Iraq: via i cristiani?

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C’è molta incertezza e preoccupazione in Iraq per la sorte dei cristiani della Piana di Ninive. Il timore è adesso quello di un’epurazione etnica, a favore degli sciiti, impedendo ai cristiani di tornare nella loro terra.

A farsi interprete di questa preoccupazione è il patriarca cattolico caldeo, Mar Sako, secondo il quale potrebbe scoppiare un nuovo conflitto politico per la composizione della popolazione.

Cambierà il quadro multireligioso?

A confermare questi timori ci sono anche le dichiarazioni di Khalil Jamal Alber, capo della sezione cristiana del Ministero dell’educazione curdo, secondo cui la «milizia di liberazione popolare» sciita, con il sostegno di Baghdad, sta cercando di cambiare la composizione multireligiosa e multietnica della popolazione di Ninive, a scapito dei cristiani. A questo scopo, numerosi sciiti sarebbero stati trasferiti dal sud dell’Iraq alle pianure di Ninive. Si aggiungono, inoltre, i tentativi di intimidazione contro gli abitanti cristiani, compresa l’appropriazione illegale dei loro beni immobili.

Khalil Alber sostiene che anche combattenti dello Shabak sarebbero coinvolti in questi tentativi di intimidazione (gli Shabak sono un gruppo sincretistico di minoranza in Mesopotamia, che alcuni loro leader avrebbero indotto negli ultimi anni ad allinearsi agli sciiti, probabilmente per ragioni politiche).

Inoltre, si cerca di convincere i cristiani che erano fuggiti prima dell’arrivo dell’IS a vendere le loro case per escludere definitivamente un loro ritorno.

I timori di questo tentativo di cambiare la struttura multireligiosa, ma chiaramente cristiana, della popolazione della Piana di Ninive hanno suscitato preoccupazione anche nel Patriarcato cattolico caldeo. Il Consiglio provinciale della Piana tuttavia ha assicurato, che la composizione multireligiosa e multietnica della popolazione continuerà ad essere protetta. Un contributo a questo scopo è il coinvolgimento di molte organizzazioni che aiutano le famiglie cristiane affinché possano tornare. In molte piccole città e villaggi sono stati riaperti negozi e fabbriche e restaurati gli appartamenti devastati e le chiese distrutte.

La Conferenza internazionale per la ricostruzione

Intanto, da quanto è risultato dalla Conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Iraq che si è tenuta dal 12 al 14 febbraio nel Kuwait – a cui hanno partecipato rappresentanti della Banca Mondiale e delegazioni di 70 paesi – occorreranno circa 88 miliardi di dollari. Ma il segretario del Consiglio dei ministri dell’Iraq, Mahdi al-Allaq, ha affermato che, per la ricostruzione, ci vorranno almeno 100 miliardi di dollari. E forse è una somma più plausibile.

Come scrive l’agenzia Asia News (14 febbraio), l’obiettivo iniziale della conferenza è di garantire la rinascita economica e sociale dell’Iraq, dopo due sanguinose guerre del Golfo, l’invasione statunitense e l’escalation del terrorismo fino all’ascesa dell’Isis.

L’auspicio è che questo appuntamento internazionale in Kuwait possa ora fungere da vetrina per attirare gli investimenti internazionali e coprire almeno in parte le spese di ricostruzione. Gli aiuti dall’estero sono una componente essenziale per sopperire ai bisogni della nazione, ma spesso la loro gestione è fonte di polemiche e controversie.

Il patriarca caldeo, Mar Sako, ha sottolineato che l’Iraq non ha bisogno solo di denaro ma di vicinanza, di sostegno, di progetti reali già presentati. Ha bisogno di una magna charta per la democrazia, per la cittadinanza e la sicurezza. Il pericolo è che «il denaro possa finire, come è avvenuto in passato, nelle tasche di persone corrotte o che alimenti i gruppi jihadisti ancora presenti sul territorio». Per il patriarca, la lotta alla corruzione «resta la priorità», insieme ai piani di rilancio «del settore dell’istruzione, che è la base sulla quale ricostruire un Paese unito, solidale, pacifico».

Inopportuna, a suo modo di vedere, è stata la decisione di tenere la conferenza in questa fase che precede le elezioni politiche in Iraq, perché «non è il momento giusto» per fare un incontro «tre mesi prima delle elezioni». Il pericolo è che possa essere una forma ulteriore di «propaganda», senza alcun risultato per la popolazione civile. «Oltretutto nessuno dei partecipanti ha parlato delle minoranze, dei cristiani e degli yazidi, e questo è gravissimo. È essenziale certo ricostruire i villaggi e le cittadine della piana di Ninive, far ripartire le attività economiche è essenziale per garantire il futuro della regione e garantire quel mosaico unico rappresentato dall’Iraq». Ma occorrono istruzione, cittadinanza, pari diritti e doveri, lavoro. «L’Iraq dovrebbe chiedere aiuto per la ricostruzione delle fabbriche, che sono in grado di offrire lavoro a tanta gente». «Sono queste – secondo Mar Sako – le basi per la rinascita del Paese e non le promesse di denaro a pioggia che non danno alcuna garanzia in un’ottica di ripresa».

I costi della ricostruzione

Stando ancora a quanto scrive l’Agenzia Fides, un rapporto diffuso in questi giorni sui danni causati dal conflitto, mostra che il settore più colpito è quello della casa, con danni che toccano quota 16 miliardi di dollari, pari al 35% del totale. I settori dell’energia, del petrolio e del gas hanno subito danni per 11 miliardi di dollari; il settore dell’industria e del commercio 5 miliardi; l’agricoltura oltre due miliardi di dollari. Pesanti anche le perdite nel settore dell’istruzione (2,4 miliardi, oltre 150 attacchi contro scuole e istituti dal 2014, 700.000 studenti che hanno perso un anno scolastico) e della sanità (2,3).

A breve termine, servono almeno 22,9 miliardi di dollari per promuovere i progetti più urgenti e garantire la ripresa delle attività; nel medio e lungo periodo sarà necessario aggiungere altri 65,4 miliardi per poter portare a termine tutte le iniziative necessarie. Almeno sette governatorati nel nord e nell’est dell’Iraq hanno subito danni per 46 miliardi. Il comparto della sicurezza necessita di circa 14 miliardi per gli interventi più urgenti; altri 10 per il settore bancario, che ha perso gran parte della sua liquidità.

Pesantissimo anche il bilancio del capitale umano: la guerra contro i jihadisti ha causato la morte di 18.000 persone e il ferimento di altre 36.000. Ma, secondo alcuni esperti, il numero sarebbe di gran lunga superiore. Per la sola riconquista di Mosul, a lungo considerata la “capitale” del Califfato, ci sarebbero stati oltre 10.000 vittime. Il 90% delle case e delle attività dei villaggi e delle cittadine della piana di Ninive è stato distrutto.

Questi sono i risultati della follia e dell’odio!

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