I cristiani comuni e l’istituzione

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cristiani comuni

È sempre bello per un cristiano ripensare alla vicenda esistenziale di Gesù: tornare ad evocare il grande fascino di un uomo – come noi – che ha svelato sé stesso e ci ha raccontato l’amore: appare talmente umano da risultare divino.

L’accesso alle Scritture

La narrazione evangelica è ora disponibile a tutti i credenti. Forse non lo è sempre stata allo stesso modo, nel tempo. Tutti possiamo ora leggerla e rileggerla, trovando ragioni di salvezza. La gerarchia ecclesiastica dei pastori ha concesso infatti solo in tempi relativamente recenti che il gregge possa maneggiare le sacre Scritture. In precedenza, è parso fosse opportuno che il racconto venisse mediato da un’autorità che ne potesse garantire l’esatta comprensione, proponesse soluzioni preconfezionate sui molti passaggi dubbi, vietasse derive interpretative audaci, innovative o comunque fuori schema.

Così, non proprio semplicemente, si è iniziato a regalare alle bambine e ai bambini il libro dei vangeli o addirittura l’intera Bibbia. Per molti – anche per me – c’è stata una bella stagione di esperienze: si poteva parlare e discutere liberamente con i preti, oltre che con gli altri educatori laici, di cose buone che mi hanno riscaldato il cuore e ci hanno riscaldato i cuori.

Naturalmente la giovane lettrice e il giovane lettore – tra cui mi ci metto coi miei ricordi – si trovavano poi immersi in una realtà liturgica assai più articolata e complessa. Mi riferisco alla celebrazione di feste dai significati che allora mi apparivano piuttosto oscuri. Dai miei ricordi traggo la festa dell’Immacolata o quella dell’Assunta. Il contesto religioso familiare era ancora intriso di obblighi e divieti. Ci si adeguava.

La fede e la Chiesa

Con la crescita in età, cultura e spiritualità, queste difficoltà sono state affrontate. Con me molti compagni di esperienze della mia generazione, sono giunti ad una sorta di convivenza e accettazione, in sé piuttosto forzata, tra quanto effettivamente scritto e personalmente letto e capito e quanto nei secoli desunto e trasmesso dall’istituzione ecclesiale, ovvero “inventato di sana pianta”, secondo gli amici più critici.

Ma ormai la Bibbia l’abbiamo, se non sul comodino – come nei motel americani – almeno in casa: a volte commettiamo ancora l’audace gesto di aprirla, di leggerla e di capirci quello che la nostra povera testa riesce a suggerirci.

Può così accadere – come succede a me – di arrivare a intravvedere un percorso logico della buona novella, ossia ad attribuire a Gesù una sorta di ordine, di sistema con cui avrebbe inteso diffondere il suo annuncio.

Gesù ci libera! Questa è una grande verità. È forse la prima grande opera di grazia che possiamo riconoscere nella lettura dei vangeli. Gesù ci libera da un vecchio modo di intendere la religione. Quindi modifica alla radice il rapporto tra il credente e il trascendente. Gesù libera soprattutto dai sacerdoti, dai professionisti della religione. Da Lui in avanti ogni credente può stare nel cuore di Dio senza bisogno di mediatori, senza oboli, senza animali da sacrificare. Nessuno si può interporre o attribuire a sé stesso poteri sui cuori e le coscienze. Una casta è stata spazzata via senza rimedio!?

Gesù ci insegna una preghiera che non prevede il transito obbligatorio da una Chiesa o da una struttura ecclesiastica. Gesù ci ha definitivamente liberati, perché ci ha chiamati sorelle e fratelli: tutti uguali davanti al Padre e tutti meritevoli di essere protetti dal Paraclito.

Dei preti dell’epoca, insomma dei sacerdoti di professione, dalla lettura sembra che non si sappia più che farsene: ce la possiamo direttamente vedere col Signore della nostra vita, senza traduttori, disinteressati o interessati che siano nei nostri confronti. Semmai abbiamo bisogno di amici e di compagni di viaggio – come noi – con le nostre stesse attese, con le nostre stesse difficoltà.

Dunque, siamo tutti meritevoli e tutti liberati, il che significa anche tutti artefici del nostro futuro e custodi personali della nostra speranza. Questo è finalmente il trionfo dell’essere umano, il quale non può che essere libero, poiché creato a immagine di un Dio sommamente libero. Altro che pecore!

Un cristianesimo senza tutele

Dopo aver liberato le donne e gli uomini, Gesù avanza la sua proposta. Lancia un messaggio di amore e di amore incondizionato. Parla alle amiche e agli amici e affida loro tutti i poveri del mondo, chiamandoli beati! Ci reputa capaci, a tutti gli effetti, di operare a nostra volta.

Il metodo a noi proposto è quello della comunione, dello stare insieme, della condivisione, della partecipazione di una gioia intensa. Tutto ciò è appunto appannaggio del genere umano liberato. Niente sudditanze o schiavitù: la proposta ecclesiale riguarda solo le persone liberate e nate per essere libere. Fare le cose insieme, gioire con le sorelle e i fratelli, occuparci delle cose veramente importanti – secondo il Vangelo mi pare che in prima fila stiano i poveri, poi la preghiera, poi, distanziati i proto-sacramenti -. dividerci i compiti. Questo mi aspetto che faccia la Chiesa di Gesù, piuttosto di giochi di potere. Questo si aspetta tutta la gente di buona volontà.

La realtà attuale di molte diocesi e di molte parrocchie andrebbe esaminata – a mio modo di vedere – alla luce del percorso logico così accennato.

Ad esempio, tale logica potrebbe essere applicata per interpretare il divario statistico tra il numero delle persone che si definiscono credenti e quelle effettivamente praticanti. I semplici credenti ma non praticanti – coloro che, per intenderci, non vanno più a messa – sono da disprezzare perché aderirebbero solo parzialmente e in maniera opportunistica?

Ancora: le nostre aggregazioni ecclesiali laicali non sono ancora troppo subordinate ad un magistero che appare sovente troppo impegnato a perpetuare la propria sussistenza e il proprio potere?

Le esperienze sinodali si limiteranno quindi – ancora una volta – a dare parvenza di voce ai laici? Alcune proposte sinora ritenute scandalose potranno mai diventare prassi del prossimo futuro?

Ho cercato da me alcune risposte e mi sono detto che nelle diocesi e nelle parrocchie più virtuose il credente vive la gioia della comunità solo quando si fida del vescovo/parroco, non vede zone d’ombra nell’amministrazione dei beni, si sente protagonista al pari di ogni altro, non viene schiacciato dalla autorità, ma la può considerare e sperimentare semplicemente quale mezzo e non certamente come il fine.

Altrimenti, le persone – sin che reggono – adempiono al precetto festivo come ad un obbligo, assecondando la tradizione e patendo decisioni inspiegabili e incoerenti, tacendo di fronte a palesi ingiustizie e a innominabili segreti.

Chi non ci sta ha una sola scelta, oggi: chiamarsi fuori, rifiutare una Chiesa che non riesce a vedere come quella desiderata da Gesù: richiudendosi, insomma, in una dimensione personale e purtroppo solipsistica della fede, poiché risulta ormai intollerabile ogni partecipazione e condivisione di forme percepite come non autentiche.

Queste credenti e questi credenti in qualche modo “ritornano” alla prima fase della scoperta evangelica: si sentono comunque donne e uomini liberati, mantengono per “sola grazia” una fede cristiana, soprattutto ritornano alla bellezza del rapporto diretto e personale con Dio Padre.

Per dirla con un’espressione gergale del mondo informatico, sono vittime di un downgrade, cioè si posizionano ad un livello logicamente precedente: se la sbrigano da soli. La Chiesa non li cerca più, anche se alcuni preti li conoscono benissimo – e magari pure condividono – le ragioni del loro distanziamento.

Cosa pensa la gerarchia della Chiesa italiana al riguardo? È un argomento sinodale? Ci si interrogherà seriamente sulle responsabilità delle “chiese deserte” e in via di progressiva desertificazione e non solo per ragioni demografiche?

La verità è Gesù stesso. Il riferimento principe è la sua stessa Parola, quella che si legge nel Vangelo.

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2 Commenti

  1. JesusLover11 16 novembre 2021
  2. Pietro 16 novembre 2021

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