La Chiesa nel Ventennio

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Molteplici iniziative di studio e di confronto pubblico sono state dedicate, nelle settimane scorse, all’anniversario della marcia su Roma. Oltre il fuoco della controversia politica e della cronaca, si attendono i frutti, in sedicesimi, delle ricerche presentate dagli studiosi.

La circostanza è stata comunque propizia per tracciare il bilancio di una lunga e ricca stagione storiografica, che, sin dagli anni Settanta del secolo scorso, ha analizzato a più riprese uno degli aspetti più significativi del Ventennio: il complesso rapporto tra la Chiesa e il regime fascista.

Fascismo e Chiesa cattolica

Per molto tempo la storiografia si è limitata a osservare il loro rapporto da una duplice prospettiva. Da un lato, indagando i legami politici e le relazioni diplomatiche tra i rispettivi vertici. Dall’altro, cercando di misurare, con intenti apologetici o critici, il significato e le conseguenze delle compromissioni dei cattolici con il regime.

Questo legame è però oggi storicizzato. È ormai superata l’idea che tutto possa ridursi alla misura delle manifestazioni di critica o di consenso al fascismo. Si è potuto invece discernere, nella loro dinamica, le motivazioni degli atteggiamenti dei cattolici. Si è superata la mera visione istituzionale e di vertice.

Si sono visti i tanti e complicati rapporti interni alle due realtà. Si è riscoperto lo spessore degli ambienti – quello economico, quello scolastico e universitario, quello ricreativo, quello professionale e sindacale, tra gli altri – nei quali cattolici e fascisti operarono insieme o in concorrenza tra loro.

Istituzioni e persone

Le ricerche, da una parte, hanno verificato la pluralità delle posizioni personali all’interno della compagine ecclesiale, dall’altra, hanno confermato la necessità di comprendere la storia religiosa non come un ambito separato degli studi ma come saldamente inserita nella storia generale dello sviluppo della società italiana.

Per questo motivo si è oggi più consapevoli di quanto i vent’anni della dittatura fascista abbiano costituito anche per il cattolicesimo italiano un itinerario di profondo, incontrovertibile cambiamento, di immersione nella modernità.

Anzitutto nei contenuti, perché quella che alcuni dei protagonisti, non senza intenti autoassolutori, definiranno come una traversata nel deserto, porta alla maturazione di visioni sulla modernità che, seppur critiche, ne riconoscono l’imprescindibilità sul piano storico. Ma il cattolicesimo italiano tra il 1922 e il 1945 muta anche negli esiti, dal momento che, specialmente dopo il cruciale tornante della Conciliazione, il confronto con il fascismo e con la società di massa lo spinge a immaginare e a realizzare iniziative culturali ed educative sino ad allora impensabili e alimenta linee di pensiero e di cultura che forgiano la futura classe dirigente cattolica.

La situazione imposta dal regime motiva la speranza in larga parte del movimento cattolico che sia finalmente possibile ricomporre tradizione e progresso; di qui fioriscono innovazioni culturali, pastorali, tecniche, organizzative, liturgiche, comunicative.

Altrettanto moderna è l’esigenza, progressivamente avvertita man mano che la seconda guerra mondiale erode il consenso al regime, di comprendere in profondità la natura della società italiana e il tormentato rapporto tra lo Stato unitario e la fede religiosa del Paese, per poter indirizzare i credenti – come intuisce con somma intelligenza Alcide De Gasperi – verso opzioni politiche opposte alla dittatura e al regime, con una formula capace di guidarli anzitutto verso una piena maturità democratica, prima ancora che politica.

Nondimeno questa consapevolezza attende oggi una rilettura storiografica accurata e complessiva della trasformazione maturata nei cattolici sotto il fascismo, dei significati culturali di quella stagione della Chiesa, della conversione della mentalità collettiva, dei mutamenti radicali che l’esperienza del Ventennio ha indotto nell’anima del cattolicesimo italiano.

Un aspetto che non può essere trascurato è la differenza di giudizi che comporta in ambito cattolico lo sviluppo della dittatura nelle sue diverse fasi. La percezione dei primordi del movimento mussoliniano come ultimo anello di quella catena di errori che ha nel nazionalismo esasperato una sua logica conseguenza è cosa ben diversa dal giudizio che, nella seconda metà degli anni Venti, si dà a un regime che pare offrire l’occasione propizia per scardinare dalla nazione italiana tutto ciò che non v’è di cattolico.

E ben diversa è l’opinione dei cattolici sul regime nazional-cattolico che sembra di poter scorgere negli anni del consenso, da quella sullo stato totalitario, razzista e anticristiano che il Duce avvia al disastro per accodarsi al suo allievo tedesco alla fine degli anni Trenta.

Oltre l’Italia

Un secondo aspetto è la necessità di porre maggiormente a confronto le indagini sul movimento cattolico con le acquisizioni ormai largamente condivise dalla storiografia internazionale sul fascismo italiano: la centralità della sua ideologia, l’autonomia della sua cultura, il ruolo del suo pensiero mitico-simbolico e della sua religione civile, la nazionalizzazione delle masse, le radici nella grande cesura della Prima guerra mondiale.

E soprattutto il progetto totalitario, che più che sui tempi e sulle realizzazioni – senza ricadere nella querelle sulla sua presunta perfezione o imperfezione – ebbe un valore decisivo in sé, come ambizione di rimodellare la società e di porre mano a una rivoluzione antropologica del popolo italiano.

La sottolineatura della continuità antimoderna del magistero cattolico e dell’arroccamento sullo schema della cristianità, le ricerche del faticoso, latente emergere di una coscienza democratica da parte delle minoranze intellettuali, l’interpretazione di pulsioni conservatrici attorno a comuni bisogni e nemici, l’intuizione del fallimento dell’incontro tra la Chiesa e il totalitarismo, per l’irriducibilità di quest’ultimo, come occasione per ripensare un diverso itinerario di riconciliazione con i moderni valori di libertà.

Questi aspetti ragguardevoli sui quali la storiografia ha – giustamente, e con frutto – insistito, possono ora essere inseriti in una riconsiderazione globale della via cattolica e novecentesca alla modernità che ha attraversato il fascismo.

Si capiranno così ancor meglio le motivazioni dell’approccio strumentale del fascismo verso la religione e la scelta tattica di garantire al cattolicesimo i privilegi di una religione nazionale, associandolo al suo progetto totalitario, intrecciata all’ambizione di costruire un monopolio sulla società. E, viceversa, si comprenderanno le ragioni di quello sforzo selettivo di riconciliazione con una modernità sana e compatibile con i valori della religione attuato dai cattolici, la ricezione dei suoi metodi, l’adozione di nuovi comportamenti, il cambio inesorabile di mentalità dentro la società di massa.

La politica e il sacro

Come ha rivelato il primo, convincente tentativo storiografico di una lettura complessiva nella prospettiva del tema della nazione – condensato da Renato Moro nel volume edito da Studium nel 2020, Il mito dell’Italia cattolica – nel confronto tra fede nazionale, fede cattolica e fede fascista, si può oggi documentare come, in larga misura, si sia plasmata l’identità stessa del popolo italiano.

La sacralizzazione della politica e l’identificazione tra nazione e cattolicesimo difesa dal fascismo ebbero conseguenze decisive. Se, da un lato, alimentarono il consenso verso il Duce, dall’altro, ridefinirono gli spazi e i ruoli dei cattolici nell’agone pubblico.

E la gabbia ad essi imposta divenne una paradossale via di fuga. In una tensione costante, a metà tra il corteggiamento e la sfida, con ripetute crisi, reciproche diffidenze e improvvisi slanci, Chiesa e regime inventarono o interpretarono più volte le immagini e i discorsi del mito di un’Italia cattolica. Esso, certo, risultò utile a entrambi.

Ma non soltanto finì col ritardare la presa di coscienza della reale natura ideologica e sostanzialmente pagana del regime da parte dei cattolici ma celò, sotto la maschera di una presunta etica collettiva cattolico-nazionale, diffusa a livello popolare, una drammatica scristianizzazione della società. Sarà il fatale abbraccio tra Mussolini e il nazismo a rivelare ingenuità e illusioni.  Ma il mito, in altre forme, nella successiva storia repubblicana, sarebbe sopravvissuto a sé stesso.

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