolto anche un appello alla comunità internazionale affinché favorisca una soluzione con la creazione di due stati.

All’incontro ha preso parte, con il gruppo tedesco, anche il vescovo ausiliare di Magonza, Udo Bentz, in qualità di presidente del gruppo di lavoro “Vicino e Medio Oriente”. In un’intervista raccolta da Andrea Krogmann, per l’Agenzia KNA, ha affermato: «Le impressioni che ho avuto sono molto diverse tra loro e in parte contraddittorie; mostrano quanto complessa sia la situazione. È molto difficile per chi sta fuori comprendere questa complessità, mettere in ordine le cose e cogliere le connessioni. Attraverso i vari colloqui ho potuto però comporre molte tessere del mosaico che mi consentono un approfondimento. Il problema è di non giungere a formulare un giudizio troppo semplificato».

L’attenzione ai giovani

Al centro di questo viaggio era stata posta l’attenzione alla gioventù e all’educazione. In effetti – ha sottolineato mons. Bentz –, «gli incontri con i giovani di diverse età e di differente provenienza, palestinesi musulmani e cristiani, ma anche ebrei di Israele, hanno offerto un quadro molto ampio della situazione. In tutti si è avvertito il desiderio di plasmare il futuro e farlo in maniera diversa da quello attuale. I giovani vogliono cambiare il paese e la società. Nello stesso tempo si avverte in loro una certa impotenza e una paura che essi esprimono così: “Ce la farò a realizzare ciò che sento dentro e quello che ho raggiunto con la scuola e la formazione?”. Questi interrogativi hanno fatto da filo conduttore nei dialoghi, in particolare con i giovani palestinesi».

Ma – è stato chiesto al vescovo – si nota un senso di ottimismo? «Sia i giovani israeliani sia quelli palestinesi – ha risposto – sperano di poter vivere in pace. Le prospettive riguardanti la loro vita sono le stesse da ambo le parti. Ma ciò che mi fa pensare sono le diverse condizioni-quadro per ciò che i giovani israeliani palestinesi possono fare. Da parte palestinese gioca un ruolo importante anche la differenza tra la Cisgiordania e la striscia di Gaza».

C’è la possibilità da parte della Chiesa di offrire il proprio aiuto? «Ciò che avviene nelle scuole e nei centri di formazione – ha risposto il vescovo – lo considero come un tassello prezioso per costruire il futuro. Queste proposte sono importanti perché i cristiani e i musulmani qui si incontrano e imparano a conoscersi nel loro contesto. Nello stesso tempo, con l’educazione, c’è una condivisione di valori. Si tratta di una prospettiva a lungo termine, non di un’azione politica quotidiana. Ma è un modo molto favorevole per cambiare qualcosa nella Terra Santa». Inoltre, «dobbiamo sostenere in maniera ancora più decisa i programmi di dialogo già esistenti. Dove non si sa niente l’uno dell’altro e dove non c’è alcun dialogo, non è possibile capire l’altro. Potersi capire è il presupposto essenziale per una coesistenza pacifica».

La disoccupazione è la principale ragione per cui molti giovani desiderano emigrare. «La Chiesa – ha affermato mons. Bentz – cerca di fare il possibile per creare posti di lavoro, ma non può far tutto. Può solo avviare iniziative, ma l’esperienza dimostra che le circostanze politiche rendono difficile il loro sviluppo autonomo. E questo non è incoraggiante. Ma noi dobbiamo fare di tutto perché i giovani trovino un posto di lavoro».

La situazione in Libano

Mons. Bentz, oltre alla Terra Santa, ha visitato anche il Libano, dove continua l’emigrazione dei cristiani. Gli è stato chiesto come giudica la situazione in questo paese. «In Libano – ha risposto – c’è una situazione sostanzialmente diversa, ma con problemi analoghi. La società libanese, a differenza di quella degli Stati arabi, ha una percentuale relativamente alta di cristiani. Si parla del 40%. Il paese è governato da un sistema politico in cui si cerca in maniera molto equilibrata di dare voce politica alle minoranze. Ma il paese sta cambiando. Ai quattro milioni di abitanti, si aggiunge un milione di profughi. Il 99% di questi sono siriani sunniti, e questo fatto costituisce una sfida per il paese e anche per i cristiani. I cristiani sono cristiani del Medio Oriente, non nel Vicino Oriente. In Libano essi appartengono sostanzialmente alla storia e alla cultura del Paese. Ma le condizioni stanno diventando sempre più difficili. Noi dobbiamo sostenere i cristiani di questo paese affinché possano vivere in sicurezza e libertà la loro fede».

Il comunicato finale

Al termine della visita i vescovi hanno emanato il seguente comunicato di solidarietà, in cui esprimono la speranza di un futuro migliore.

 

«Siamo venuti in Terra Santa per conoscere i suoi giovani, ascoltare le loro voci e pregare per la giustizia e la pace. Nonostante il persistente violento conflitto e l’atteggiamento di coloro che usano del loro potere per promuovere la divisione, la fede in Dio infonde in noi la speranza di un futuro migliore che questi giovani desiderano. Durante questa settimana abbiamo ascoltato molte cose riguardo ai loro sforzi per realizzare questo sogno e l’abbiamo costatato con i nostri occhi.

Attualmente, i giovani di Gaza sono privati delle loro opportunità di vita: senza riguardo alla persona, il blocco attuale impedisce a tutti la possibilità di realizzarsi. Nella Cisgiordania, i giovani esperimentano quotidianamente la violazione della loro dignità, realtà questa che, a causa dell’occupazione, è diventata inaccettabilmente la norma. In tutte le aree palestinesi la vita dei giovani è compromessa dalla disoccupazione.

Papa Francesco ha ripetutamente affermato che la disoccupazione è uno dei principali ostacoli che impedisce alla gioventù di sviluppare e realizzare pienamente il loro potenziale. Molti giovani israeliani incontrati nelle scuole e nelle università affermano di vivere all’ombra di un conflitto che non hanno creato e che essi non vogliono. Abbiamo ascoltato i giovani di tutte le zone interessate: tutti condividono il desiderio di una coesistenza pacifica, ma vivono in mondi del tutto diversi e hanno poche possibilità di incontrarsi e di ascoltare le loro reciproche speranze e paure.

Per un’intera generazione, la prospettiva della pace si è nuovamente molto allontanata in seguito a decisioni moralmente e giuridicamente inaccettabili, tra cui il recente affronto dovuto al mancato riconoscimento dello status internazionale di Gerusalemme, città santa sia dei cristiani, come degli ebrei e dei musulmani.

I giovani in Terra Santa sono sempre più delusi sia dei loro stessi leader sia della comunità internazionale. La rabbia che abbiamo incontrato è del tutto giustificata, ma è anche un segno che i giovani vogliono continuare a lottare per favorire i cambiamenti.

In tutta la Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e in Israele essi tengono viva la speranza con la loro tenacia e il loro coraggio. La comunità cristiana locale, anche se piccola, costituisce una parte integrante di questo scenario, non solo grazie al contributo dei suoi giovani, ma anche per l’attenzione che essi offrono a tutti gli altri giovani.

Sono proprio i giovani a trovare il coraggio di chiedere giustizia e di resistere alla divisione loro imposta. Sono le scuole e i loro progetti ad abbattere le barriere e mettere in mano gli strumenti per la realizzazione della tolleranza. Sono i giovani volontari come quelli che lavorano nel centro Arca di Betlemme, nella Beit Emmaus (“Casa Emmaus”) nel villaggio di Qubeibe, e nelle comunità religiose di Gaza, che offrono prove di umanità in questa società ferita.

Noi condividiamo la speranza dei giovani che abbiamo incontrario in Terra Santa e riconosciamo il ruolo fondamentale che essi esercitano nel processo di pace.

Essi ci hanno aiutato a vedere la realtà con i loro stessi occhi. Pertanto facciamo appello alle nostre comunità, a quelle in cui noi viviamo, a mostrare loro solidarietà e di agire:

– mediante il sostegno di organizzazioni che contribuiscono alla creazione di posti di lavoro, di abitazioni e promuovono il dialogo;

– con la preghiera e attraverso l’organizzazione di pellegrinaggi che favoriscono l’incontro con la popolazione del luogo e la sostengono;

– con l’energica presa di posizione contro coloro che, soprattutto tra i nostri politici, provocano ulteriore divisione.

Ma soprattutto ricordiamo questi giovani nelle nostre preghiere. Ispirati da papa Francesco e con l’aiuto della grazia di Dio, offriamo il nostro contributo affinché questa terra diventi più umana e più degna della gioventù attuale e di quella futura».

Declan Lang – Presidente del Coordinamento della Terra Santa

Udo Bentz – Germania

Stephen Brislin – Sudafrica

Peter Bürcher – Conferenza episcopale del nord (Reykjavík)

Oscar Cantú – USA

Riccardo Fontana – Italia

Lionel Gendron – Canada

Nicholas Hudson – Comece

William Kenney – Inghilterra e Scozia

Donal McKeown – Irlanda

William Nolan – Scozia

Joan Enric Vives i Sicilia – Spagna e Andorra

Christopher Chessun – Chiesa d’Inghilerra

Duarte da Cunha – CCEE

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