La Chiesa del futuro

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Al capitolo XXV dei Promessi Sposi il serrato colloquio tra il card. Borromeo e don Abbondio fa emergere le peculiarità della logica pusillanime di un certo sistema ecclesiastico che vede nella fede cristiana un’opzione comoda e neutrale piuttosto che radicata nella forza rivoluzionaria del Vangelo.

Al termine del colloquio narrato dal Manzoni infatti, parlando tra sé, don Abbondio esclama: “Il coraggio, uno non se lo può dare”. La domanda provocatoria del card. Martini (“come mai la Chiesa non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?), e ripresa su questo portale da Francesco Cosentino, richiama in fondo proprio la tentazione di don Abbondio.

La paura cela una forma introversa di Chiesa, che lentamente la conduce ad erogare servizi religiosi senza proporre l’opzione messianica di Cristo.

Oltre la paura

La paura che denunciava il card. Martini è dunque riconducibile ad una Chiesa senza Vangelo, ad “un cristianesimo senza Pasqua” (Papa Francesco, Omelia nella Notte di Pasqua 2022).

La Chiesa del futuro è chiamata a ritrovare il coraggio nella forza del Vangelo: l’unico criterio di discernimento capace di delineare i sentieri di un cristianesimo che esce dal regime della cristianità per abitare in modo nuovo culture e contesti sociali differenti.

Una comunità ecclesiale che volesse evitare il processo di recezione del Concilio Vaticano II rischierebbe di naufragare dal momento che esso “è stato un aggiornamento, una rilettura del Vangelo nella prospettiva della cultura contemporanea. Ha prodotto un irreversibile movimento di rinnovamento che viene dal Vangelo” (Papa Francesco, Al Gran Cancelliere della PUCA, 3 marzo 2015).

Non casualmente durante l’assise conciliare il libro dei Vangeli fu collocato al centro della Basilica di S. Pietro: ogni riforma ecclesiale richiede un’ermeneutica aggiornata del Vangelo, interpellata dai segni dei tempi che le culture esprimono in molteplici linguaggi e stili. I richiami della Chiesa nel futuro intercettati da F. Cosentino (cf. SettimanaNews, qui) richiedono, a mio avviso, una creativa recezione del Vaticano II in chiave relazionale secondo due presupposti fondamentali.

Il discernimento ecclesiale: tra pastorale vocazionale e accompagnamento spirituale

Uno dei traguardi più preziosi del Vaticano II è stato il recupero della dimensione vocazionale di tutto il popolo di Dio attraverso l’esplicitazione di carismi e ministeri (LG 7.12.30). Il presupposto di una ministerialità realmente inclusiva è una cultura vocazionale che “sviluppa un’attenzione all’itinerario o al carisma proprio, non soltanto di ogni cristiano ma anche di coloro, uomini e donne, che si incontrano quotidianamente, credenti o no” (C. Theobald, Vocazione?!, 93).

Una Chiesa tutta ministeriale richiede un esercizio continuo di discernimento personale e comunitario, affinché essa si lasci sorprendere “da queste emergenze ‘carismatiche’ così ricche di potenzialità creative” (C. Theobald, 94), e nello stesso tempo esige una rinnovata impostazione della pastorale vocazionale con i relativi processi e luoghi formativi. L’organizzazione dei contesti designati alla formazione dei futuri ministri ordinati (seminari e case religiose) risente di un modello tridentino che è stato solamente ritoccato dal Vaticano II in poi.

Non è sufficiente, infatti, auspicare e legittimare nuove forme di ministerialità se non si procede a riformare nella comunità ecclesiale, “l’educazione e la formazione di coloro che essa sceglie e prepara al ministero” (T. Halik, Dio oltre i confini visibili, Il Regno/Attualità, 12, 15.06.22). Una struttura separata (spesse volte con facoltà teologica annessa), una spiritualità pressoché monastica e una vita relazionale delimitata può forse favorire la declericalizzazione auspicata dalla conversione pastorale proposta da papa Francesco?

Alla luce di queste considerazioni si comprende il valore fondamentale che bisogna assegnare al discernimento vocazionale nel popolo di Dio attraverso la cura dell’accompagnamento umano e spirituale: “È mia ferma convinzione che il ministero dell’accompagnamento spirituale personale sarà il ruolo pastorale cruciale della Chiesa nell’imminente «pomeriggio» della storia cristiana, e quello più necessario” (T. Halik, Dio oltre i confini visibili, Il Regno/Attualità, 12, 15.06.22).

Ci sembra profetica l’intuizione di Halik in un tempo in cui si parla di fine della cristianità, dal momento che la Chiesa potrà cogliere l’opportunità di esercitare la diaconia della carità nella forma inedita di accompagnatrice saggia nel discernimento e tenera di cuore. G. Jung circa le fasi della vita, ci insegna che essa è costituita da passaggi repentini e radicali: “È all’improvviso che perveniamo al mezzogiorno della vita; peggio ancora, vi giungiamo armati delle idee precostituite, degli ideali, delle verità che avevamo fino ad allora. È impossibile vivere la sera della vita secondo gli stessi canoni del mattino, poiché ciò che allora era di grande importanza ne avrà poca adesso e la verità del mattino sarà l’errore della sera”.

Come potrà la Chiesa affrontare il suo pomeriggio, immaginando il cristianesimo del futuro con strutture, logiche e processi teologici legati ad un mattino ormai superato?

Dinamiche relazionali (governo) e sessuali

Il secondo presupposto nella prospettiva della recezione postconciliare concerne la considerazione delle dinamiche relazionali del poliedro ecclesiale. Esse sono indispensabili in ordine ai processi partecipativi del futuro ecclesiale e all’accompagnamento di esperienze umane, conflitti e scandali.

Il carattere simbolico della sessualità umana infatti richiede un approccio integrale non solo nell’itinerario degli sposi e dei ministri ordinati, ma in tutta la pastorale ecclesiale alla luce delle sue dinamiche relazionali, partecipative e di governo. Lo scandalo degli abusi sessuali da parte di chierici ha scoperchiato la pentola bollente: scarsa o parziale formazione affettiva e sessuale nei seminari e tendenza agli abusi di coscienza o di potere talora connessi con quelli sessuali.

Una mancata integrazione della dimensione affettiva, nell’itinerario che conduce il candidato a vivere il ministero, provoca la tendenza a colmare con il potere altri vuoti emotivi e psicologici, distorcendo il dinamismo relazionale tipico dei battezzati e delle battezzate. La sessualità liquida dei nostri tempi provoca maggiormente la Chiesa a valorizzare e proporre la preziosità dei legami affetti e sessuali come autentico percorso di umanizzazione responsabile e consapevole.

Anche in questo caso si tratta di processi di discernimento in cui tutte le soggettualità ecclesiali coinvolte siano mosse da un’affettività libera e matura in grado di costruire ed evocare la rete relazionale della famiglia di Gesù di Nazareth.

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3 Commenti

  1. Raffaele 8 luglio 2022
  2. Paolo Gamberini 8 luglio 2022
  3. Francesco Cosentino 7 luglio 2022

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